Francesco Iacono. In simbiosi con la Franciacorta

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
01 ottobre 2009
Ha girato il mondo, dall’Australia agli Stati Uniti, per poi fermarsi, più o meno, ad Adro. Ora è un manager, anche se fa di tutto per non sembrarlo...
Tratto da L'Arcante N° 10
Ha girato il mondo, dall’Australia agli Stati Uniti, per poi fermarsi, più o meno, ad Adro. Ora è un manager, anche se fa di tutto per non sembrarlo: informale, pratico, incarna perfettamente quell’operosità tipicamente lombarda, specificatamente bresciana, senza tanti fronzoli, con le maniche della camicia arrotolate, che tanto ha contribuito a rendere un caso di successo nazionale, e forse non solo, quella Franciacorta che sembra non arrestarsi mai, nonostante il periodo non sia dei più tranquilli e sereni. Villa Crespia, il quartier generale dal quale coordina il lavoro delle aziende dei fratelli Muratori, si sposa perfettamente con lo spirito del territorio: una strada sterrata in mezzo a vigne con poco spazio per evitare i trattori che incontri davanti a te ed una villa trasformata in un laboratorio di idee, senza che nulla venga lasciato al caso, dalla struttura delle cantine alla barricaia, che non mi farà visitare, ma solo osservare dalle vetrate che la circondano perché “è inutile, sono tutte uguali” e perché nessuno, d’altronde, può entrarvi, altrimenti “si altera ogni volta la temperatura interna”. Un dedalo di uffici ben arredati, ma sobri. Niente pacchianerie, lussuose poltrone o modernità fuori luogo. “Il successo della Franciacorta è clamoroso perché abbiamo comunicato un territorio, alla francese. Ma fondamentale è stata la lungimiranza dell’imprenditoria della zona, non certo quella del mondo agricolo”. Dopo poco che lo aspetti in un essenziale ufficio, arriva lui, poi un’assistente con cartella stampa e cd con foto, un caffè e dell’acqua e ti rendi conto che l’incontro lo gestirà lui, dall’inizio alla fine, ma senza fartelo pesare, senza che tu stesso te ne renda conto, se non quando sei già sulla strada del ritorno. “Cosa nei pensi di internet? Secondo me non deve essere una brochure aziendale, altrimenti tanto vale non esserci. E dei Social Network, dei forum, dei blog?”. Sa e non sa. Gli interessa, ma non tutto. Solo ciò che può essere veramente utile al suo lavoro. Una curiosità, la sua, mirata, focalizzata all’obiettivo da raggiungere. “Mi piace avere idee” e d’altronde tutta la sua carriera è stata incentrata non solo sull’averne, e tante, ma anche sul far parlare quelle degli altri, specie quelle degli agronomi e degli enologi, fin da quando collaborava con il Professor Scienza: “agronomi ed enologi non dialogavano, sicché utilizzai l’analisi sensoriale per farli parlare tra loro. Questo perché poi alla fine era il vino che consentiva di verificare effettivamente le loro scelte”. Sempre ricerca applicata, non solo teorie, questa la sua cifra stilistica, nel lavoro così come nella vita. Sempre confronto e mai fratture che creano solo conflitti: “Il fondamentalismo del biologico non serve, non mi piace”. Così come non gli piacciono i proclami senza la conoscenza “Chiunque dice che il vino si fa in vigna e la cantina deve essere meno invasiva. Dall’industriale al microproduttore. Poi piantano cabernet e chardonnay insieme, anche se hanno bisogno di territori diversi. Conoscono i fondamentali, ma non li applicano”. Ti aspetti un uomo sostanzialmente orientato, vista la complessità dell’arcipelago Muratori, ai numeri, ai margini ed alla distribuzione, ma poi osservi il pieghevole aziendale e ti rendi conto che esiste una bollicina diversa a seconda dei terroir di provenienza. Qualcosa non torna tra i pregiudizi che ti eri fatto: “In effetti, noi siamo l’emblema di ciò che il mondo del marketing dice di non fare. L’errore più grande sarebbe avere come funzione aziendale il mercato”. La scelta è stata quella di applicare realmente i risultati della zonazione eseguita ai tempi in Franciacorta: un vino per ogni terroir individuato da quegli studi. Ma perché, commercialmente, molto spesso, hanno successo vini antitetici ai risultati di questo genere di analisi? “Perché il suolo è un ambiente vivo e non solo chimico e fisico! Questo l’errore della zonazione, il suo limite”. La zonazione è un chiavistello per conoscere un territorio, ma non un dogma: “Negli anni ’80 si parlava solo di varietà e sistemi di allevamento”. Dominava il metodo anglosassone “dimmi cosa vuoi fare ed io ti dico come farlo”. Niente territorio. Da questo punto di vista il grande sviluppo di questa disciplina ha avuto il merito di spostare l’attenzione su un punto cardine della viticultura, “però poi è diventata solo una delle tante leve del marketing e non è stata mai realmente applicata”. Coerenza, in tutto, anche nell’approccio biologico, al quale Iacono crede, ma senza l’enfasi fideistica di molti: “Forse il biologico è anche moda, ma l’importante è che sia fatto con coerenza, senza ficcarsi in assolutismi immodificabili”. E’ uno scienziato che si chiede quali siano i limiti della scienza stessa “Cosa è meglio fare? Un vino con poca solforosa ma con lieviti selezionati o con dosi maggiori e lieviti autoctoni? Cosa significa rispettare l’ambiente? Sostanzialmente conoscerlo. Se devo irrigare per allevare la vigna forse è meglio non piantarla nemmeno perché poi entro in altri vortici, come per esempio il bisogno di aggiungere azoto”. La vera agricoltura sostenibile passa per lui solo dallo studio e dalla conoscenza ed è proprio da questo postulato iniziale che nasce anche la sua idea di agricoltura simbiotica: “L’apparato radicale della vite è solo una parte di quello reale. Le radici stabiliscono una simbiosi con il terreno in realtà. Questo è ricco se io lo coltivo in un certo modo”. Le radici, per esempio, entrano in simbiosi con le erbe “il profilo microbiologico della rizosfera è unico ed ognuno ha le sue esigenze, una sua vita che poi caratterizza il vino”. Una singolarità, dunque, che deve emergere da un bicchiere di vino attraverso l’unicità del suo carattere: aspetto non semplice da decifrare, e soprattutto da comunicare “dobbiamo andare oltre la descrizione dei profumi quando parliamo di vino”. Passo dopo passo, con un motto ben chiaro “ci stiamo lavorando, ancora non abbiamo risolto tutto”, ma una determinazione che non nasconde ambizione “Io e la proprietà, quando siamo partiti nel 1999, volevamo sentirci orgogliosamente diversi. Di noi, volendo, non ce n’era bisogno”. Un uomo a spasso tra la Franciacorta e Suvereto, Ischia ed il Sannio, che quando guarda un paesaggio cerca subito se possa avere una specificità anche nella sua forma “liquida”.

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