Pietra che prende il volo

Pietra che prende il volo

La Verticale
di Armando Castagno
04 novembre 2018

Grumello Rocca De Piro e Buon Consiglio Riserva. La nobiltà del nebbiolo valtellinese con una doppia, emozionante, verticale di Arpepe

Pubblicato su Viniplus di Lombardia - N°14 Marzo 2018

Della trinità delle sottozone della Valtellina centrale, che comprende anche Sassella e Inferno, il Grumello è la più defilata, quella raccontata meno spesso. Sarà forse, almeno in parte, una questione onomastica. Sassella sa di sasso, evocando già sin dal suono la disperata tenacia con cui generazioni di agricoltori l’hanno scalpellata da un enorme, nudo strapiombo, in una successione di gradoni. Già solo per immaginare il suo dirupo come ambiente di coltivazione di alcunché, occorre un impasto di vigore, coraggio, fantasia e vocazione al martirio in parti uguali. Inferno sa di se stesso: la parola, adattata a un luogo da vino, accalda e affatica al solo pensiero, restituendo il destino, gramo ed esaltante insieme, di coloro che ne lavorano le balze per trarne un vino (qui già raccontato) che è una bizzarra e meravigliosa elica di ossimori: se ne ama l’ardore montano, se ne trae l’immagine del caldo palpito di un freddo monolite. 

Grumello, dunque, evoca per parte sua il grumo, in senso metaforico (sta per “sperone di roccia”): quello su cui svettava un tempo il Castello dei de Piro, costruzione articolata su due corpi di fabbrica dei quali già nel 1526 non restava che il rudere tarchiato. Uno dei due, sormontato oggi da una bandiera perennemente tesa dal vento, mantiene la severità di un guardiano. In una giornata tersa, per non emozionarsi di fronte al panorama che da quassù si squaderna, occorre avere il cuore sordo e pesante come il granito che prorompe qua e là da sotto il velo del suolo. Il passaggio rapido delle nuvole e delle nebbie, a contrasto con la saldezza delle mura residue, appare una buona metafora della vicenda del luogo e dei suoi abitanti: “per scomoda e ingrata che sia” si immagina essi pensino “è la mia terra e io qui resto”. 

Viste da sotto, le vigne della sottozona Grumello colpiscono non meno delle altre due citate, specie in alcuni strapiombi pressoché verticali. L’area, che interessa i comuni di Sondrio e Montagna in Valtellina, annovera circa 74 ettari di vigneto, per 300.000 bottiglie all’anno; la si individua subito a nord-est del capoluogo, ascendendo dai 300 metri di altitudine della linea basale, i cui vigneti sono in parte inurbati, ai 580 delle zone più alte, il Dosso della Madonnina e il Dosso di Croce. La tradizionale separazione del Grumello in due regioni, quella che a buon diritto può dirsi storica e quella dei Dossi Salati – annessa alla sottozona al tempo del varo della DOC - non riguarda solo la conformazione del territorio, platealmente diversa, ma anche la fisionomia dei vini che ne nascono. 

La zona storica, posta dai 300 ai 460 metri di altitudine, è un vertiginoso precipizio di terrazze collegate da incerti gradini, una specie di labirinto che sarebbe potuto sortire dalla fantasia di Piranesi o di Escher. Questi precari, stupendi appezzamenti sono divisi tra sette proprietari: la Cantina Castel Grumello, la Cantina di Villa, Alberto Marsetti, Arpepe, Giorgio Gianatti, Mamete Prevostini e Nino Negri. Aree interne al Grumello storico con un proprio nome tradizionale sono ad esempio Ca’ Bianca, Sassorosso, Sassìna, I Quadri. A mezza costa passa qui il confine comunale tra Sondrio e Montagna in Valtellina. Le pendenze sono impervie; la parete rocciosa si coglie come una lastra unica guardando questi impressionanti vigneti dalla base. Questi impianti, la cui esposizione gira toccando sia il sud-ovest che il sud-est, donano un rosso essenziale, dal carattere lieve e risolutamente minerale, ma tipicamente disponibile ai profumi, dolci e vaporosi, e in genere godibile in tempi ridotti rispetto all’omologo vino della sottozona Sassella, limitrofa a sud-ovest e separata dalla dorsale del Grunello dalla significativa incisione della Valmalenco. 

