A pranzo con la Famiglia Bressan

A pranzo con la Famiglia Bressan

Interviste e protagonisti
di Maurizio Corrarati
21 maggio 2013

Ho conosciuto Fulvio Bressan e la moglie Jelena Misina al Vinitaly, al tavolo dei comuni amici Paolo e Alessandro Dettori. Impossibile non notare la presenza di Fulvio, anche per chi non lo conosce; non parlo certo della sua fisicità imponente, alludo invece alla capacità che hanno pochi esseri speciali di catturarti con la loro enorme energia.

 

Fulvio BressanDurante questo nostro primo incontro non riuscivo a distogliere l’orecchio e la mente da ciò che diceva, nonostante fossi seduto in un posto lontano da lui, fino a quando, incrociando i suoi occhi, riesco a vederlo dentro: è un uomo con la straordinaria energia di un ragazzo in un divenire dinamico e continuo, un gigantesco e devastante cartepillar puntato contro l’enologia sempre più artificiosa e monotematica , fieramente schierato per il ritorno al vero ed unico futuro del vino, “il terroir”, quello giusto!

Alessandro Dettori mi racconta, a bassa voce, del suo scarso amore per i sommelier ed io, che ho nei calici due vini proprio di Fulvio, dico a Paolo Dettori, seduto di fronte a me, che se dovessi dire a Bressan cosa sento e penso dei suoi vini, certo mi risponderebbe che il mio giudizio non è importante; allora Paolo ribatte incalzante che invece a tutti fa piacere sapere che il proprio vino viene apprezzato.

In quel momento io e Fulvio ci riguardiamo negli occhi ed io esordisco dicendogli: “Sai, mi piacerebbe dirti cosa sento e penso dei tuoi vini”. Lui, per tutta risposta, risponde: “Ma, guarda, personalmente non me ne frega nulla!”. Io e Paolo ci alziamo dandoci “il cinque” e sorridendo - davanti agli occhi stupiti di Fulvio che non capisce - mi dice, in sardo, che avevo ragione io. Traduciamo per Fulvio, mi avvicino a lui con i due bicchieri del suo vino e a questo punto la sua e la mia energia si fondono, entriamo in sintonia, io divento bicchiere e lui vino e per tutta la serata non abbiamo più smesso di ascoltarci a vicenda.

Ci lasciamo con la promessa di vederci allo stand di Fulvio, anche con Paolo, per un saluto, ma soprattutto con la voglia di rivederci al più presto all’azienda Bressan.

CONTINUA…

Fulvio BressanLA VISITA ALL’AZIENDA

Ed eccoci in Friuli da Fulvio che ci viene incontro con il suo fuoristrada; in pochi istanti entriamo nel suo vigneto, nella sua vita. Fulvio da subito ci fa dono della sua casa e della sua famiglia; questi sono i doni nei quali trovi l’Uomo nella sua essenza, l’essere umano con la sua capacità di concedersi o di negarsi; non esiste un’azienda, un responsabile, una logica di interesse o una guida che con dovizia di particolari ti racconta a memoria una storia, ma solo esseri umani che vivono l’attimo, anime che si condividono perché sentono sinceramente di poterlo e di volerlo fare. In queste vigne non esiste l’enologo, il consulente, il vino è chi lo produce, tutto si identifica in un microcosmo dove la terra, la famiglia, la cultura, l’arte e la tradizione fanno sì che questo mistero, che è la vita, abbia un senso ed il vino prodotto sia il risultato tangibile non di un procedimento tecnico, ma dell’uomo che si pone nella storia quelli che lo hanno preceduto, là in quella casa, in quella terra, dove il padre consegna al figlio, come in una interminabile staffetta, quel testimone che permette di arrivare alla fine della propria esistenza certi che nulla finirà ma che tutto diverrà. Chissà, forse l’immortalità esiste solo se esiste la famiglia, la discendenza.

Saliamo sul fuoristrada e, dopo aver visto alcuni vigneti, ci fermiamo dove il padre di Fulvio, l’ottuagenario Signor Nereo, sta smuovendo con il trattore la terra tra un filare e l’altro; Fulvio mi presenta ed io chiedo da subito a Nereo perché solo i vigneti Bressan siano senza un filo d’erba tra filare e filare; lui con disarmante semplicità mi risponde che così faceva suo padre, che l’erba in quello spazio non ha ragion d’essere e continua dicendomi: “Ma non vede lei (e sott’intende, povero cretino), quanti sassi ci sono!”; ne prende uno in mano e me lo avvicina spiegandomi che quando fa caldo e l’erba e la terra sono secche e arse, i sassi piangono e bagnano la terra, quindi non ha senso lasciare troppa erba perché quando secca, toglie vita alla vite, e quando è verde è sempre lei che decide cosa lasciare.

