Montiano: il merlot del Lazio

Montiano: il merlot del Lazio

Degustando
di Daniel Thomases
22 maggio 2008

Una degustazione verticale che prende in esame tutte le annate a partire dal 1994, epoca a cui risale la prima bottiglia di questo vino, apripista e rappresentativo della produzione di qualità del centro d’Italia, voluto e pensato da Renzo e Riccardo Cottarella

E di nuovo il merlot, uva i cui trascorsi recenti riassumono e rispecchiano una buona parte della storia viticola italiana dell’ultimo ventennio. Varietà di origine bordolese, il vitigno, quasi fino agli anni novanta, aveva trovato la sua zona di coltivazione più intensa nel nordest d’Italia, nel Veneto e nel Friuli per intendersi. Lì il clima piuttosto fresco e produzioni assai spinte avevano dato, tendenzialmente, vini piacevolmente freschi e fruttati, seppur piuttosto sottili, ma, allo stesso tempo, in molti casi, fin troppo erbacei, se non – nelle annate meno felici – decisamente vegetali. Comunque una tipologia piuttosto da pronta beva sebbene a Pomerol, la migliore zona della Gironda per il vitigno, il merlot – fatto universalmente riconosciuto – dimostri una ricchezza e una suntuosità che lo fa annoverare, secondo la critica internazionale, tra i vini più pregiati (e costosi) del mondo. Château Pétrus docet.



Una svolta clamorosa si verificò, però, in Toscana alla fine degli anni ottanta con la comparsa del primo merlot italiano indiscutibilmente ambizioso e importante, il Vigna l’Apparita (ora semplicemente L’Apparita) del Castello di Ama nel Chianti Classico. Il 1985 fu immediatamente paragonato, per l’appunto, a Château Pétrus e rappresentava una decisa rottura rispetto ai “Supertuscan” più blasonati, tagli, nella stragrande maggioranza dei casi, di sangiovese e cabernet sauvignon oppure cabernet tout court. A quest’ultima varietà, molto più conosciuta del merlot a causa della maggiore rinomanza dei famosi châteaux del Médoc e del Graves (Lafite, Latour, Margaux, Mouton- Rothschild e Haut-Brion), fu data una certa preferenza dai toscani nel periodo 1975-1990, anche se, per molto versi, il merlot sarebbe sembrato più idoneo alla realtà toscana in quanto di maturazione piuttosto precoce (il contrario del cabernet, che spesso e volentieri matura alla stessa epoca, o addirittura più tardi, del sangiovese) e più adatto ai tanti suoli tendenzialmente argillosi della regione.



Nuove proposte ispirate dal clamore suscitato dall’Aparita non tardarono, tuttavia, ad arrivare sul mercato, e così sono nati i famosi nomi ormai conosciuti da tutti: il Lamaione a Montalcino, Masseto, Redigaffi e Messorio in provincia di Livorno, Cantico e Girolamo nel Chianti Classico.

E ancora più ettari del vitigno sono stati piantati con il preciso scopo di produrre vini che potessero svolgere il ruolo del merlot nel bordolese: arrotondare e ammorbidire, aggiungere grado, sfericità, ampiezza e sensazioni carezzevoli. Al sangiovese nel caso dell’Italia centrale così come al cabernet in Francia.

La Toscana, comunque, fa parte di una realtà geografica più estesa, l’Italia centrale, e dunque non è sorprendente che questa varietà abbia goduto di un nuovo interesse sia in Umbria che nel Lazio e nelle Marche. L’apripista - e tuttora il vino più rappresentativo – è stato il Montiano dell’Azienda Vinicola Falesco, ora con sede a Montecchio in provincia di Terni, proprietà di Renzo e Riccardo Cotarella, l’amministratore delegato (nonché winemaker) della Marchesi Antinori il primo, l’enologo consulente probabilmente più blasonato d’Italia il secondo. Sin dalla prima annata commercializzata questo merlot ha mietuto successo dopo successo, sia presso la critica che nei maggiori mercati di tutto il mondo.

