SuperTuscan, il potere di una cifra stilistica

SuperTuscan, il potere di una cifra stilistica

Enozioni a Milano 2024
di Silvia Fratini
22 aprile 2024

A Enozioni a Milano i SuperTuscan sono spesso di casa, come nell’ultima edizione. Insieme ad Artur Vaso ripercorriamo alcune delle tappe fondamentali di questa rivoluzione e degustiamo alcune bottiglie di riferimento.

Quella dei SuperTuscan è una narrativa quasi epica che vede come protagonisti vitigni internazionali, tecniche di vinificazione, disciplinari di produzione e, soprattutto, persone. Una storia che muove i primi passi nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso nel cuore della Toscana, quando si concretizza la decisione di alcuni produttori di disattendere le regole del disciplinare del Chianti Classico relative ai vitigni utilizzati, tecniche produttive, areali di coltivazione e rese.

L’idea che prende piede è quella di concepire un vino diverso, rinunciando alla sua classificazione secondo la DOC esistente - vincolante per varietà di uve e tipologia di affinamenti – per scommettere sui vini cosiddetti da tavola, perfezionando ogni singola fase di lavorazione per ottenere un prodotto di qualità eccellente. Tale azzardo ha così successo da portare rapidamente, all’attribuzione del termine SuperTuscan, grazie alla stampa anglosassone, e alla nascita di alcune etichette che diventano pietre miliari di quella che viene considerata una vera e propria rivoluzione nel mondo del vino italiano, ma non solo.

Artur VasoL’apripista: il Vigorello

Siamo nel 1968, tra le colline del Chianti Classico. Enzo Morganti, direttore tecnico della tenuta San Felice dal 1964 al 1997, e Giulio Gambelli, enologo di Poggibonsi e allievo di Tancredi Biondi Santi, scelgono di vinificare - senza l’impiego di uve a bacca bianca, obbligatorie per la DOC Chianti Classico dell’epoca - un sangiovese in purezza dando vita al Vigorello, un “semplice” vino da tavola. Nonostante le iniziali difficoltà, il Vigorello ottiene un successo strepitoso. L’eleganza e la struttura del nuovo prodotto conquistano il mercato, regalando a questa etichetta il ruolo di apripista del movimento dei SuperTuscan. Nel corso degli anni, il Vigorello ha subito svariati cambi stilistici dal punto di vista delle varietà utilizzate (è scomparso il sangiovese e oggi è composto da un blend di pugnitello, merlot, cabernet sauvignon e petit verdot) e dei legni (introduzione di barrique di rovere francese).

La consacrazione internazionale: il Sassicaia

Nello stesso periodo, un altro personaggio di questa storia lavora a un suo modello di vino da commercializzare. È Mario Incisa della Rocchetta, membro di una nobile famiglia romana con una grande passione per i cavalli e il vino. Sin dagli anni Venti sogna di creare un grande vino paragonabile a quelli di Bordeaux. Si trasferisce a Bolgheri con la moglie nel 1942 per lavorare sul pinot nero e poi passare a un appezzamento di un ettaro e mezzo di cabernet sauvignon e cabernet franc. L’impianto è del 1944, a 350 m di altitudine con esposizione sud-est, come i vigneti della Côte d'Or. Da questo vigneto produce un vino chiamato Sassicaia, per quasi vent’anni - dal 1948 al 1967 - solamente per consumo famigliare. Di visione ambiziosa, Incisa della Rocchetta inizialmente sperimenta da solo, lavorando con tini aperti e botti piccole.
L’arrivo di Giacomo Tachis, suggerito da Pietro Antinori cugino di Incisa della Rocchetta, segna una svolta decisiva in questa vicenda: da una situazione fuori controllo, dove «la pulizia in cantina e gli attrezzi erano inesistenti e le barrique perdevano due ettolitri di vino all'anno», Tachis inverte le carte e decide di fare un blend delle annate 1965, 1966, 1967, 1968 (maggioritaria) e 1969. Ne ricava tra le 3.000 e le 6.000 bottiglie (il numero esatto non è certo) e vi applica la prima etichetta di Sassicaia. Siamo nel 1972 quando esce sul mercato un vino che diventerà leggendario grazie anche alla vittoria a Londra nel 1978 quando, in una degustazione alla cieca di bordolesi, Hugh Johnson e Serena Sutcliffe degustano Sassicaia 1972 e lo decretano vincitore della serata, superando 32 blasonati contendenti francesi.

