Marsala: porto dallo sguardo lontano

Marsala: porto dallo sguardo lontano

Territori
di Valeria Mulas, Florence Reydellet
23 aprile 2024

Marsala volge il suo sguardo sempre altrove. Ha in sé il limitar della terra e nello stesso tempo l’indole al suo superamento. Due elementi fondamentali che spronano l’essere umano alle rivoluzioni.

Ce ne accorgiamo mentre dall’aeroporto di Palermo la raggiungiamo in auto, con l’entusiasmo di quattro colleghe che, quasi per gioco, si sono date l’obiettivo di studiare meglio questa terra. Abbiamo pochi giorni e un fitto dedalo di appuntamenti con alcuni storici produttori e con altri di nuova generazione. 

Arrivare a Marsala, attraversando le vaste campagne agricole, è prima di tutto un impatto odoroso: dopo il verde dei campi, si fa imperante il mare, con il suo incunearsi nello Stagnone - la laguna dalle acque basse che caratterizza la zona tra Birgi e Capo Boeo - e con il suo trasformarsi in alghe, in zolfo, in salsedine e in acqua salmastra. Una spinta olfattiva che ci resterà nelle narici e che sarà la linfa di questo viaggio.

Il territorio marsalese, passato alla fama per il suo Marsala - un vino liquoroso che la storia fa nascere per mano degli inglesi nel 1773 e che nel 1969 ottiene la denominazione DOC e il relativo disciplinare -, è in realtà un’amplissima distesa di vigne che occupa tutta la provincia di Trapani a esclusione dei comuni di Pantelleria, Favignana e Alcamo. 

Un’immensità che vediamo con i nostri occhi spostandoci in auto e che ci parla di una generosità produttiva, che non può esaurirsi nel solo Marsala DOC. Abbiamo programmato un primo appuntamento con le storiche Cantine Pellegrino ed è lì che inizieremo a mettere ordine tra i fili di questa storia che oscilla tra la leggenda degli inglesi e quella del vino perpetuo, che i vignaioli fanno da sempre qui.

Cantine Pellegrino 

Fondata nel 1880 rappresenta, insieme ai Florio, la storia italiana del Marsala per come lo conosciamo dall’avvento degli inglesi. Nel 2014 la proprietà, ancora famigliare, ha inaugurato la nuovissima struttura Ouverture che affaccia sul mare di Marsala. Il complesso ingloba al suo interno il recupero di alcuni scavi punici, con una nave del 300 a.C. di 35 metri ritrovata nelle acque antistanti la cantina. La Pellegrino possiede 150 ettari vitati nella provincia di Trapani più 10-12 a Pantelleria, cui vanno aggiunte le uve conferite dai contadini. Alle uve classiche della zona si aggiungono quelle di malbec. Le tenute sono tutte in regime biologico e i vini spaziano dai famosi liquorosi agli spumanti, passando per varie linee di vini fermi. Notevole lo sforzo di comunicazione dell’azienda alla ricerca di un mood vintage che richiami l’attenzione dei millennials, così come la volontà di trovare per il Marsala dei nuovi sbocchi nella mixology.

Viteadovest

Di domenica praticamente tutte le cantine sono chiuse, ma Vincenzo Angileri ci assicura una visita in compagnia del papà. Quando arriviamo a casa Angileri il sorriso franco e gli occhi vispi di Giuseppe ci abbracciano in un lungo racconto fatto di campagna, sudore, famiglia, vigne e vino. L’orgoglio di un padre per il figlio qui passa per leggende famigliari che diventano la più iconica bottiglia prodotta da questa piccola cantina nata nel 2013: parliamo della Numero73, un perpetuo pre-British che rappresenta la visione di Vincenzo degli ossidativi. Gli ettari oggi sono circa 8 suddivisi in varie e piccole parcelle tra l’altipiano di Marsala e Mazara del Vallo. La filosofia di Viteadovest è legata alla “naturalità”, con interventi minimi in vigna e in cantina. Il risultato, al netto delle fatiche dell’uomo, è un vino rustico il cui minimo comun denominatore è costituito da ossidazioni e acetiche. Il mercato reagisce con entusiasmo e la produzione è passata dalle 2500 bottiglie iniziali alle 49000 circa odierne. Ci ha colpito favorevolmente la volontà di recuperare il damaschino, un vitigno molto diffuso nella zona fin dal 1868 ed oggi quasi del tutto sostituito dal ben più resistente catarratto e poi dal più pregiato grillo. Dal 2021 (prima annata in commercio) Vincenzo ha deciso di scommettere su questo vitigno vinificandolo in purezza. 

