Dal Metodo Classico all’Amarone della Valpolicella 1967. Sedici emozionanti bottiglie

Dal Metodo Classico all’Amarone della Valpolicella 1967. Sedici emozionanti bottiglie

Degustando
di Andrea Grillo
21 luglio 2016

Giovedì 30 giugno 2016 e un'afa che pochi climi come quello mantovano sanno riservarti. Incuranti del caldo tredici sommelier della Delegazione AIS di Mantova si sono dati appuntamento al ristorante Carlo Govi. Ad attenderli un parterre di vini eccezionali

Il pretesto del ritrovo è ovviamente una serata di degustazione in compagnia. Ma che non sarà una degustazione qualsiasi lo si legge negli occhi curiosi dei due amici che incontro all'ingresso. Alla nostra richiesta di alzare il tiro sulle proposte nel bicchiere, Luigi Bortolotti, Delegato Ais di Mantova, ha accettato di buon grado. Nessuno però sa ancora cosa ci è riservato e l'elettricità che si percepisce in mezzo al gruppo è alimentata da aspettative ed entusiasmo. 

La cordiale accoglienza del proprietario del ristorante, il signor Carlo, e la finezza della location infondono subito il buon umore. Esauriti i convenevoli, si parte.

Luigi presenta in breve le modalità della degustazione. Un percorso di sedici bottiglie a etichetta scoperta, ma dichiarata solo al momento della mescita. Con un'anticipazione: si tratta, nell'ordine, di un metodo classico, due bianchi, cinque metodo classico bianco, cinque metodo classico rosè e un gran finale a base di tre rossi pirotecnici. E qualche sorriso comincia a disegnarsi sui volti dei commensali. Molti ne seguiranno. Ma andiamo con ordine.

L'apertura è tutta trentina e ci riserva un Trento Brut Tridentum 2009 di Cesarini Sforza. Qui la piacevole rotondità dell'assemblaggio, nettamente a favore dello Chardonnay, assume i tratti di un amichevole benvenuto, disponendo il palato a ciò che sarà in seguito.
Il primo bianco nasce in uno dei luoghi più originali della Franciacorta, il Monte Orfano. Si tratta del Curtefranca Bianco Convento Santissima Annunciata 2012, Chardonnay in purezza della cantina Bellavista. Un vino che entra in bocca con garbo ed eleganza e che sorprende per la chiusura lunga e piacevole in cui si conservano distinte le note floreali e fruttate. Così distinte da accompagnare fino alla fine i sentori minerali in una mescolanza di sensazioni in cui la maturazione in legno non è mai invadente. Frutto di una mano esperta.
Segue un altro Chardonnay in purezza, l'A.A. Chardonnay Linticlarus 2009 della cantina Tiefenbrunner Castel Turmhof. Probabilmente una delle massime espressioni degli Chardonnay di casa nostra. Si percepisce già al naso una muscolatura sorprendente, sostenuta da splendide note terziarie originate anche dalla maturazione in legno sui lieviti. Sette anni di affinamento e una struttura che lascia margine per ulteriori miglioramenti, con buona pace di coloro che professano parabole evolutive brevi per gli Chardonnay italiani. Al palato è avvolgente, a tratti burroso, da lasciare nel bicchiere il più possibile per seguirne l'accattivante metamorfosi con la temperatura che via via va crescendo.

Ais Mantova | Metodo Classico

Prima breve pausa. Un veloce scambio di opinioni e ci si getta subito sulla batteria successiva, fatta di cinque metodo classico tutti da scoprire. La partenza, o per meglio dire la ripartenza, è affidata ad un satèn di grande spessore, il Franciacorta Satèn Vintage Collection 2010 della famosissima Ca' del Bosco. Grande pienezza sia al naso che al palato, e una personalità fatta di frutta matura e crosta di pane, che non ti aspetti da una tipologia di prodotto solitamente disegnata giocando più sulla delicatezza che sul vigore. Un vino che sicuramente avrà la forza di non sparire sotto i colpi di ciò che seguirà.
Il secondo calice, oltre che per il bel colore dorato, colpisce per espressività olfattiva. Io l'ho personalmente trovata degna di una riserva di Faccoli. E mi si perdonerà l'eretico ardire, visto che si tratta di un prodotto d'oltralpe: Champagne Brut Reserve Carte d'Or, dell'azienda Etienne Lefèvre con sede a Verzy. Qui il Pinot Nero, preponderante in fase di assemblaggio, conferisce note olfattive giocate sulla complessità e sull'equilibrio, adagiate su uno sfondo minerale meno aggressivo rispetto ai tradizionali Champagne. I profumi creano un'aspettativa che tuttavia non trova uguale rispondenza al palato, dove l'impressione personale è che il vino tenda a spegnersi. Ma al naso resta la sorpresa della seconda batteria, da godere anche a bicchiere svuotato.
Si torna dunque  in Italia e si alza la posta in gioco: breve verticale di Franciacorta Dosage Zèro Noir Vintage Collection Riserva nelle annate 2005, 2004 e 2001. Pinot Nero in purezza e prodotto di punta dell'azienda Ca' del Bosco, assieme alla ben più famosa Cuveè Annamaria Clementi. Qui il residuo zuccherino basso consente di godere di tutte le caratteristiche del vitigno in ognuna delle fasi degustative.  In particolare l'annata 2001 si esprime nella complessità evoluta dei sentori speziati e della pasticceria, e in un'armonia e persistenza che escono dal coro della rispettiva batteria. Tre annate diverse per un climax memorabile.

