Paltrinieri: il Lambrusco di Sorbara “Radice” alla prova del tempo

Paltrinieri: il Lambrusco di Sorbara “Radice” alla prova del tempo

La Verticale
di Valeria Mulas, Florence Reydellet
24 settembre 2024

Il lambrusco di Sorbara è da sempre apprezzato per la sua briosa gioventù, dai toni freschi e delicati. Il rifermentato in bottiglia “Radice”, però, di Barbara e Alberto Paltrinieri, dona un’altra possibile prospettiva grazie a una longevità quasi inaspettata.

«Emilia sdraiata fra i campi e sui prati, lagune e piroghe delle terramare,
guerrieri del Nord dai capelli gessati, ne hai visti passare!
Emilia allungata fra l'olmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante»

F. Guccini, L. Dalla

L’Emilia per chi arriva come noi da Milano è una distanza di dialetti, di storia e di tradizioni, che l’apparente uniformità della geografia della Bassa nasconde tra le piane dei campi. Una distesa che si svuota di riso e si riempie di frutta. Di pere in particolare, nella bassa modenese, e di lambruschi che qui, su fertili terre sabbiose e limose, hanno messo radici tanto profonde quanto spavalde. Sono le terre di origine di Francesco Guccini, cui rubiamo le parole di attacco di questo nostro reportage e che ci sembrano perfette per Sorbara: un lembo di terra stretto nell’abbraccio dei fiumi Secchia e Panaro, con l’aggiunta del suo affluente modenese, il canale Naviglio. 

Sorbara è una frazione di Bomporto di circa 3.800 abitanti che vanta un proprio autoctono: il pallido e acidulo lambrusco di Sorbara, forse il più antico e più vicino alla vite selvatica, con cui condivide la natura dioica, cioè a sessi separati. Si tratta di una pianta a fiori femminili, pressoché autosterile, di tipo arcaico potremmo dire, che trova nel lambrusco Salamino un suo partner ideale. La coltivazione promiscua fra i due consente la fecondazione del Sorbara e la loro vinificazione congiunta permette di accentuare il colore scarico e di smorzare la cospicua acidità di quest’ultimo. Per questi motivi, la denominazione Lambrusco di Sorbara DOC prevede l’impiego di un minimo del 60% di uve lambrusco di Sorbara e consente fino a un massimo del 40% di uve lambrusco Salamino e del 15% di altri lambruschi (da soli o congiuntamente). La vinificazione congiunta è sempre stata la strada maestra, incontrando il favore del pubblico, nelle sue versioni abboccate, cariche di colore e di corpo. 

Un successo decretato dai numeri, soprattutto per l’esportazione che vede negli Stati Uniti un mercato di riferimento (il 2024 segna anche il picco di vendite in Messico). Il Lambrusco è tra i vini italiani più amati all’estero (e probabilmente tra i più bistrattati in patria). Soffre, per tale ragione, di una concorrenza spietata, che negli anni ha giocato sulla riduzione dei prezzi, sull’aumento delle rese e sulla costruzione di un’identità di vino facile, immediato, certamente non adatto alla prova del tempo. Eppure di longevità (almeno per il Lambrusco di Sorbara), se ne parla con sempre meno timidezza, come se l’antico DNA di questo vitigno trasportasse con sé anche una capacità di far evolvere la sottile personalità del vino verso nuove e ancora poco esplorate prospettive. In quest’ottica la scelta della vinificazione delle uve di lambrusco di Sorbara in purezza è stata non solo rivoluzionaria rispetto alla concorrenza e alle richieste del mercato, ma anche una decisione che oggi mostra la sua lungimiranza. 

Paltrinieri e la rinascita del lambrusco di Sorbara

Alberto Paltrinieri è tra i primi artefici della vinificazione delle uve di lambrusco di Sorbara in purezza. L’azienda agricola nasce con il nonno chimico farmacista Achille che, nel 1926, acquista le prime particelle del vigneto al “Cristo”, oggi considerato un vero e proprio Cru per il Lambrusco di Sorbara. Qui costruisce la cantina e la casa, con una prospettiva che già guarda al futuro dei suoi cinque figli. Sarà Gianfranco, il più piccolo, a farne un mestiere e ad allargare a 15 ettari le vigne, tutte a corpo unico intorno alla tenuta. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso il passaggio di mano al figlio Alberto è un momento per dare nuovo slancio alla produzione. Certa del proseguo del lavoro in cantina, la famiglia è pronta per acquistare le autoclavi e iniziare un nuovo percorso di autonomia e crescita. Gianfranco fa un passo indietro e lascia totale autonomia ad Alberto, che nel frattempo ha sposato Barbara, maestra di vocazione.

Il mercato però è saturo e altamente concorrenziale. Impossibile per una piccola famiglia trovare uno spazio di autonomia, a meno di azzardare per differenziarsi. «Mio papà diceva sempre che il Sorbara da solo è più buono», racconta Alberto, «e così ho deciso di seguire questa direzione». La scelta di Alberto è ormai riconosciuta come rinascita del Lambrusco di Sorbara in una veste identitaria di forte carisma, di facile riconoscibilità e di grande personalità: il colore rubino, senza la macerazione, si è tinto di rosa tra il salmone e il fiore di pesco, a seconda delle annate, le acidità svettano gagliarde e la salinità si mostra fiera ad ogni sorso, occhieggiando al futuro senza grande timore di perdere splendore. 