L’evoluzione: Tignanello, Solaia, Ornellaia e Masseto

Seguono, ad opera di Antinori, altre due pietre miliari: nel 1970 esce Tignanello, primo SuperTuscan a base di sangiovese in purezza e, nel 1978, Solaia, assemblaggio di cabernet sauvignon e cabernet franc (rispettivamente 80% e 20%), potente e strutturato. A distanza di pochi anni si aggiunge Tenuta dell’Ornellaia, di proprietà di Incisa della Rocchetta e dal 2005 di Frescobaldi. Nel 1987, da un vigneto di 7 ettari di argille blu simili a quelle dei vigneti di Pomerol da cui nasce Petrus, vede la luce Masseto, un vino da uve merlot in purezza caratterizzato da una grande opulenza. Grazie a questi prodotti e alla risonanza che hanno conquistato sul mercato, i tratti distintivi di quei vini definiti SuperTuscan sono definiti in maniera definitiva: utilizzo di vitigni internazionali come cabernet sauvignon e merlot, vinificazione di sangiovese in purezza o in uvaggio con internazionali, impiego di tecniche di vinificazione moderne come affinamento in barrique di rovere francese: una ricerca, in termini assoluti, di vini di intenzione complessa, strutturata e concentrata.

La degustazione

Toscana IGT Fontalloro 2008 - Fattoria di Fèlsina

Domenico Poggiali acquista Fattoria di Fèlsina nel 1966. Grazie all’amicizia con Veronelli e alla collaborazione con l’enologo Franco Bernabei traccia un cammino che si concretizza nel 1983 con la prima annata del Fontalloro. Siamo a Castelnuovo Berardenga, i vigneti sono a cavallo tra il Chianti Classico e le Crete Senesi, e giacciono su terreni diversi: rocciosi, calcarei e argillosi quelli del Chianti Classico; ricchi di sabbie, limo, piccoli ciottoli e sedimenti marini quelli sul confine con le Crete. Dopo la fermentazione in acciaio, il vino è trasferito in barrique di rovere francese di primo passaggio per una maturazione di 18-22 mesi, per poi proseguire in affinamento in bottiglia per 12 mesi.

L’annata 2008 si apre riconoscibile ai sentori del sangiovese: note ematiche, balsamiche, quasi da cassetto della nonna. Emergono liquirizia, paglia, fiori secchi, anice stellato, rabarbaro e corteccia oltre a cardamomo, cacao, chiodo di garofano e cannella. In bocca si conferma la spiccata balsamicità con una acidità precisa, in linea con l’evoluzione attesa del vino. Morbidezze elaborate e graziosi appunti di bacca rossa si assestano su un tannino omogeneo, ricco e integro.

Cortona DOC Syrah 2014 - Stefano Amerighi

Stefano Amerighi acquista i primi terreni all’inizio degli anni 2000 a Poggiobello di Farneta, nel comune di Cortona. Seleziona i cloni di syrah dalla Valle del Rodano, territorio di elezione per il vitigno francese, e nel vigneto de’ Canonici, esposto a sud/sud-ovest, opta subito per un approccio biodinamico. Dopo la raccolta manuale delle uve e la fermentazione spontanea con macerazione in assenza di solforosa, il vino matura in cemento e legni non nuovi per 14 mesi e affina in bottiglia per due anni.

Di un rosso rubino con tocchi violacei, impenetrabile data la ricchezza antocianica, l’annata 2014 rivela al naso un frutto succoso di ribes nero, cassis, prugna rossa e ciliegia marasca, con accenni di pepe e chiodo di garofano, arricchito da un’impronta di corteccia e note carnose. L’impatto al palato è deciso e integro, pulito e agile, con coerenti note balsamiche che giocano in contrappunto con una sapidità scura, da selvaggina.

Toscana IGT Cavaliere 2016 - Michele Satta

Varesino di nascita e sardo di origini, Michele Satta approda nelle terre di Castagneto Carducci dopo la facoltà di agraria a Pisa e diverse esperienze in azienda. Nel 1983, anno della nascita della DOC Bolgheri, arriva il primo vino dell’azienda. Nel 1991 esce Cavaliere, 100% sangiovese con vinificazione in legno e uso di barrique. 23 ettari di vigna e 150.000 bottiglie l’anno, oggi l’azienda è guidata dai figli Giacomo e Benedetta. Dalla selezione di uve sangiovese fermentate in tini di cemento non vetrificato con il 30% di grappolo intero, il vino affina in cemento per 18 mesi.