Giunti a metà della degustazione, tirar fiato per concedersi qualcosa di solido da mettere sotto i denti è cosa buona e giusta. Nulla però che appesantisca i palati, cui viene presto proposto il primo assaggio della terza batteria, un Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot Nero Brut Rosè dell'azienda Rossetti & Scrivani. Affinamento sui lieviti della durata di 24 mesi e una beva piacevole, che intelligentemente si presta a prendere congedo dall'impronta del Dosage Zèro Noir, per addentrarsi nella nuova dimensione dei rosé.

Ais Mantova | Bollicine Rosé

La seconda proposta colpisce sicuramente di più già alla prima olfazione, con un elegante alternanza di frutti rossi. Si tratta dell'Alta Langa Brut Rosè Contessa Rosa 2011, azienda Fontanafredda. Piacevolezza che permane nonostante il vino si scaldi nel bicchiere. Si ingrazia l'attenzione dei commensali per avere una liqueur d'expedition che contiene alcune gocce di Barolo Riserva, annata1967.
Il terzo calice è di nuovo una fugace gita oltralpe con lo Champagne Brut Rosè della famosa azienda Nicolas Feuillatte. Naso denso di mineralità e palato robusto ma piacevolissimo. Un prodotto di grande personalità, che è un piacere sorseggiare a piccole dosi. Non teme per nulla l'aumento di temperatura, che anzi apre a sentori fruttati e speziati sempre più avvolgenti.
Si giunge alla sorpresa di questo terzo gruppo, se non altro per l'originalità del vitigno: Aglianico del Taburno spunantizzato in purezza. La cantina è Fontanavecchia, che stupisce con il suo Principe Lotario Spumante Brut. Metodo classico che esplode di fresche note fruttate e si contraddistingue per la piacevolissima beva. Man mano che si scalda nel bicchiere smarrisce parte della propria vitalità, faticando a tenere il passo degli ultimi due rosè che lo hanno preceduto.
Gran finale di batteria riservato ad un prodotto di spessore, il Franciacorta Rosè Cuvée Lucrezia 2006. Un ritorno sulle coste del Monte Orfano, in una delle sue massime espressioni enoiche. Oltre 90 mesi sui lieviti per un rosè in grado di uscire dal coro, imponendosi con note di piccoli frutti rossi e sfumature agrumate, che si rincorrono a sentori sorprendentemente balsamici. In bocca si esprime con un'eleganza che non teme rivali, aprendosi nella propria magnifica mineralità. Gusto pulito e complesso e una persistenza che insieme rasentano la perfezione. Complimenti davvero all'azienda Castello Bonomi e al suo enologo.

Mentre i commensali rincorrono le evoluzioni olfattive e gustative degli ultimi cinque vini, vengono serviti due primi di ottima fattura. Due piatti che bastano ad intuire la filosofia gastronomica del ristorante. E a capire che vale la pena tornare a trovare il signor Carlo Govi.

Amarene della Valpolicella Bertani 1981 e 1967
Dopo tredici proposte così, uno potrebbe anche pensare che è arrivato il momento di alzarsi da tavola e andare a letto. Si respira un compiaciuto senso di appagamento fra tutti. Ma Luigi, lascia intendere senza mezzi termini che il bello deve ancora venire. Mancano all'appello tre rossi di indiscutibile qualità e rarità. Tre Rossi da pronunciare d'un fiato, in sequenza. La Grola 1993, Allegrini. Amarone della Valpolicella Classico Superiore 1981, Bertani. Amarone della Valpolicella Classico Superiore 1967, Bertani. Tre monumenti ad una delle più spettacolari culle produttive del nostro paese, la Valpolicella appunto. Tre vini che sono uno spettacolo solo a guardarli, con il loro rosso massiccio che si intreccia alle sfumature aranciate. Escono incredibilmente dai rispettivi anni di letargo senza il minimo accenno di stanchezza, ma con la vitalità di chi ha le spalle larghe per sopportare un buio e un silenzio così lunghi. Tre esperienze sensoriali di livello eccezionale, con l'ultimo Amarone che sprigiona l'eleganza aristocratica di una complessità balsamica sbalorditiva, virando su sentori di cioccolato e robuste note speziate.

Allegrini La Grola 1993Eppure ridurre vini così ad una successione di descrittori e aggettivi tecnici pare ora esercizio decisamente poco allettante. Volendo scomodare il poeta di turno, tornano alla mente certe parole: "Nulla può toccare tanto poco un'opera d'arte quanto un commento critico: se ne ottengono sempre più o meno felici malintesi. Le cose non si possono tutte afferrare e dire, come d'abitudine vorrebbero far credere". Grazie Rainer Maria Rilke, che forse tutto avevi in mente fuorchè il vino quando scrivevi così. 

Ma se non sono piccole e irripetibili opere d'arte queste tre bottiglie, allora ho una visione distorta del vino. Così distorta a questo punto, che di queste tre bottiglie scelgo la bellezza di non aggiungere altro. Probabilmente non ne conserverò nella memoria precisi profumi o sapori. Ma sarà certamente impossibile dimenticare il sorriso complice ed entusiasta di chi mi sedeva accanto, di quello che ci si è raccontato e condiviso quella sera. E chiedo scusa se mi sono abbandonato a commenti incompleti e poco tecnici. Se non ho tirato fuori dai bicchieri nomi esoterici di spezie esotiche come il cardamomo o l'anice stellato. 

Ho scelto, per una volta, di premiare le sensazioni che mi sono rimaste impresse, a discapito dei tecnicismi. Che rimangono comunque nobili strumenti per interpretare il vino. Lungi da me intentare un atto di ribellione alla tecnica della degustazione. Volevo solo infondere un po' di curiosità per il buon vino e la buona compagnia. Accendere nel lettore il desiderio di correre a casa e stappare una bottiglia meritevole. E se questo non è accaduto, il gioco di chi scrive non è riuscito. Ovviamente per proprio demerito e non dei vini che si sono bevuti.