È ormai buio quando lasciamo la tavola di Giuseppe. Abbiamo in testa molti pensieri sovrapposti e alcune immagini che fanno fatica a riposare. Le campagne, spesso anche le tenute di casa, sono piene di plastiche abbandonate, una certa trascuratezza che non si ferma agli angoli delle strade, ma invade il tutto, sovrapponendosi alle parole di cura. La Sicilia mostra le sue vulnerabilità e nello stesso tempo brilla di una luce fatta di storie lontane, di vitigni autoctoni da riscoprire, di nuove strade da percorrere. Parliamo di tutto questo e molto altro davanti ad un piatto di busiate, coccolate dagli osti di una locanda al centro di Marsala e già pensiamo a domani.

Barraco

Arriviamo in anticipo alla cantina di Barraco e ne approfittiamo per fare una passeggiata tra le vigne, che qui arrivano letteralmente al mare. Tra i filari la plastica impera e lungo la via più discariche occhieggiano allegre ai nostri tristi pensieri. Quando entriamo scopriamo che sarà Natale Marino, l’amministratore dell’azienda, a farci da cicerone. Natale è un uomo schietto, di quelli con cui ti viene subito da entrare in confidenza e, forse per questo, non riusciamo a trattenere le nostre perplessità. «Quasi ogni giorno dobbiamo percorrere la strada che lambisce i filari a raccogliere tutto quello che viene abbandonato, in un moto senza fine» la risposta di Natale, che mette le discariche al pari di un male quotidiano, come se ci fosse un’abitudine radicata alla bruttezza, all’incuria. Ha la rabbia di chi combatte i mulini a vento.

Barraco ha iniziato nel 2004 dall’azienda di famiglia. Da lì sono partite le prime acquisizioni, ancora in corso, di piccolissime parcelle sparse nel marsalese, con l’obiettivo di produrre vini naturali e da un’agricoltura priva di interventi con sostanze chimiche di sintesi, che raccontino il territorio. «La mia idea non è un vino “perfetto”, ma un vino che sappia emozionare!» recita così il Nino Barraco del sito aziendale ed è una frase di cui sentiamo l’eco ai primi assaggi. La fatica della vendemmia frammentata tra piccoli appezzamenti è il fil rouge che unisce Barraco ad Angileri, e non è l’unico se i due hanno anche deciso di aprire insieme un wine bar a Marsala. Fanno parte, infatti, di quel manipolo di vignaioli che hanno seguito Marco De Bartoli nella “rivoluzione” del Marsala andando a riscoprire il perpetuo e gli ossidativi pre-British. 

Il vino perpetuo

A Marsala i vecchi ancora ricordano l’uso del perpetuo, un vino prodotto a partire da una base di vino vecchio cui ogni anno veniva addizionato il vino dell’annata corrente in modo da sostituire quanto consumato. Lo stesso Giuseppe Angileri quando ci ha raccontato di come è nato il Numero73 ha ricordato di aver aggiunto vino del 1973 (anno di nascita del figlio) ad una vecchia botte e di averlo via via alimentato, fino a quando Vincenzo non ha deciso di imbottigliarlo e immetterlo sul mercato. Questa narrazione porta in luce una tradizione famigliare certamente antica e che vede nell’ossidazione e nel tempo la base di una lunga maturazione. Altro punto distintivo è l’alta gradazione perché prodotto solo dalle uve migliori e più mature. Ma parlare di vino perpetuo vuol dire raccontare di Marco De Bartoli, il vero artefice della rinascita di questo gioiello e della scommessa sull’uva grillo. Si deve a lui e alla sua caparbietà la nascita del Vecchio Samperi nel 1980, «il vino della tradizione marsalese pre-britannica, il “vino di Marsala” e non il Marsala fortificato», come viene definito sul sito aziendale. Ossidativo, non conciato, non fortificato e ad alta gradazione naturale: torna a nuova vita il perpetuo.

Florio

«Avete in mente in futuro di fare anche voi il perpetuo?» chiediamo alle nostre guide alle Cantine Storiche Florio con l’ingenuità di chi, a fine viaggio, ha ricucito dei nodi in un territorio che sembra aver a cuore la dispersione più che la sintesi. La risposta è un secco no, che sottolinea la storicità di una storia creata sul Marsala DOC e sulla vita di Vincenzo e Ignazio Florio. Arriviamo alla bellissima e immensa Cantina Florio con lo sguardo già rivolto all’aeroporto di Palermo che ci porterà a casa. Conosciamo bene i Marsala che la Cantina produce dalla sua nascita nel 1832, ma la visita all’interno delle sale con le grandi botti, molte delle quali ancora in uso dal 1800, ha la capacità di risvegliare un’insolita curiosità per la degustazione. La narrazione è un mix di biografia della famiglia, di storia d’Italia, con l’immancabile Garibaldi, e di marketing moderno che ostenta grandi numeri produttivi e scenografici complessi architettonici. Dei Florio si sa tutto, complici i libri sulla saga famigliare diventati anche una serie televisiva di successo; eppure, l’azienda non è più famigliare dal 1924 quando, prima, divenne di proprietà di Cinzano e poi della Duca di Salaparuta SpA. Non hanno vigneti propri, ma solo conferitori di uve, tra le quali il grillo ha un ruolo da vero protagonista grazie alla sua salinità ed eleganza.