Posso raccontarvi ciò che ho visto: le vigne Bressan sembrano emanare energia; nella centenaria vigna del nonno di Fulvio, quella di Pignolo, ho annusato la terra e ho percepito immediatamente i sentori del ferro, della ruggine, e le vigne sono talmente vive da far sentire la propria forza (e credetemi, non è suggestione!).
Guardo le viti, tutte potate con un solo tralcio a tre gemme, con una resa per vigna bassissima, corro ad immagini viste in Francia, dico al Signor Nereo che mi ricordano tanto quella scuola, e lui mi risponde che è ben lì, spendendo parecchi soldi, che ha fatto studiare Fulvio, ed io replico subito che anche un padre, dunque, può imparare dal figlio! Mi guarda sempre con la stessa espressione e mi risponde: “No, io le vigne le ho sempre potate così; cosi era, così è e così sarà sempre se si vuol fare un grande vino!”
Mi piace tutto di Lui, la sua schiettezza, la sua cultura, la sua forza, la grande storia che si porta dentro e in qualche modo entriamo in contatto al punto che, prima di risalire sul trattore, dice che avrebbe cucinato la pasta con il guanciale, tagliando delle fette di crudo e di salame con del formaggio, prodotto in famiglia, e che l’appuntamento per il pranzo era a mezzogiorno in punto, senza repliche.

CONTINUA…

Fulvio Bressan SchioppettinoLA CANTINA

Torniamo verso casa Bressan, abbiamo poco più di mezz’ora per entrare in cantina e degustare qualche vino; la cantina è ampia, anzi il termine corretto è ”giusta”, è come Fulvio l’ha voluta.
E’ la cantina dove i fermentatori in acciaio rappresentano il moderno mentre le travi del soffitto in legno, tagliato in luna giusta per non avere tarli e trattato con un liquore d’erbe fatto dall’erborista, sanno di antico; qui i lieviti del vino trovano giusta e naturale dimora. 
Ancora acciaio per i vini che “non bevono legno” e botti per i vini che invece ne hanno bisogno; nessuna attrezzatura di laboratorio o altre cose superflue, il necessario è tutto qui: attrezzatura meccanica moderna e antica, la miscela vincente per vini sontuosi, ognuno con una sua identità e, a conferma del fatto che il vino è vivo, mi rammarico con Fulvio di come questi vini appena assaggiati siano di molto superiori a quegli stessi degustati al Vinitaly, a riprova che il vino, come tutti gli esseri veri e vivi, possa sentire il cambio d’aria, la stanchezza di un viaggio.

E’ anche la cantina dell’arte, dove un artista, compagno di stanza di Fulvio ai tempi dell’università, ha dipinto una poesia; come la musica crea la danza, così in questo quadro le parole della poesia diventano i tratti del pittore, a spiegare che il vero tesoro della vita è un percorso che continua e che l’unica cosa che veramente ci appartiene è il nostro tempo. In questo spazio l’uomo dovrebbe accumulare i suoi tesori, tessere d’oro di un mosaico fatto di conoscenza, esperienza, amicizia e amore, per coltivare la qualità della nostra esistenza.

A mezzogiorno il signor Nereo si presenta con una bottiglia di schioppettino sotto braccio; ci avviciniamo alla tavola, sotto un porticato all’aperto, dove già due piatti ovali pieni di salame, prosciutto crudo e formaggio ci strizzano l’occhio facendoci venire l’acquolina in bocca. 
Appare una pentola piena di lasagne fatte in casa e condite col sugo di guanciale; Nereo ci dice con tono autoritario che non ci sarà servizio al tavolo perché ognuno ha la sua fame, quindi ci si serve da soli, e lasciata la padella su di un altro tavolo si cominciano discorsi sul buon cibo della nostra tradizione.

Arriva il turno del prosciutto crudo. Io prima ne godo il color rosa, con una bella trama ricca di venature grasse, poi l’annuso e nulla mi arriva al naso oltre la piacevolezza e la finezza del profumo, infine lo assaggio ed è dolce la sapidità, poco percettibile, è morbido, si scioglie in bocca, è squisito.

A metà pranzo il Signor Nereo viene a salutarci; ha fatto il cuoco e non ha mangiato con noi, mi stringe la mano e guardandomi dritto negli occhi mi dice: “Lei sa che per tutta la sua vita si ricorderà di me e di quello che le ho raccontato?” Si è girato e se n’è andato, io non ho avuto il tempo per rispondergli; tanto Lui, insofferente all’ovvio, sapeva già la mia risposta.

Ti aspettiamo a Milano, Fulvio.

 

 

Fonte foto Fulvio Bressan: www.winestories.it

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