Siamo in questo momento in un periodo di riflusso, i vini internazionali, che prima andavano per i più, hanno perso di lustro e popolarità di fronte al crescente interesse – pienamente giustificato anche se, alle volte, eccessivo – per “l’autoctono”.

Ma il Montiano rimane un punto fermo nel panorama dei vini di punta nazionali e dell’Italia centrale e la degustazione verticale nel novembre 2007, ospitata dall’ottimo ristorante La Parolina di Trevinano di Acquapendente in provincia di Viterbo (complimenti agli chef Iside Maia De Cesare e Romano Gordini) offrì ai partecipanti (quorum ego) la possibilità di tirare le somme su più di un decennio di proficuissima attività.



Il Montiano nacque con la vendemmia 1994, ma la decisione di produrla fu chiaramente presa a monte, nel 1990 per essere precisi, con la trasformazione di una parte dei vigneti familiari, siti a Montefiascone sul Lago di Bolsena nel Lazio, precedentemente piantata con uve bianche destinate alla produzione dell’ Est, sovrainnestando ai vitigni bianchi cloni francesi di merlot.

Gli impianti erano quelli di una volta, con 4200 ceppi per ettaro, ma sperimenti con sesti più fitti e innovativi non hanno prodotto migliorie significative per quanto riguarda la qualità dell’uva.

Al contrario, accelerando l’accumulo di zucchero e dunque costringendo l’azienda a vendemmie anticipate (mai desiderabili, e meno che mai nel caso di una varietà precoce come questa), l’alta densità si è dimostrata negativa sul piano aromatico e polifenolico. Gli impianti successivi, a Castiglione in Teverina e a Tarquinia, quindi, non si sono discostati da quelli originali di Montefiascone.

I sistemi di vinificazione, invece, sono andati modificandosi negli anni: con i cambiamenti del clima in atto e con l’invecchiamento delle vigne, sempre positivo nel caso di un progetto che mira a traguardi ambiziosi, l’uva è diventata più ricca e concentrata e i tempi di macerazione sulle bucce, normalmente una ventina di giorni all’inizio, si sono ridotti drasticamente, alla settimana o poco più attuale.

Il movimento della massa – liquido e bucce – durante la fermentazione/macerazione si è pure molto calmato e le frequenti follature di una volta sono diventate poche negli ultimi anni.



Tutto questo per evitare vini esagerati, non pieni e potenti ma mastodontici, da competizione anziché da gradevole consumo. I parametri analitici, tuttavia, rimangono di alto livello, e dimostrano che la buona viticoltura, la conoscenza delle specificità delle singole parcelle e l’età dei vigneti contano di più di qualsiasi forzatura. Il grado alcolico è salito dal 12,5-12,8° delle prime annate al 13,5-13,8° di quelle più recenti, cioè a livelli che mantengono frutto e freschezza ed evitano sensazioni di cotto, mentre l’estratto secco è aumentato dai 33 gr/ltr del 1994 ai 37,50 gr/ltr del 2005. Il pH si è gradualmente allineato ai valori bordolesi: 3,60 nel periodo 1994-1996, si è stabilizzato su 3,80 negli ultimi millesimi (2003-2005). E così questo merlot, come i cugini toscani e francesi, si è confermato molto diverso dai migliori vini italiani prodotti dalle maggiori uve autoctone, che viaggiano con una presenza acida ben diversa: 3,50-3,55 il pH del Brunello di Montalcino di livello, 3,40-3,50 quello del Barolo, 3,40-3,45 del Taurasi e 3,50-3,55 dei migliori esemplari del Montepulciano d’Abruzzo.

