Christoph Künzli: il rinascimento di Boca

Christoph Künzli: il rinascimento di Boca

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
04 giugno 2009

L'incontro con l'artefice della rinascita di un piccolo terroir del Nord Piemonte: Boca. Terra di nebbiolo e boschi tra i porfidi del Monte Rosa

Immaginate un piccolo areale di produzione, ai piedi del Monte Rosa, a due passi dal lago d’Orta, completamente ricoperto di vigneti, che scandiscono i ritmi economici e sociali di interi paesi: Boca, Maggiora, Cavallirio, Grignasco e Prato Sesia. Poi la diaspora: i boschi si impossessano dei terreni rosa ricchi di porfido e vanno a disegnare un panorama antitetico a quello che si poteva osservare fino agli anni sessanta del secolo scorso. Il richiamo della fabbrica fa sì che la viticultura perda il suo fascino, cambia antiche abitudini contadine, il legame con la tradizione ed il tessuto sociale nel suo complesso. Da quarantaduemila ettari si passa a settecento nel giro di ottant’anni. Praticamente un’ecatombe. A metà degli anni novanta arrivano uno svizzero ed un austriaco: assaggiano tutti i vecchi millesimi provenienti dalle vigne di Antonio Cerri, tra le più vocate della zona, vi scorgono i segni del terroir di razza e, complice la decisione di vendere terreni e cantina da parte del proprietario, oramai anziano e malato, decidono di lanciarsi in qualcosa a metà strada tra l’autentica follia ed il romantico sogno di creare autentici grandi vini che ambiscano alla perfezione stilistica. Intorno a loro poco o nulla, la coesione tra i produttori rimasti si è persa e serpeggia solo incertezza per un vino, il Boca, che si è adagiato da tempo sulla panchina lunga dei nebbioli del Nord Piemonte e rischia l’estinzione. Christoph Künzli e Alexander Trolf avevano conosciuto la zona nel 1988, per merito di un vigneron di Lessona, Paolo De Marchi, trapiantato da tempo nel Chianti classico ed autore di autentici gioielli come i vini di Isole e Olena. La decisione di acquistare, solo dopo che Antonio Cerri lasciò capire che non si sarebbe più curato della vigna. Il progetto “Le Piane” parte nel 1995, ma rischia di arrestarsi tre anni dopo quando l’amico, socio ed enologo Alexander, allievo di Giorgio Grai, muore improvvisamente in un brutto incidente stradale. Che fare? Christoph decide di andare avanti: “Non ti nascondo che il fatto di avere degli investitori privati ha fatto sì che l’azienda non chiudesse”. Ma perché un importatore-distributore di vini italiani in Svizzera, laureato in ingegneria edile, decide di lanciarsi anche in un’avventura del genere? “In realtà io nasco nel vino. La decisione di importarlo fu in fondo una scusa per rimanere legato a questo mondo”. Poco dopo lo scandalo del metanolo, Künzli decide di importare vini di grande qualità per farli conoscere ad un certo tipo di ristorazione per la quale esistevano solo i cugini transalpini. La tecnica utilizzata, oggi, può sembrare banale e scontata, ma negli anni ottanta non era così: “Parlavo prima dell’azienda che produceva il vino, delle persone che c’erano dietro, poi del terroir di provenienza ed infine della bottiglia”. Un metodo diverso, rispetto ad anni nei quali il vino italiano era genericamente presentato avulso dal contesto nel quale nasceva. Un metodo francese, se vogliamo, e per questo premiante. “Spiegavo, per esempio, che il Chianti non era tutto uguale, che il sangiovese cambiava radicalmente a seconda dei cru nel quale veniva allevato” ed ai clienti si apriva una prospettiva completamente diversa rispetto a quella che si erano sempre fatti del vino italiano.

Timido, riflessivo, analitico e pignolo, con un profilo lontano anni luce dal prototipo di commerciale che siamo abituati a conoscere, Künzli aveva imparato a fare il vino all’inizio degli anni ’80 proprio in Toscana. Nella casa estiva dei genitori, con adiacente minuscola vigna, sperimentava, studiava, degustava tutto quello che c’era in commercio all’epoca in zona, “decisamente inferiore quantitativamente rispetto ad oggi”, e chiedeva consigli. Podere Palazzino e De Marchi i suoi insegnanti: “Lì ho imparato a fare il vino in piccole dimensioni. Ed è molto più difficile”. Nasce così l’idea di creare, appena se ne fosse presentata l’occasione, vini perfetti, ma non enologici: “Negli anni ottanta, ancora alle prime armi, prima dello scandalo del metanolo, quando facevo assaggiare ad esperti del settore i miei vini di famiglia, con evidenti malattie, mi proponevano ricette mediche per guarirli: aggiungi questo, poi ancora quest’altro, infine vai a comprare 50 litri di vino pugliese e vedrai che guarirà”. La vigna era ampiamente posta in secondo piano. In lui, invece, si parte invece proprio da qui: nasce una concezione, anche in cantina, che poi non ha più abbandonato. “Un filo di volatile va bene, ma in piccolissime dosi. Fermentazione con lieviti autoctoni, malolattica senza solforosa, un anno sui lieviti in botte e senza travasi, sulle fecce”. E tanti assaggi da botti diverse, per poi decidere il taglio, o meglio, quella che lui chiama “la costruzione del vino”, da non confondere con omologazione: “Questo aspetto è fondamentale. Per fare il mio vino unisco botti diverse, ognuna delle quali ha tratti peculiari, unici. Gli do carattere, il mio carattere, che non necessariamente deve piacere a tutti. Io non voglio fare un vino che piaccia a tutti. Deve piacere a me e ad altre persone.” Giovanni Conterno come icona della perfezione verso cui tendere, tanti assaggi dei migliori vini italiani e del mondo come continua esperienza. Con lui Boca cambia, rinasce, si rivitalizza e comincia a capire che probabilmente da quel manto rosa può scaturire qualcosa di unico. A dieci anni di distanza l’azienda Le Piane ha mantenuto quella piccola dimensione artigianale da cui è nata, dove è possibile acquistare molti dei vecchi millesimi di Cerri, ancora in splendida forma. Sono arrivati i premi dalle guide, l’attenzione da parte delle riviste di settore, ma non l’invidia da parte dei vicini. Anzi. Si è creato un piccolo, ma agguerrito, gruppo, composto da giovani viticultori che hanno deciso di lavorare nelle aziende di famiglia, o che invece hanno cominciato per la prima volta. Si incontrano, discutono, testano i vini tra di loro, fanno progetti, si scambiano consigli. Dalla vigna ai boschi, andata e ritorno. Dall’estinzione alla rinascita, intorno al sorriso di uno svizzero ammalato della roccia acida e dura intorno al monte Fenera.

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