Il sapere dell'olio in cucina

Il sapere dell'olio in cucina

Non solo vino
di Luigi Caricato
03 dicembre 2010

La comunicazione più efficace per riconoscere la qualità degli oli extra vergini di oliva passa attraverso la ristorazione. Se non si lavora su chef, personale di sala e titolari di pubblici esercizi non potranno esserci consumatori in grado di apprezzare e utilizzare l'alta qualità

Olio

Tratto da L' Arcante 14

In Italia manca una solida cultura dell'olio. Ho avuto modo di ribadirlo in molte occasioni e insisterò nel ripeterlo. D'altra parte a dimostrarlo sono una serie di indagini effettuate negli ultimi anni da svariati istituti demoscopici. Valutando attentamente le risposte fornite dai consumatori, si scoprono affermazioni in taluni casi inverosimili, in altri casi addirittura raccapriccianti. La gente dichiara di tutto, senza nemmeno riflettere sull'insensatezza di certe insulse credenze. È il caso di chi sostiene che l'olio extra vergine di oliva vada necessariamente consumato a distanza di molti mesi, un po' come il vino; ma c'è perfino chi sostiene di conservare l'olio sul balcone di casa, senza immaginare che l'esporlo alla luce, alle terribili insidie del freddo e, peggio ancora, del caldo, si riveli deleterio per la vita del prodotto. Saranno casi limite, questi, certamente, ma intanto le errate convinzioni popolari nel momento in cui si diffondono diventano difficili da controllare e fronteggiare. La gran parte dei consumatori effettivamente non è ancora in grado di distinguere e riconoscere un olio di qualità. Si lasciano di solito attrarre dalla classificazione merceologica, ritenendola di per sé rassicurante. Leggendo in etichetta "olio extra vergine di oliva", si fidano ciecamente, senza minimamente valutare che acquistare un extra vergine da 1,89 euro - come ve ne sono alcuni in offerta, purtroppo - e un extra vergine a 10 euro, non sia la stessa cosa.
La legislazione da una parte non aiuta, ma nemmeno l'assenza di una robusta conoscenza di una materia prima complessa come l'olio che si ricava dalle olive permette alla fine di discernere tra ciò che è buono da ciò che non lo è.
Non mi riferisco ovviamente a un sapere teorico, ma a una forma di conoscenza quanto meno generica, che abbia tuttavia un minimo senso di praticità, quanto necessario a garantire un corretto impiego dell'olio a tavola e in cucina.
Ma non è così, c'è ancora da lavorare; ed è solo attraverso la ristorazione che può avvenire tale passaggio culturale da una fase di non conoscenza del prodotto a una di conoscenza delle regole di base. Il problema - in questo preciso momento storico - è che non tutto il mondo della ristorazione sta dimostrando di avere sensibilità verso l'acquisizione di un sapere legato agli oli di oliva, anzi molto spesso sono proprio i ristoratori quelli che avrebbero maggiormente bisogno di chiarirsi le idee.
È un momento critico, quello che stiamo attraversando, ma non per questo meno ricco di buoni propositi. Tant'è che sono certo, anzi certissimo, che lavorando su chef, personale di sala e titolari di pubblici esercizi, sarà davvero possibile far superare al consumatore la grossa lacuna in materia di oli e grassi alimentari. Al momento, intanto, emerge con chiarezza come il consumatore non soltanto non sia in grado di riconoscere la qualità di un olio, ma non sappia nemmeno usarlo. Diventa di conseguenza fondamentale fare del ristorante anche un luogo di cultura e di formazione indiretta. Le sollecitazioni non devono mai mancare.
Come è avvenuto per esempio a Cerreto Sannita, in Campania, in occasione della premiazione del quarto concorso oleario "Olio Capitale". Sono rimasto positivamente sorpreso dalla buona volontà, oltre che dalla capacità professionale dei quattro chef che si sono misurati con l'olio extra vergine di oliva. Lavorare sugli abbinamenti in base alla cultivar da cui l'olio è stato ricavato è stata un'operazione magistrale, molto apprezzata dal pubblico che ha avuto la fortuna di presenziare lo scorso 11 settembre alla cena culturale dal titolo "Cultivar in cucina". Per cultivar, nel caso specifico, si intendono le varietà di olivo da cui l'olio viene estratto, e, nel caso specifico della cena cerretese, gli chef Michele Giangiacomo (Pozzo dei desideri), Dino Masella (Trattoria Masella), Aldo Meglio (La Vecchia Quercia) e Raffele D'Addio (Il foro dei baroni) si sono egregiamente misurati con gli oli monovarietali di olive Racioppella, Ortolana e Ortice, le cultivar più rappresentative del OlioSannio, in provincia di Benevento. Le performances degli chef dovrebbero essere più frequenti. Per due ragioni: da una parte vengono stimolati gli addetti ai lavori, dall'altra si suscita la necessaria curiosità e il desiderio di emulazione in ambito domestico. Da qui il piacere della scoperta di nuove formulazioni alimentari a partire dagli oli di alta qualità tra loro differenti e unici, dai tratti organolettici peculiari. È la vera sfida del futuro, quella di insistere sui fruitori professionali del prodotto. Solo gli chef potranno trasmettere efficacemente un sapere pratico di cui i consumatori sono ancora carenti. Più che i libri o i giornali, una buona cena al ristorante può diventare un ottimo veicolo di formazione. Al momento il consumatore si affida al caso.

Quando è davanti allo scaffale decide d'impulso, abbagliato dal basso prezzo e dall'incalzare delle promozioni, come pure, a volte, dal fascino esercitato da un packaging un po' ruffiano.
Ma non si può continuare su questa strada, il consumatore va aiutato nelle sue scelte e non può essere lasciato a se stesso. Sono gli addetti alla ristorazione a essere il vero tramite tra l'olio e il consumatore. Per raggiungere tale obiettivo, è necessario tuttavia che si crei un momento di formazione e di condivisione di obiettivi, ed è ciò che mi propongo. A breve, sperando nella collaborazione di sommeliers, chef e ristoratori sensibili, porterò avanti un progetto pilota che curerà ogni minimo particolare sul tema olio e cibo. In fondo, in tutti questi anni di intensa attività di comunicazione sull'olio ho notato che effettivamente chi si impegna con grande professionalità e dedizione ottiene risultati in molti casi ragguardevoli.
Costituiscono un chiaro esempio istruttivo le varie performance di scuola di cucina all'olio di oliva che si sono tenute a Trieste nel corso delle quattro edizioni di "Olio Capitale" a cura di Emilio Cuk, con la collaborazione della Federazione Italiana Cuochi. Altrettanto utile è il volume L'evoluzione dell'olio in cucina. Guida propedeutica alla scelta, all'acquisto, agli abbinamenti e al corretto impiego degli extra vergini Dop Riviera Ligure, una pubblicazione che ho avuto il piacere di realizzare per conto di Regione Liguria, Comune di Lucinasco, UnionCamere Liguria e Consorzio Dop Riviera Ligure. Iniziative, queste, importanti, ma non sufficienti da sole a incidere sull'opinione pubblica. C'è molto ancora da fare e tanto da apprendere, come pure c'è molto altro ancora da trasmettere. Non ci si può fermare. Il consumatore ha bisogno di certezze e di esempi positivi cui fare riferimento. Il punto di svolta, per qualificare i consumi di oli di oliva, sta dunque nella chiamata in causa degli chef. Ora il nocciolo della questione è il seguente: avranno, costoro, il coraggio e il buon senso di impegnarsi in questa grande e non facile scommessa?

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