Oggi, l’azienda consta di 17 ettari e sono ben cinque su otto le etichette che vedono il vitigno in purezza: due spumanti (il metodo Charmat LaRiserva e il Metodo Classico Grosso), due vini frizzanti da Charmat (Leclisse, Sant’Agata) e un frizzante rifermentato in bottiglia, Radice. Un nome che dal 2011 richiama la tradizione: «abbiamo sempre fatto questo vino in famiglia e non l’ho mai abbandonato, nonostante la rifermentazione in bottiglia fosse considerata prima una tecnica vecchia e instabile, superata dall’avvento della precisione delle autoclavi, e oggi quasi un vezzo modaiolo».  Dopo una prima fermentazione alcolica avvenuta in acciaio con lieviti indigeni, il vino base è imbottigliato assieme a un po’ di mosto dolce dell’annata nel marzo successivo alla vendemmia. Parte così una seconda fermentazione in bottiglia. A scanso di equivoci, si tratta dunque di un vino senza sboccatura, rigorosamente secco e con il fondo. «Diffidate, pertanto, dei rifermentati in bottiglia abboccati o senza fondo», rammenta lo stesso Alberto.

La degustazione
Lambrusco di Sorbara DOC rifermentato in bottiglia, secco frizzante “Radice”

Facciamo tre premesse. Il Radice è lontano anni luce dagli “sciroppi” al gusto “tutti frutti” che invadono gli scaffali; non cade mai nella trappola dei difetti; e mantiene una coerenza stilistica lodevole (la virtù della discrezione, la mineralità spinta). Sei millesimi ci offrono l’opportunità di capire quanto riesca a mantenersi in termini di spinta, succosità e freschezza di frutto. Sei millesimi che sfatano in un batter d’occhio ancorati pregiudizi: il Lambrusco di Sorbara può essere longevo ed è capace di conservarsi senza rinnegare la propria espressività. 

2023 - tappo a corona

Rosa molto tenue. Apertura aromatica in principio timida. Profumi senza fronzoli di sorta, ma acconciati con raffinatezza. Pompelmo, gesso, salicornia; e qualche sbuffo di volatile che tuttavia non incidono sulla piacevolezza. All’assaggio è - al di là di ogni possibile dubbio - salato: dall’ingresso al centro bocca e all’allungo finale. Valore aggiunto è conferito dalla gentilezza di tocco della carbonica e dalla trama tannica, sussurrata. Un vino insofferente ad ogni ostentazione, da attendere. 

2022 - tappo a corona

Il rosato tende al color pesca. Silhouette olfattiva più larga della precedente. Gioca sulla dimensione fruttata, non tanto sulla salinità. Guidano i suoi passi la fragolina di bosco e una fisionomia succosa che rammenta il chinotto; preludono a note più complesse di spezie e persino di pasticceria. Gustativa dall’effervescenza un po’ imprecisa, con un passaggio a vuoto nel decorso, che rimane però sorretta da ottima corrente fresca. La chiusura è tersa e a lungo accarezzata da una nota pietrosa (osiamo la parola). 

2021 - tappo a corona

Generoso nella veste, rosso amaranto, e molto più vitale sotto il profilo dell’effervescenza rispetto alla 2022. Il suo è un patrimonio aromatico non vastissimo - un tocco di calce, una nuance di cipria e una lieve nota di cedro -, ma di grande pulizia. “Less is more”, come si dice in questi casi. Di note evolutive, nessuna traccia. Cammina articolando il passo: la CO₂ s’insinua con garbo senza aggredire; una freschezza agrumata conferisce ritmo; e la mineralità finale fa il resto. 

2018 - tappo a fungo

Rosato corallo. L’olfatto più stanco dell’intera batteria. Dopo un incipit di riduzione che svanisce in fretta, sa di spezie dolci e propoli, rosa appassita e frutta dai toni surmaturi. Richiami di salvia arricchiscono a bassa voce il repertorio. Assaggio di buona cinetica, ampio ed estrattivo, con una percezione materica più “cicciotta”. Chiude su una nota di caffè, con una piccola rinuncia alla persistenza sapida.

2015 - tappo a fungo 

Profilo visivo in forma, cede il passo a sfumature buccia di cipolla. Il naso è piacente, ancora ben disegnato: una rassegna delle più svariate erbe, scorza d’arancia e nocciole tostate. Con il passare dei minuti, aperture balsamiche. Il corpo non presenta ostacoli, anzi. Progressione gustativa scattante coadiuvata dalla carbonica e da un’acidità di stupefacente vitalità. Congedo salino, quanto basta per lasciare il palato pulito. 

2012 - tappo a fungo (DIAM)

Assaggio inaspettato, indimenticabile per complessità ed equilibrio. Colore buccia di cipolla intenso, energico. Il vino è praticamente integro di arancia amara, confettura di rabarbaro, mandorle sbucciate e iris. Più avanti, di rosmarino. La presa al palato è scattante e l’incisività minerale conclusiva sorprende. Il più grande Lambrusco di Sorbara a nostra memoria. Commovente (e chi scrive non appartiene a una generazione di romantici).