Il Nihonshu (o Seishu), comunemente chiamato Sake, è la bevanda alcolica del Sol Levante più conosciuta a noi occidentali

Il Nihonshu (o Seishu), comunemente chiamato Sake, è la bevanda alcolica del Sol Levante più conosciuta a noi occidentali

Non solo vino
di Giovanni Bordin e Ilaria Santomanco
16 giugno 2011

Questo il tema dell’insolita degustazione che si è tenuta nella delegazione milanese dell’AIS, illustrato da un grandissimo esperto di bevande fermentate e distillate, il presidente di AIS Lombardia Fiorenzo Detti. A testimoniare l’eccezionalità dell’evento, in prima fila rappresentavano il Giappone il signor Console Shigemi Jomori e alcuni produttori, come l'azienda Gekkeikan, giunti appositamente in Italia per questa occasione.

 

Sake

E’ stato proprio il console, coadiuvato dalla sommelier Mako Matsubara, a rendere possibile questa serata, intervenuto per ovviare al blocco delle importazioni dal Giappone, dopo i recenti gravissimi fatti di cronaca. 

In Giappone la bevanda più consumata non è il sake, bensì il tè (o-cha), soprattutto quello verde. Anche la birra gode di buona popolarità, grazie alla presenza di grandi produttori come Asahi, Sapporo e Otaru, così come il vino, prodotto nella regione di Yamanashi con i vitigni koshu, delaware, syrah, merlot e cabernet, mentre dall’Isola di Hokkaido arrivano eccellenti kerner e riesling. Il shochu, invece, è il sake distillato, ricavato non solo dal riso, ma anche da orzo, grano e patate, originario dell’isola di Kyushu. Whisky e cognac sono molto conosciuti e apprezzati in Giappone: dopo gli Stati Uniti, il Giappone è il secondo produttore al mondo di whisky, con distillerie che risalgono al 1923. Viene importato orzo maltato per ottenere la nota fumosa, sullo stile dei distillati scozzesi.

La storia del Sake va di pari passo con quella del riso, la cui coltivazione fu introdotta in Giappone nel III secolo a.C. dalla Cina. Con la vittoria dei Soga, fautori del Buddhismo, nel periodo Asuka (550-700) il sake divenne la bevanda principale. Dopo lo spostamento della capitale a Nara, nel 710, la produzione del sake iniziò ad essere uniformata. Il palazzo imperiale di Nara comprendeva spazi destinati alla produzione di sake, ottenuto selezionando le migliori tipologie di riso. Nel 794, con l’inizio del periodo Heian, la capitale fu portata a Kyoto e qui rimase per mille anni circa: il sake da questo momento inizia a diffondersi al di fuori di templi e santuari, penetrando negli ambienti borghesi e popolari. 