Arpepe

I Dossi Salati, tra la frazione di Colda e quella di Ponchiera, sono invece una specie di “piano di sopra” del Grumello; partono all’incirca dai 400 metri di altitudine e rasentano come accennato i 600; la loro esposizione è convintamente e interamente a meridione. I proprietari sono qui undici: Dirupi, Plozza, Luca Faccinelli, Nicola Nobili, Renato Folini, Aldo Rainoldi, più Gianatti, Marsetti, Prevostini, Cantina di Villa e Castel Grumello; questi ultimi cinque hanno dunque vigneto in entrambe le sotto-sottozone del Grumello. La celebre zona detta Le Prudenze, che si può trovare rivendicata nell’etichetta dello splendido vino di Alberto Marsetti, si trova anch’essa su questo livello superiore. Difficile confondere un rosso dai Dossi Salati con uno dalla zona storica, a parità di protocollo di vinificazione; ai Dossi si nota una maggiore concentrazione sia di colore sia di estratto, e in generale una maturità più spinta nel frutto, evidentemente figlia dell’esposizione luminosa, e una freschezza che, pur fusa alla struttura, si fa sentire. Le potenzialità evolutive delle due aree sono invece, a detta di tutti coloro cui ci siamo rivolti e stando anche alla nostra piccola esperienza personale, in tutto e per tutto omogenee, e decisamente rilevanti. 

Nel quadro dei produttori storici del Valtellina Superiore Grumello, nonché nel cuore di una fiumana di appassionati, Arpepe occupa un posto speciale e privilegiato. Il curioso acronimo aziendale (in passato puntato: Ar.Pe.Pe.) ricorda il suo uomo decisivo, Arturo Pelizzatti Perego; unico dei quattro figli del patriarca Guido a lavorare in quella che era stata un 

tempo una cantina dall’enorme potenziale anche quantitativo, dovette cedere nel 1973 alla logica di vendita che interessò del resto parecchie aziende nel periodo (si passò da 3.200 a meno di 1.000 ettari vitati in Valtellina in pochissimi anni). Oggetto della cessione furono le cantine e il marchio, cioè il cognome Pelizzatti, ma per fortuna non le vigne a lui spettate, tuttora in proprietà della famiglia, e portate oggi avanti dai due figli, Isabella ed Emanuele. “Arturino” ripartì da quelle, e forzosamente dal bizzarro acronimo “Ar.Pe.Pe”, con la vendemmia 1984. Lo stile dei nuovi vini di Arturo (dapprima il solo Sassella Rocce Rosse, in seguito anche gli altri, compreso il Grumello) restava figlio della sua sensibilità, acquisita e messa a punto nei due decenni precedenti: rossi tradizionali, asciutti, equilibrati, atti a lungo invecchiamento, allo stesso modo delle grandi Riserve che, lavorando con il padre, aveva già licenziato (in bottiglie borgognotte) soprattutto durante gli anni Sessanta e solo nelle annate migliori. Invece, ovviamente, lo stile dei Valtellina che, realizzati da altri, uscivano ora sul mercato con il marchio “Pelizzatti” era del tutto diverso, e per usare un eufemismo non altrettanto orientato verso la qualità. 