Rubino luminoso e terso. L’impatto olfattivo è ricco, raffinato, contraddistinto da frutti di bosco, fiori secchi, cannella, anice stellato, eucalipto e rosmarino. Il sorso si rivela succulento e di grande slancio, con tannini tonici e finemente integrati, nota alcolica e chiusura ematica.

Toscana Rosso IGT Oreno 2018 - Tenuta Sette Ponti

Sono gli anni ‘50 quando l’architetto Alberto Moretti Cuseri acquisisce i primi 55 ettari dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta, figlie del Principe Amedeo di Savoia Duca d’Aosta. Proprio il principe aveva piantato, nel 1935, la cosiddetta Vigna dell'Impero per celebrare la presa dell’Impero Abissino. Negli anni ’90 Antonio Moretti, figlio di Alberto, smette di vendere le uve dell’azienda e nel 1998 esce la prima etichetta, seguita nel 1999 dalla prima annata di Oreno: da vigneti esposti a sud a 250 m s.l.m., composto dal 50% di merlot, 40% di cabernet sauvignon e restante petit verdot, il vino matura 18 mesi in piccole botti e 12 mesi in bottiglia.

Rosso rubino dai riflessi violacei, con concentrazione colorante incisiva. Al naso emerge repentina una componente scura, densa di frutti rossi croccanti e turgidi come la ciliegia marasca. Arrivano poi peperone e foglia di pomodoro accompagnati da spezie dolci, pepe, liquirizia e caffè tostato. All’assaggio si rivela giovane e di buona beva, caldo e morbido, dai tannini raffinati. La nuance di rovere nuovo si accompagnano a una buona sapidità e alla fresca avvolgenza che chiude su note persistenti leggermente balsamiche.

Bolgheri DOC Rosso Superiore Grattamacco 2020 - Podere Grattamacco

Marchio storico della denominazione Bolgheri, l'azienda Grattamacco nasce nel 1977 su una collina che guarda il mare tra Castagneto Carducci e Bolgheri, poco sopra i 100 metri d’altitudine. I 14 ettari di vigneto godono di un clima asciutto, mite, con notevoli escursioni termiche, il tutto improntato alla coltivazione biologica e basse rese per ettaro. Dal 2002 la cantina fa parte del gruppo Colle Massari. Da un blend di cabernet sauvignon, merlot e sangiovese (rispettivamente 65%, 20% e 15%) da terreni argilloso-calcarei, dopo la fermentazione alcolica in tini tronco-conici di legno il vino affronta 18 mesi in barrique e 12 in bottiglia per valorizzare morbidezza e nettezza aromatica.

Da un rubino brillante e luminoso emerge un profumo intenso e di estrema finezza, con note di frutti neri di bosco e cassis, accompagnate da sentori balsamici e da una nota speziata che ricorda la tostatura, con accenni di ceralacca e iodio. All’assaggio il vino è succoso, con una concentrazione di estrema scorrevolezza, di trama tannica calda e avvolgente che richiama la macchia scura e la balsamicità percepita al naso si prolunga piacevolmente sul palato.

Bolgheri DOC Sassicaia 2020 - Tenuta San Guido

Da un vigneto di 75 ettari con formazioni calcaree e un alto contenuto sassoso, da cui il toponimo “sassicaia”, con esposizione ovest/sud-ovest a un’altitudine compresa fra i 100 e i 300 metri s.l.m. nasce il vino con cui si è aperta questa narrazione. È il primo vino italiano di una singola cantina che vanta una DOC riservata. La denominazione Bolgheri Sassicaia spetta infatti esclusivamente alla Tenuta San Guido della famiglia Incisa della Rocchetta. Da cabernet sauvignon e cabernet franc (85% e 15%), il vino matura 24 mesi in barrique di rovere francese (45% di legno nuovo, 45% di primo passaggio e 10% di secondo passaggio).

Rosso rubino prezioso, esprime un bouquet di mora di rovo, mirtillo, chinotto e macchia mediterranea su lievi accenti di cioccolato. Al palato l’assaggio si rivela agile, scorrevole, equilibrato nei tannini levigati dal legno, di persistenza già lunga su ritorni di ribes rosso e macchia mediterranea.