Degustazione

Terre Siciliane IGT Frappato “Junco” 2022 - Cantine Pellegrino

Rubino chiarissimo. Profilo odoroso subito espressivo e di buona nitidezza: si percepiscono il mosto, le erbe aromatiche, i piccoli frutti rossi (lamponi su tutti) e un minerale di grafite. Un olfatto sorprendentemente ampio che prelude al sorso, teso e dinamico, dove s’incrociano succo e una tannicità incisiva. Finale di lungo respiro, con ricordi mostosi. 

Terre Siciliane IGT Damaschino 2021 - Viteadovest

Colore oro, molto velato. Il naso è restìo: sentori sulfurei e sensazioni vegetali di brodo. Da cogliere fra le righe la colatura di alici, la camomilla, un tocco di cedro e qualcosa di polveroso. Vogliamo confidare che abbisogna di molto tempo per svelarsi. L’ingresso in bocca è glicerico assai (ricorda addirittura la grassezza del midollo) ma lo sviluppo del sapore è percorso di sapidità conferendogli slancio. In chiusura, la colatura di alici duella ad armi pari con il brodo. Un Damaschino ancora sgrammaticato. 

Terre Siciliane IGT Bianco “Altomare” 2020 – Barraco

Dorato, persino ambrato, cristallino nel colore. Focalizzazione aromatica - tutto ruota attorno a sentori di albicocca, caffè ed erbe aromatiche - e precisione gustativa. La bocca calda e glicerica è mitigata da un’ottima dotazione acida (da scomodare l’aggettivo “viperino”). Lunga la persistenza, con la risonanza olfattiva delle erbe aromatiche.

Terre Siciliane IGT Bianco “Meaterra” 2022 - Barraco & Marino

Paglierino lucente. I sentori inizialmente nascondono più di ciò che rivelano, ma con l’aria si concedono: un abbozzo di fragoline di bosco, dei fiori (peonia in primis) e il sale (si presume della Laguna dello Stagnone). Bocca colma di energia. Si accende immantinente la freschezza, mentre la sapidità ci si intreccia come i fili di un arazzo. Spiccano infine echi fioriti, in equilibrio con percezioni marine. 

Marsala Secco Superiore - fortificazione 2016, affinamento di 5 anni – Cantine Florio

Ambrato brillante. L’olfatto pullula: la frutta secca è accompagnata da miele di castagno, tabacco biondo, caramello e salvia. Il palato è carnoso - persino masticabile -, eppure è tutto meno che “seduto”: la progressione è agile, snella, decisamente sapida. La componente alcolica è garbata e non brucia nel finale che invece chiude sulla torba e sulle note marine/salmastre. Insomma, droiture, restando un vino generoso. 

Non siamo riuscite nei giorni di viaggio ad incrociare la famiglia De Bartoli, ma abbiamo avuto, in un’altra occasione, la fortuna di una chiacchierata con Sebastiano, uomo di fibra e di cuore. Tra i racconti emozionati sulla lungimiranza di suo papà sul perpetuo, e non solo, abbiamo degustato tra gli altri il suo grillo in purezza, un’altra “testardaggine” romantica di Marco De Bartoli che, in quest’uva, vide la potenza del mare e la voce di questa terra, al di là della produzione industriale del Marsala.

Grillo Riserva Sicilia DOC “Grappoli del Grillo” 2022 – Marco De Bartoli

Paglierino luminoso e cristallino. Al naso è un’esplosione di iodio marino, su sfondo di erbe e fiori di campo. C’è un po’ di frutta esotica, poi il limone e il bergamotto che tornano al palato come una sferzata di spremuta di agrumi. Salino e fresco, ha un finale glicerico che pulisce e prepara al sorso successivo. Intrigante, elegante ed equilibrato.

«Speriamo che, a fare il perpetuo, da 3-4 produttori si diventi 6 e poi 10, per realizzare quello che mio padre sognava per questa terra: la possibilità di riscatto di un territorio e la rinascita del Marsala». 

Chiudiamo con le parole di Sebastiano De Bartoli questo nostro viaggio a Marsala, il “Porto di Dio”, come recita il suo nome di derivazione araba. Costruita la sua fama su una “tradizione” inglese, Marsala ha esportato i suoi vini liquorosi nel mondo diventando, per circa un secolo, un modello del made in Italy, nonché propulsore di una moderna industrializzazione. Eppure, oggi, la sua rinascita, dopo una lunga crisi, crediamo si stia costruendo lentamente su un passato ben più ancestrale, che orla sapientemente il fare degli anziani con una visione di futuro rispettosa dell’ambiente. Un fluire continuo in cui passato e futuro si scambiano di posto in un unicum cui ci sembra di ravvedere la vera forza propulsiva del domani di questa terra. Una ricerca di identità che scava tanto nelle radici storiche, quanto nello studio dei propri vitigni autoctoni.