Il primo vino di Arturo del nuovo corso fu dunque il Sassella Rocce Rosse 1984, messo in commercio nel 1990 col marchio Ar.Pe.Pe. La cantina, tuttavia, si trova proprio nel cuore delle vigne del Grumello storico, entro il cui sperone montano è stata ricavata. La zona era all’epoca (anni Cinquanta) fuori dal tessuto urbano di Sondrio di almeno un chilometro; l’idea di scavare la cantina praticamente dentro la montagna rispondeva a criteri di antichissima tradizione: la temperatura e l’umidità vi risultavano – e vi risultano ancora – ideali e costanti. La famiglia aveva sempre posseduto vigneti al Grumello, ed anzi, prima del fatidico 1973, il blocco più significativo di proprietà familiari era proprio qui: può dirsi che il Grumello “storico” fosse stato a lungo un quasi-monopolio dei Pelizzatti, e finì smembrato in quanto nella spartizione tra Arturo e le sue tre sorelle i vigneti sotto il Castello erano finiti per gran parte a queste ultime, e quindi venduti. Oggi, Arpepe possiede circa 4 ettari nella sottozona, divisi in due parcelle: quella (2,5 ha) 

rocciosa, dirupata e precoce del Buon Consiglio, giusto sopra la cantina a circa 300-350 metri, e quella (1,5 ha) più argillosa e tardiva di Sassìna, dai 450 ai 500 metri di quota, presso la chiesetta dedicata a Sant’Antonio, che sovrasta i vigneti, e nella quale nel 1969 Arturo aveva sposato Giovanna. 

Da questi appezzamenti, e sempre da Nebbiolo in purezza, Arpepe ricava oggi tre etichette distinte di Valtellina Superiore Grumello. Dall’assemblaggio di uve delle due zone citate, si ottiene nelle annate ordinarie il Grumello Rocca de Piro, il solo a essere imbottigliato nella bordolese; è un vino che nasce per essere goduto ancora in piena prestanza del frutto, stanti la maturazione in legno (da 50 hl) e l’affinamento in bottiglia più brevi delle due Riserve. Queste ultime (Grumello Riserva Buon Consiglio e Grumello Riserva Sant’Antonio) restano in cantina per almeno cinque anni, tra botti di maturazione e vetro di affinamento. Le loro macerazioni sulle bucce sono sensibilmente più lunghe, e la tendenza di Emanuele e Isabella è quella di allungarle ancora. A quanto abbiamo potuto valutare in assaggio, infatti, anche qui da Arpepe il prolungamento del tempo di contatto tra mosto-vino e bucce lancia il vino verso superiori finezza e complessità, contrariamente a quello che sovente capita di ascoltare (“macerazioni lunghe portano a estrazione eccessiva e a perdita di eleganza”), e che almeno con riguardo al Nebbiolo (ma non solo) si rivela convinzione erronea non appena si approccia seriamente la verifica di questo assunto. 

Abbiamo investigato, nella degustazione di cui segue il resoconto, alcune annate di vini dal Grumello prodotti dalla cantina dei Pelizzatti Perego; l’indagine ha abbracciato lo spazio di circa 15 anni, e si è concessa due interessanti divagazioni relative ai tempi della Pelizzatti pre-1973. Abbiamo preferito evitare l’ingaggio al Grumello Riserva Sant’Antonio, ritenendone la storia ancora troppo breve (prima annata: 2009) per poterne trarre indicazioni probanti. Sono invece stati messi in parallelo la Riserva Buon Consiglio delle grandi annate 2009, 2007, 2005, 2001, 1999 e 1995 con il Grumello Rocca de Piro dei millesimi, in cui non è stata prodotta Riserva, 2015, 2010, 2006, 2004, 

2002 e 2000. L’esito del confronto, o almeno le impressioni che ne abbiamo tratto noi, è riassunto dalle singole schede, ma dovendone tirare le somme sottolineeremmo quanto segue. 

Entrambi i vini confermano del Grumello l’interpretazione plebiscitaria e aneddotica, quella che lo qualifica come la sottozona dalla più nitida vocazione all’espressività e alla soavità dei profumi; dalla sessione è emersa una volta di più la peculiare situazione climatica del territorio, per il quale non valgono quasi mai le generalizzazioni legate alle annate in Italia: la Valtellina è terra di eccezioni, e segue un almanacco suo proprio nella gerarchia dei millesimi. I vini, nella loro spettacolare complessità, nella nobiltà di tratto che li accomuna pressoché tutti, e nell’artigianale cura dei dettagli, avvalorano inoltre la considerazione di questa cantina come una delle migliori d’Italia in assoluto per la produzione di rossi di stampo tradizionale, e come un’autentica trincea posta di traverso al narcisismo stilistico che nelle poche, vere denominazioni classiche italiane consideriamo irricevibile, perché intimamente paradossale. 

