Quando il riso sposa l’orto, il fiume e il bosco

Quando il riso sposa l’orto, il fiume e il bosco

In giro per cose buone
di Andrea Grignaffini
18 gennaio 2022

Un ricca e raffinata ricetta lombarda creata dagli abati della Certosa di Pavia che attinge i suoi ingredienti dal paesaggio circostante

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 21 Novembre 2021

Non esiste, a guardarci bene, piatto o ingrediente che faccia più “Lombardia” del riso. E non perché non esista un nutrito paniere di primizie autoctone regionali ma perché il riso, a grattar dentro le cucine delle varie province, è   l’elemento più capillare e più ricorrente della cultura culinaria regionale. E non è un caso ch’esso sia consumato, a queste latitudini, molto più e molto meglio del carboidrato nazional (popolare) per antonomasia, la pasta, tanto che a seconda delle zone si impreziosisce delle materie del luogo tingendosi dei colori delle bandiere locali.

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Non fa eccezione il nostro risotto alla certosina, impegnativa e raffinata preparazione che condisce il riso con quello che è forse stato il primo sugo “mare e monti” della storia, che della porzione di ecumene a metà tra la terra e l’acqua dove si trova infatti Pavia esige i suoi abitanti più minuti, le rane, in una festa di ingredienti che richiamano il paesaggio circostante, coi suoi fiumi (il Po e il Ticino), i suoi orti e i suoi boschi. Preparato nottetempo dagli abati della Certosa di Pavia che ne hanno tramandato la ricetta di famiglia in famiglia e nei luoghi dove andava formandosi la cucina professionale regionale, il risotto alla certosina è uno dei “piatti della festa” lombarda che del crocevia di territori di cui la regione è fuoco unisce l'acqua del fiume con quella del mare e la terra del bosco con quella, più addomesticata, dell'orto. Del resto, proprio presso i frati della Certosa di Pavia, da cui il risotto mutua il nome e la laboriosa preparazione, prammatica imponeva che si mangiasse magro per tutta la settimana, eccezion fatta per la domenica. Non stupisce dunque che, in questa quotidianità scandita dal magro, pure questo si condisse di orpelli che potessero indorarne un poco la percezione tanto che tuttora non si capisce se questa ricetta appartenga al giorno di festa o a quello del magro. Alle rane, infatti, si sposano generosamente i funghi, cotti a parte e in modo da realizzare un brodetto che servirà a cuocere il riso; poi, ancora, ingredienti nobili come i gamberi d'acqua dolce, il pesce persico o, in alternativa, la sogliola e poi gli immancabili piselli ma senza burro: tuona la morale in ossequio alle privazioni imposte dalla vita monastica. Anna Gosetti della Salda, regina dell'editoria gastronomica italiana del Secondo Dopoguerra, tuttavia, il burro lo contempla eccome nell'undicesima edizione (1993) de Le Ricette Regionali Italiane dove pure sostiene che ci vogliano anche “due pomidori, una carota, due o tre porri, una cipolla, foglie di sedano, vino bianco secco e sale”.

Quanto alla qualità del riso in un'edizione del 1974 di “Si fa così”, l'autrice precisa che debba trattarsi di Arborio pur approssimando sui gamberi di fiume che ivi diventano “gamberetti surgelati” (sic!), e sostituendo pure in tronco “pomidori, carota, porri e foglie di sedano” con “una cipolla bianca media” e “un bicchierino di cognac o brandy” nonché di “un bicchiere di panna”. Interessante la comparsa, poi, di una prescrizione: “Attente: - ammonisce rivolgendosi al solo pubblico femminile - niente formaggio perché nelle minestre che contengono pesce il formaggio va escluso. Se poi siete di parere diverso mettetelo pure, ma non è un'aggiunta ortodossa!”. Perché col risotto alla certosina navighiamo, è vero, nel regno di quelle che, ancora, sono chiamate “minestre asciutte” secondo una giustapposizione di termini che il lettore contemporaneo percepirà, probabilmente, antitetici al pari di un ossimoro. Manco per sogno, tuttavia, come insegna Pellegrino Artusi che delle preparazioni della cucina italiana fu il Linneo nostrano. Ebbene, tornando al nostro riso, di tutt’altro avviso, circa la varietà, è però il sito “Quatarob Pavia” che all'Arborio preferisce il Carnaroli pur riabilitando porri, carota e sedano (generico) ma senza pomodori.

Che altro dire, ancora, in materia? Senz’altro che le ricette oggi diffuse differiscono, e non di poco, di fonte in fonte. Questo accade, del resto, con l'humus vivo della cucina regionale italiana e, in particolar modo, col risotto alla certosina che taluni fanno col pomodoro, talaltri col brandy, per non parlare della difficoltà odierna nel reperimento amatoriale di rane e gamberi di fiume. Eppure è solo sposando il voto del magro, benché modestamente abbigliato a mo’ di festivo che, crediamo, il risotto alla certosina nostrano potrà davvero avvicinarsi a quello originale.

L’ABBINAMENTO DI… Nicola Bonera

Beatitudine nel piatto e nel calice

Per una preparazione “di magro”, seppur arricchita a dovere, come si potrebbe evincere dalla sua genesi, non basta un vino di altrettanta semplicità. Il riso si presenta sempre con i suoi toni morbidi, amidacei, apparentemente innocuo, rivelatore di una tendenza dolce senza pari; i prodotti dell’orto come i piselli incrementano questa percezione, così come i pesci e i gamberi d’acqua dolce, mentre i funghi danno quella sferzata aromatica e durevole capace di rilanciare il gusto più e più volte.

Per esaltare le caratteristiche di questa preparazione si può spaziare su molteplici caratteristiche proprie dei vini: a partire dalle componenti acido-saline, che non dovranno mai mancare. Elementi importanti saranno anche la persistenza e la ricchezza retro-olfattiva, ideali per assecondare la lunga scia lasciata da tutti gli ingredienti, in particolar modo dai funghi. La Lombardia propone un vasto assortimento di vini provenienti da aziende che hanno un legame particolare con il mondo ecclesiastico. Ne abbiamo scelte tre, di tre diverse province, a sottolineare la capacità del vino, se abbinato correttamente ai cibi, di farci sentire in estasi per qualche istante.

1 - Curtefranca DOC bianco - Convento della Santissima Annunciata 2016 - Bellavista
Da uve chardonnay 100% provenienti da una vigna collocata sul monte Orfano, di pertinenza del convento dal 1449, vinificato in botti di rovere per 12 mesi.

2 - Santa Caterina IGT Bergamasca 2018 Medolago Albani
Da uve chardonnay 100%, vinificato in botti di rovere per 11 mesi. Omaggio ad un affresco cinquecentesco presente nella chiesa annessa alla cantina, ritraente Santa Caterina.

3 - Agathòs IGT Provincia di Pavia 2016 - Le Fracce
Da uve pinot bianco 100%, parzialmente vinificato in legno; azienda costruita a partire da un nucleo del XVII secolo, destinato a convento monacale.