A sovrintendere il processo produttivo del sake è il Toji, il “mastro birraio”, figura che gode di grande rispetto e prestigio. Gli ingredienti sono: riso sake (sakamai), qualità caratterizzata da chicchi di grandi dimensioni, acqua purissima povera di sali minerali, leggera e poco dura, lievito selezionato, kouji, una sorta di riso cotto a vapore, intaccato dalle spore della muffa Aspergillus oryzae. I migliori sake si ottengono da riso con molto amido; una decina sono le qualità più utilizzate, di cui la più nota è il Yamadanishiki. 
Preparare il kouji è un po’ come maltare l’orzo per la produzione della birra: il riso va cotto al punto giusto e poi lasciato in acqua. Il controllo della temperatura in queste fasi è fondamentale. In grandi recipienti si avvia la fermentazione multipla parallela (saccarificazione e fermentazione avvengono contemporaneamente), che dura dalle due alle sei settimane. Segue la pressatura e la filtrazione, ottenendo un liquido privo di parti solide. Per i sake “fortificati” è il momento di aggiungere l'alcol. Ultime operazioni sono la pastorizzazione, per inibire gli elementi vivi e rallentare l’ossidazione, lo stoccaggio e la maturazione.
La messa in commercio del sake coincide con il momento ottimale per degustare questa bevanda, la cui percentuale alcolica varia da 4 a 20% vol. di alcol. Il sake Barrel è conservato e commercializzato in piccoli barili, chiamati Taru, da 1800 cc, aperti durante una cerimonia, detta Kagami Biraki. Prima di essere servito in piccoli contenitori di porcellana, viene scaldato a una temperatura di circa 35 °C. 
Fiorenzo DettiIl sake è uno stile di vita. Studi medici hanno evidenziato alcuni effetti positivi sulla diminuzione del colesterolo, sulla memoria e sulla pressione sanguigna, ovviamente sempre con un consumo moderato. Il gusto delicato si sposa sempre elegantemente con i piatti della cucina giapponese, ma anche con alcune nostre preparazioni di pesce e molluschi.
Diverse sono le varietà di sake: Junmai-shu, "amor di riso puro", prodotto solo da riso e acqua; Honjozo-shu, con l’aggiunta di alcol, Ginjou-shu, ottenuto da riso molto lucidato, Daiginjou-shu, prodotto con riso lucidato al 50%, Nama Zake, non pastorizzato, da conservare in frigorifero, con note torbide e velate. Può essere Amakuchi (amabile) o Karakuchi (secco). Nella Prefettura di Nade si producono sake “maschili” mentre a Kyoto sono più “femminili”. 
Delle 10.000 aziende produttrici esistenti nel 1926 oggi ne sopravvivono 1500: è calata drasticamente la quantità a favore della qualità, sempre più elevata. Attualmente è grande l'interesse per l’esportazione del prodotto finito.

In degustazione:

Traditional Sake, Gekkeikan, 15% vol.

Ottenuto da riso puro californiano senza aggiunta di alcol, affina circa sei mesi prima del commercio. L’Azienda Gekkeikan (Corona di Alloro), fondata nel 1637 a Fushimi, è giunta ora alla quattordicesima generazione, e possiede stabilimenti in Giappone e negli Stati Uniti, dal 1989. Questo sake visivamente è limpido e cristallino, al naso si distinguono note fruttate di mela e ananas, fiori di ciliegio, rosa, biancospino, amido e menta. In bocca è caldo, morbido, fresco e sapido, elegante e di buon corpo, non molto lungo, ma pulito, con un ricordo di bacche di ginepro e un finale confettato.

Yatagarasu Junmai Taru-Zake, Kitaoka Honten (Nara), 14,7% vol.

Sake medium dry. Di color giallo paglierino, affinato in botti di cedro, al naso regala sentori di fieno, pepe, fiori di nespolo, vaniglia e cannella. In bocca è abboccato, caldo, morbido e fresco, con una vena sapida che suscita emozioni. E’ più lungo e coinvolgente, con una piacevole intensità vellutata.

SakeKunizakari Nigori, Nakano Shuzo (Aichi), 14% vol.

Non filtrato, dal colore lattiginoso, come un latte di mandorla, svela al naso un bouquet di fiori, miele, amido, anice e melone bianco. Prodotto solo con riso, senza aggiunta di alcol, in bocca sembra un rosolio, avvolgente ed elegante, con note di cocco.

Junmai Daiginjo, Kyo No Sui (Kyoto), 14,5% vol.

Dal cuore del miglior riso, ha un colore trasparente, con note di erbe, spezie e frutta, farina di castagna e amido, papavero giallo, vaniglia, mandorla e confetto. In bocca è morbido, elegante, armonico, con una nota alcolica più incisiva.

Ai quattro Sake si è aggiunta una gradita sorpresa:

Umeshu (Liquore di prugna), 10% vol.

Preparato anche in casa nel mese di maggio, ricorda nel procedimento il nostrano nocino. Si ottiene generalmente dall’infusione di prugne in zucchero e alcol, in questo caso è un infuso di prugne con vino chardonnay californiano. Colore ambrato, quasi di vino da meditazione, cristallino, al naso offre suadenti sentori di prugna, liquirizia, tamarindo, amalgamati da una nota caramellata molto invitante. Dolce al punto giusto, pulito, si può degustare freddo, con ghiaccio, sour, tonic, soda e tè verde.

In abbinamento è stato servito un piatto di Sushi con Uramaki e Nighiri preparato dal ristorante J’s Hiro di Milano.

 

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