A livello di longevità, non intesa come generica “tenuta nel tempo”, ma come capacità del vino di trasformare virtuosamente le sue risorse aromatiche e tattili resistendo al decadimento, non si registra una superiore vocazione della Riserva Buon Consiglio nei confronti del “fratello minore” Rocca de Piro. L’incidenza delle bottiglie compromesse dal tempo è risultata più o meno la stessa nei due casi, e assai bassa, e andando a sondare poi appunti scritti e ricordi personali memoria abbiamo trovato piena conferma di questa sensazione: il Grumello meno ambizioso non invecchia peggio o più precocemente dell’altro. 

Potrebbe infine non essere un caso – ma sarà difficile trovare la chiave interpretativa della circostanza - la frequenza ormai precisamente biennale delle “grandi annate” nel distretto. Le sei annate recenti in cui è uscita la Riserva Buon Consiglio sono tutte dispari; quelle in cui si è invece scelto di uscire con il Rocca de Piro quasi tutte pari, salvo la 2015 che peraltro ci è parso un vino così clamorosamente buono da instillare il sospetto che si tratti di un’ulteriore grande annata, solo insolitamente pronta. 

La Verticale

GRUMELLO ROCCA DE PIRO 2015 

Colore di particolare brillantezza sui toni del porpora chiaro. Uno splendido, rorido bouquet di rosa selvatica e felce prelude all’aprirsi di complessità ulteriori tra la china, le erbe officinali e il lampone; l’insieme suggerisce il concetto di “ampiezza”, cui contribuisce una nota volatile. Segue una bocca dissetante e più sobria nei modi, in cui, di nuovo, l’acidità è fattore costituente; il graffio tannico e il filo di amaro finale lasciano spazio al dilagare della sensazione di calore che l’annata ha offerto come traccia di sé. Vino dal potenziale mirabolante, sempre che riesca a farsi alleata la generosità alcolica: è un punto esclamativo sul concetto che - almeno a riguardo del Nebbiolo - la macerazione molto lunga (110 giorni, in questo caso) porta con sé una promessa di complessità, articolazione e armonia generale. 

GRUMELLO ROCCA DE PIRO 2010 

Un profilo ricco, più scontroso del previsto sulle prime: alla stappatura il profumo è su severe citazioni di caffè, cenere, viola appassita e corteccia, con un tocco di cappero e qualcosa di cerealicolo (orzo tostato) e appena caramellato. Si rivela tuttavia mobile nel bicchiere, subendo trasformazioni radicali nello spazio di un’ora, e finendo per far emergere note di erbe aromatiche, radici, sedano, cardo. Spietatamente virile al sorso, appoggiato su un’autentica lastra salina, che lo accompagna lungo lo sviluppo e ne segna la persistenza; il tannino ha morsa stretta, l’eco del finale è tra i fiori e il vegetale; l’uscita ha una vibrazione amara. 

GRUMELLO BUON CONSIGLIO RISERVA 2009 

Prugna, tabacco e terriccio nel ricercato seppur timido bouquet che porge sin dall’avvio; il contesto rimane statico, eppure è rigoroso e autorevole, così come lo è la dinamica dell’assaggio, sorretta da un’imperiosa sapidità. La sua elegante asciuttezza aromatica permette di cogliere meglio la forza minerale che custodisce, e che allunga e qualifica le sensazioni finali, le quali nello spazio di una decina di minuti si illuminano di note di agrume, tra il mandarino e il pompelmo rosa. Non è un vino basato sulla complessità quanto sulla compattezza, veramente granitica; ma potrebbe regalare tra qualche anno la sorpresa del disvelamento di un’anima più tenera e concessiva. 