L’obiettivo, sin dall’inizio, infatti, era di proporre in terra italiana le migliori caratteristiche bordolesi, quelle dei famosi Pomerol che spiccano nel panorama internazionale, ben diverse dei vini del Médoc e del Graves non solo per le qualità aromatiche, sempre meno caratterizzate nei vini a base di merlot rispetto a quelli che puntano sul cabernet, ma soprattutto per la struttura e le sensazioni in bocca: l’ampiezza e la profondità, una ricchezza di estratto ben percettibile ma che si sposa sempre con una grande morbidezza e rotondità, tannini ben più setosi di quelli del più intenso e spigoloso cabernet, un velluto e una sensualità di trama che ricompensano un ventaglio di profumi meno variegati e intriganti. Una varietà molto indicata per l’Italia centrale, dove temperature più alte del bordolese durante il ciclo vegetativo e la maturazione dell’uva tendono comunque a comprimere la personalità aromatica del cabernet ma conferiscono invece al merlot la polpa, la succulenza e la sensualità che contraddistinguono la grande bottiglia. Categoria non ampissima per quanto riguarda i singoli nominativi sul mercato, ma a cui il Montiano appartiene di tutto diritto.

Le seguenti note di degustazione delle singole annate sono volutamente stringate. Poca nota, ad esempio, è stata presa del colore dei vari millesimi in quanto il rosso rubino pieno e vibrante dei vini più recenti caratterizza tuttora i primi vini prodotti negli anni novanta, senza cedimenti o segni di evoluzione.



Montiano 2005

Molto fragrante e floreale, sulla scia del cambiamento di stile del vino già avvertito con l’annata 2004, molto vigoroso e sostenuto al palato, tannini di grana fine ed elegante, molto levigati, al momento leggermente più acido e meno carnoso del 2004, ma non mancano né polpa né profondità, come indicano i valori analitici, comparabili a quelli dell’annata precedente.

94/100



Montiano 2004

Decisivo il cambiamento di rotta rispetto ai millesimi precedenti, molto pieno e rotondo ma nel contesto di un nuovo velluto e finezza di trama, grande la continuità e razza, equilibrio e armonia ai livelli più alti, classe e maestria totale di tutte le fasi di realizzazione, finale di grande precisione e persistenza, anni di felicissima vita davanti.

95/100



Montiano 2003

Annata di anomalo calore durante le diversi fasi del ciclo vegetativo, che si fa sentire nel vino, più avanti ed maturo nei profumi, seppure senza segni di ossidazione od evoluzione, anche se il vino non pare destinato a lunghissimo invecchiamento, bocca intensa e concentrata ma senza la sfericità di millesimi meno torridi, tannini leggermente asciutti al finale. Un successo, soprattutto in considerazione delle notevoli difficoltà in agguato all’epoca della vendemmia, ma senza possibilità di rivaleggiare con i migliori vini della serie.

91/100



Montiano 2001

L’annata preferito dall’artefice del vino, e sicuramente uno dei merlot che spiccano nella storia di questa varietà in Italia, ma ho trovato una certa involuzione degli aromi in questa fase della sua evoluzione, meno espressivi e aperti rispetto ad altre occasioni in cui il vino è stato assaggiato. Indiscutibile, però, la grandezza della materia, quasi masticabile nella sua pastosità, vellutato e sensuale dall’inizio alla fine dell’assaggio, frutto dolce e fresco allo stesso tempo, grande equilibrio nel dosaggio del legno, un’estrazione ricca, completa, armoniosa, vino di indiscusso carattere e razza.

94/100



Montiano 2000

Profumi molto intesi e leggermente aggressivi rispetto ad altre annate, più alcolici e meno fruttati, piuttosto sentito il grande caldo che si è abbattuto sull’Italia da metà agosto fino al 10 settembre, fase critica della maturazione del merlot. Potente e pieno al palato, ma meno aggraziato rispetto a millesimi meno caldi, meno rotondo e dispiegato a fine bocca e al retrogusto, qualche tannino asciutto ancora da arrotondare, ma senza la certezza che si avverrà.

