Carlo Alberto Panont. Seconda parte

Carlo Alberto Panont. Seconda parte

Interviste e protagonisti
di Gabriella Grassullo e Ezio Gallesi
04 settembre 2013

Seconda parte dell'intervista a Carlo Alberto Panont. Il passaggio dalla Franciacorta alla Valtellina, la nascita del successo dello Sforzato, la Docg, fino ad arrivare in As.Co.Vi.Lo.

Carlo Alberto PanontParlaci della tua esperienza in Valtellina

Inizialmente per rivalsa, poi per convenzione, nacque un progetto fantastico col quale abbiamo rivoluzionato la Valtellina. Lo Sforzato è diventato il suo fattore attuale, da 60.000 bottiglie diventarono 500.000 - ora un po’ scese con la crisi -  e abbiamo creato la Docg. La prima Docg in Italia per un vino rosso passito secco, prima ancora dell’Amarone. Abbiamo trovato il genius loci della Valtellina, che non è tanto lo Sforzato vino, ma il fruttaio, perché tutte quelle cassette che si vedono sul versante, viste anche sulla vostra rivista, messe là a sud sono quei termosifoni di freddo e secco naturale, mentre per l’Amarone occorre condizionare. Questo è il vero genius loci, unito poi al nebbiolo ed ai terrazzamenti. Fu un successo, portammo la Valtellina a livello internazionale, lo era già di suo perché è una delle storie più lunghe e grandi d’Italia dal punto di vista del vino. Ebbi, inoltre, l’intuizione di proporre la Valtellina come patrimonio dell’Unesco. Creai una Fondazione insieme ad un’amica, che poi era il mio ufficio stampa, fu il corrispondente del Giorno edizione Sondrio,  Giuliana Cerretti, una donna che per me è stata un’amicizia illuminante, perché mi metteva in condizione di avere in mano il patrimonio della Valtellina, le conoscenze  non solo viticole, ma anche la politica amministrativa, economica, sociale. La Valtellina è grande, più grande della Valle d’Aosta se pensate che da Madesimo a Livigno ci si impiega sette ore e mezza.

Che gruppo di lavoro hai trovato in Valtellina?

Un gruppo fantastico. Casimiro Maule, uno dei più grandi enologi italiani in assoluto dal punto di vista della produzione dei vini rossi; Domenico Triacca, un illuminato della viticoltura di montagna, forse l’uomo viticolo di montagna più importante oggi in Europa. Avevamo anche una persona di respiro mondiale come Cesare Sertoli Salis, che purtroppo è deceduto. Una persona di grande forza tradizionale come Arturo Pelizzatti Perego, anche lui purtroppo deceduto, e tutto un gruppo di altre Vista Sondrio dai vignetipersone che sono le più significative, che hanno veramente costituito una base forte di lavoro. Altri poi si sono avvicinati, la stessa azienda Nera. In Valtellina io divenni anche vice presidente del Cervim, Centro di Viticoltura di Montagna di tutta Europa, e lì conobbi il Porto, l’Unesco, Bruxelles e tutto il resto. La Valtellina, insomma, mi ha aperto delle porte internazionali. Pian pianino ho fortificato questa mia presenza in Valtellina, tanto più che il mio impegno si allungò e mi portò ad essere l’amministratore delegato del Consorzio turistico per i mondiali di sci a Bormio. Mi sono trovato tra  persone importanti e lì si è aperta una carriera politica.

In che modo?

La politica ti mette gli occhi addosso, cominci a frequentare il jet set, che ti obbliga alla visibilità, e in quel momento ero confuso.  Perché ti chiedi: ”cosa faccio, l’uomo che sta da una parte e dall’altra?”. Mi trovavo spesso a Roma, e lì una parte di me voleva “arrivare” a Roma, sempre per il vino, e dall’altra stare in Valtellina dove mi trovavo  molto bene, non mi mancava nulla, potevo prendermi un momento di pausa, con una partita a golf, oppure godermi la neve con un lago vicino, attorno avevo un involucro dorato molto bello, una grande cucina, cultura, gente per bene che sa accogliere, una struttura economica attiva, due banche forti, zona ricca. Tutti elementi per stare bene, in ogni caso lavoravo come adesso fino alle undici di sera, però desideravo fare quella esperienza a Roma, volevo esprimere un carattere nazionale alla mia formazione.

Come hai fatto ad arrivare a Roma?

Bisognava avere dietro una grande rappresentanza; dal 1999, quando la Franciacorta mi mollò, presi la direzione di As.Co.Vi.Lo (Associazione dei Consorzi di tutela Vini di Lombardia) carica che ho ancora oggi. Il Presidente di As.Co.Vi.Lo. allora era Vittorio Ruffinazzi, che mi “corteggiava”da un po’ di tempo. Mi propose di lavorare in Oltrepò Pavese. «È una terra che ha bisogno di te» mi disse. Quando io lasciai la Franciacorta, l’allora direttore Comolli, nel 2008, mi propose di lavorare insieme, però pensai che due galli in un pollaio non vanno bene. Non volevo replicare la sofferenza avuta in Franciacorta. In quell’anno comunque mi si aprì questa porticina, studiai la situazione in Oltrepò al centro di Riccagioia. Dal punto di vista tecnico avevo una chiara visione del territorio, pur conoscendone le difficoltà. Ruffinazzi è una persona a cui ho voluto bene, ero affezionato, la sua insistenza divenne molto forte. L’allora assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia Viviana Beccalossi mi fece questo discorso: l’Oltrepò è una grande zona viticola, la Lombardia per svilupparsi ha bisogno che l’Oltrepò cominci a ragionare fortemente in senso qualitativo, e tu hai un’esperienza  vincente sia in Valtellina che in Franciacorta, anche se Brescia ha sempre avuto un po’ da dire con l’Oltrepò, però sanno che sei un uomo di qualità e quindi non possono averne a male dal punto di vista qualitativo di una tua presenza lì. Quindi benedirei anch’io questo tuo passaggio dalla Valtellina. E così mi scrisse le condizioni per una mia nomina a Direttore del Consorzio o coordinatore, perché ero ancora direttore in Valtellina, con la clausola di lasciare uno spazio per mantenere un contatto con la Valtellina, avallato dal vicepresidente della Regione Lombardia e una parte politica. Quindi venni in Oltrepò Pavese a quelle condizioni, suscitando da una parte la benevolenza per “l’arrivo di un personaggio”, ma dall’altra tutta la critica sul cosa avrei fatto. 

Qui la prima parte

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