GRUMELLO BUON CONSIGLIO RISERVA 2007 

Vendemmia precocissima per la zona, avviata il 1° ottobre; 43 giorni di macerazione. Il profumo, veicolato ma altresì velato da una nota spiritosa in chiara evidenza, racconta di un’introversione che la bocca non confermerà; richiama la legna arsa e il sottobosco, il cuoio e la ciliegia matura, persino il kirsch qualora la componente fruttata si legga alla luce della forza alcolica. È invece un vino fantastico al sorso, composto ma energico, nel cui sviluppo l’emergere della vena minerale schiarisce il panorama aromatico fornendo all’insieme una pulizia effettivamente “montana”; l’idea generale è improntata a un nevrile, inquieto vigore. 

GRUMELLO ROCCA DE PIRO 2006 

Da un’annata relativamente precoce ma non calda, vendemmiata dal 19 ottobre. Si tratta di uno dei migliori Grumello della verticale, di meravigliosa austerità ai profumi, infusi in un’essenza di liquirizia, genziana, ginepro, spezie e pietra calda che “fa” Valtellina più di una cartolina illustrata. In bocca c’è ancora il frutto in tutta la sua vibrante freschezza, nitido per l’alleanza di acidità e sali, e al contempo addolcito dal fiato alcolico del vino e ispessito dal tannino. L’evoluzione nel bicchiere sull’ora e mezza lo vede infine imbozzolarsi fino a chiusura quasi totale. Un grande vino, senza tentennamenti; richiede, e al contempo allena, la pazienza del degustatore, la sua inclinazione ai particolari, l’attrattiva per il decisivo valore dell’originalità. 

GRUMELLO BUON CONSIGLIO RISERVA 2005 

Quintessenza di garbo e proporzione sin dalla nascita, il Buon Consiglio 2005 è oggi forse all’apice della sua traiettoria. È un concerto di rimandi floreali e delicatamente speziati, di lirica bellezza e prodigiosa misura; il suo bouquet di rosa canina, ruta, pepe bianco e tè rappresenta l’apice di eleganza della degustazione intera. Sobrietà e classe anche all’assaggio, accompagnato da un tannino presente ma tutto sommato non fondamentale nella dinamica, che invece trae succo e vigore dalla corrente acida e dalla percezione salina che lo scorta dal principio all’epilogo, come abbagliato di sale. Il Grumello nella sua versione più letteraria, quella che richiama gradualità, dolcezza di tratto, grazia naturale, luminosità. 

GRUMELLO ROCCA DE PIRO 2004 

Frutto di un millesimo tardivo (vendemmia al 25 ottobre). Tanto principesco ci è apparso il Buon Consiglio 2005 quanto turbolento è sembrato questo; odora di iodio, sangue e ferro, pelle conciata e goudron, tracciando un profilo di scabra essenzialità, venata di scuro. La bocca apre un ampio volume, ma mancando di qualcosa in termini di freschezza risulta più monocorde e frenata di altre annate; inoltre, è il solo vino della verticale a presentare nettamente l’eco dell’affinamento in legno, in sentori di frutta secca e macis. Uscita su toni più schiettamente valtellinesi, cioè minerali e catramosi, frutto di una evoluzione affascinante e ormai risolutamente avviata. 

GRUMELLO ROCCA DE PIRO 2002 

Rispetto alle sfavorevoli condizioni del millesimo in Italia, la Valtellina fa notoriamente eccezione: l’estate fu sì fredda e piovosa, ma l’autunno si sviluppò in un sole magnifico e condizioni di tempo bello e asciutto. Ed ecco spiegata la riuscita di questo succosissimo Grumello, in cui la dolcezza del frutto raccolto è ancora riflessa dopo oltre 15 anni dal profilo aromatico di ammaliante soavità (tè zuccherato, marmellata di limone, incenso, mentolo). In bocca si trova né più né meno di quanto si attende: freschezza e coordinazione, un senso diffuso di morbidezza, una certa levità estrattiva, un tannino in tutto risolto e una persistenza magari non eterna, ma linda e precisa. 