90/100



Montiano 1999

Rubino cupo e nerastro, tuttora - dopo quasi un decennio di vita - una delle tonalità più scure della serie. Aromi di peso, penetrazione e importante ventaglio, con note, oltre ad un frutto di perfetta maturità, di catrame, di liquirizia e di fumè, molto complesse.

Lunghi e concentrati i sapori, molto fitta la trama, ben presente il tannino che, rispetto ad altri millesimi, è meno “merloteggiante”, per nulla ruvido ma sicuramente meno soave e setoso del Montiano prototipo, persino di annata di livello, caldo e intenso al finale con un ritorno delle sensazioni di goudron e liquirizia, il più estratto e muscolare vino presentato, senza ombra di dubbio. Il culmine di un certo percorso, e si capisce bene perché, dopo un vino di questo tipo, ulteriori evoluzioni potrebbero solo essere alla ricerca di maggiore fragranza e velluto – qui la materia è impressionante.

94/100



Montiano 1998

Naso leggermente trattenuto, meno espansivo ed espressivo delle migliori annate del Montiano, impeccabile, però, il vigore, la penetrazione e la continuità degli aromi. Molto meglio in bocca dove, per un millesimo di elevate temperature e scarse precipitazioni, caratteristiche che normalmente favoriscono la potenza e la concentrazione, si riscontrano morbidezza, rotondità e qualità di tannini sorprendentemente elevate, molto ampie e larghe le sensazioni tattili, decisamente bella la souplesse e setosità della finale. Una delle sorprese della serata, ma non l’unica.

92/100



Montiano 1997

Annata strablasonata al termine della vendemmia, ma spesso i vini non hanno rispettato gli iniziali, e molto generosi, elogi proferiti. Il grande caldo delle ultime fasi della maturazione ha chiaramente inciso sul carattere del vino, meno dolce ed equilibrato al naso, e con qualche sentore di menta e di erbe. Buona la concentrazione e la struttura, ma meno levigata e vellutata del solito, sostenuto e di buona intensità il finale, ma non del tutto rotondo e accattivante.

90/100



Montiano 1996

Insieme con il 1994, forse la maggiore sorpresa della serie. Annata piuttosto fresca e piovosa, ma l’ultimo periodo del ciclo vegetativo è stato soleggiato e ha permesso alle uve di raggiungere un giusto grado di qualità, superiore e quello prodotto dal calore del 1997. Dolci e fruttati i profumi, molto intriganti le note di cioccolato e moca, fragrante e fine il quadro nel suo complesso. Elegante e carezzevole il palato, bella materia, morbida e di classe, tuttora con una discreta ricchezza e lunghezza che indicano che il vino è tutt’altro che a fine percorso.

92/100



Montiano 1995

Millesimo caratterizzato, per quanto riguarda le fasi finali della maturazione del merlot (20 agosto-10 settembre) da temperature al di sotto della media e precipitazioni maggiori della media del periodo). Fenomeni rispecchiati nel vino, meno fresco e fruttato del solito, ma per nulla evoluto e con una gamma di aromi più terziarizzata degli altri della serie. Molto solido e lungo in bocca, bella struttura di tannini di grana fine . Importante l’estratto, infatti – fino al 1999 non troviamo un altro merlot così dotato (35 grammi/litri, numeri sicuramente alti). Con maggiore calore a fine ciclo vegetativo, questo Montiano, con ogni probabilità, sarebbe stato eclatante.

91/100



Montiano 1994

Annata generalmente poco positiva in Italia, certamente inferiore sia al 1993 che al 1995, ma questo 1994 è un indubbio successo, ancora molto espressivo e dolce nelle note di piccoli frutti rossi e di legno di ottima qualità. Ancora freschi i sapori, sapidi e persistenti, fini i tannini e molto setosi, ancora molto vivo il quadro complessivo, anche se la maggiore polpa e carnosità dei vini di là da venire non ci sono e non potevano esserci in una bottiglia che fu il primo Montiano ad essere commercializzato.

Notevole la personalità, comunque, nonostante questo piccolo – e chiaramente non decisivo – handicap.

92/100

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