GRUMELLO BUON CONSIGLIO RISERVA 2001 

Classico acquarello autunnale, comune nei rossi italiani del millesimo: foglie e radici in evidenza su erbe come la genziana, poi fungo, alloro, tabacco e ciliegia amara, un’austera traccia “rugginosa”, sfumature minerali e bruciacchiate. Il contesto tende a scurirsi con l’ossigenazione. La bocca rivela un liquido denso e tannico, inconciliabilmente sbilanciato sui toni duri: un vago aroma di cacao amaro soffia nella lunghissima uscita, in cui l’astringenza finisce per limitare l’espansione aromatica retrolfattiva. Un Valtellina di potenza e carisma, ma al punto di non ritorno nell’evoluzione: non ancora sul viale del tramonto, ha però esaurito la propulsione, e con lei forse i suoi migliori motivi. 

GRUMELLO ROCCA DE PIRO 2000 

Vino semplice e buono, ancora aromaticamente vitale: il delicato profumo si può descrivere chiamando alla memoria l’arancia, la melagrana, la felce, qualche tono mellito, di rabarbaro e anice. La bocca è altrettanto fine, soprattutto nella trama setosa dei tannini e nel contenuto estratto, ma pare beneficiata di una tempra diversa; il finale, slanciato e sapidissimo, ha l’effetto di tenerlo in tensione, e così il vino non molla un centimetro neanche dopo due ore dall’apertura. 

GRUMELLO BUON CONSIGLIO RISERVA 1999 

Rinnegato in pochi minuti un esordio dolciastro e scuro di cacao amaro e liquirizia, il 1999 delinea a seguire un profilo inatteso: piuttosto magro e tonico, decisamente sapido, severo nella trama aromatica di frutta secca tostata, spezie e polvere, e tra i più essenziali della degustazione al sorso, indocile nel tannino e un po’ asciugato in fondo. Rispetto al canone classico dei Nebbiolo del 1999, mancano la “ciccia” e la vampa alcolica; la buona maturità del frutto di partenza è stata qui condotta all’approntamento di un profilo serrato ma non pesante, coeso e composto. Alla resa dei conti, una prova sorprendente in positivo, ma per ragioni che non avevamo previsto. 

GRUMELLO BUON CONSIGLIO RISERVA 1995 

Unico vino della verticale con solo il 12,5% di alcol; eppure il suo bouquet è morbido e illanguidito, giocato oggi tra un appetitoso côté di torrone e nocciola e un aspetto più debole ed etereo, appena fumé. In bocca mostra di non aver tenuto alla prova del tempo: lo sviluppo è incerto e con chiari indizi di diluizione e sfibramento, il tannino eclissato, l’acidità cruda e pungente. Il finale è in via di asciugamento, e fatica a estendersi; il lascito manca di espressività. 

GRUMELLO 1970 

Ha il tipico profilo vinilico, caffettoso e fluviale dei Nebbiolo al crepuscolo; qualche nota di arancia e seltz, e una punta di miele grezzo sono quanto di meglio resti da cogliere entro la prima mezz’ora, poi l’insieme si disunisce e prende una connotazione brodosa. Demolito dall’ossidazione all’assaggio, debole e dolciastro; non è ovviamente detto che si trattasse di una bottiglia probante, ma almeno questa era pacificamente senza ulteriori margini di manovra. 

GRUMELLO SASSOROSSO 1961 

Di un aranciato chiaro, non limpido, propone un profumo evoluto, con qualche citazione balsamica di anice e menta e una decisa nota tra il pietrisco umido e l’acqua piovana su un fondo agrumato e di frutta fermentata ormai flebile. Meglio in bocca, che pur nel suo limitato dinamismo sa porgere ancora il dono di un liquido significativo, non privo di morbidezza, acido senza essere crudo, meno scarno del prevedibile a centro bocca e con qualche avvincente rilancio di erbacea freschezza che ne ravviva la percezione verso l’epilogo. 

Credito foto: Arpepe | Alessandro Franceschini