Caciocavallo di Agnone e Tintilia: il gusto intenso del Molise

Caciocavallo di Agnone e Tintilia: il gusto intenso del Molise

Abbinamenti
di Maria Rita Olivas
18 dicembre 2023

Tutto pronto per l’ndocciata di Agnone della Vigilia di Natale. Tra pastori, fiaccole, tintinnio di campane e Tintilia nei calici, si celebra la vita pastorale e contadina dell’Appenino molisano.

La sera del 24 dicembre, come ogni anno, si svolgerà ad Agnone la festa dell’ndocciata, una cerimonia che celebra la civiltà contadina dell’Alto Molise, della quale il Caciocavallo d’Agnone è una delle espressioni più nobili. Al tramonto, la città verrà invasa dalle particolari e maestose torce a raggiera (fino a 20 fuochi!) in legno d’abete bianco alte oltre 3 metri, chiamate “ndocce”, portate sulle spalle e fatte piroettare dagli abitanti, vestiti nel costume contadino d’epoca con il mantello nero a ruota. A rendere tutto ancora più suggestivo sarà il rintocco delle campane, forgiate sin dal Medioevo in una delle più antiche fonderie al mondo proprio nel centro storico della città.

Foto Di Alvimas - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=121448981Nata come rito pagano per il solstizio d’inverno, l’ndocciata ha conservato nei secoli la celebrazione del fuoco come elemento purificatore e di energia vitale, ma arricchendosi di una simbologia legata alla vita rurale dell’Appennino: le fiaccole, infatti, servivano a illuminare la strada ai contadini che dalla campagna si recavano ad Agnone per assistere alla messa di Natale di mezzanotte; inoltre, accompagnavano, scaldandoli, i pastori che transumavano lungo le rotte dei “tratturi”, tracciati d’erba battuta attraverso i quali già gli antichi Sanni conducevano le loro greggi in autunno dai pascoli montani verso il più mite del Tavoliere delle Puglie, per poi ritornarvi d’estate, seguendo il percorso a ritroso verso l’Appennino, alla ricerca di erba fresca. 

ll Caciocavallo d’Agnone è uno dei prodotti dell’antica transumanza, poiché il latte crudo delle mandrie veniva caseificato dai pastori durante i lunghi viaggi per avere sia il necessario nutrimento, che una merce di scambio per un tetto sotto cui passare la notte. Molte forme giungevano fino ad Agnone, importante tappa negli spostamenti dei pastori, che ne diventò quindi il naturale sbocco commerciale. Oggi – Inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani redatto dal Ministero dell’Agricoltura – viene prodotto tutto l’anno, sempre da latte crudo e da latte di vacche allevate principalmente a pascolo. 

La materia prima è l’elemento chiave della sua produzione: latte di altissima qualità dei grassi, che trae le peculiari caratteristiche organolettiche dalla biodiversità dei pascoli appenninici, e differente a seconda della stagione e delle diverse caratteristiche pedoclimatiche del micro-terroir di produzione. Come in gran parte delle paste filate, poi, la cagliata viene sottoposta ad una lenta acidificazione naturale ad opera degli enzimi del caglio e dei batteri del sieroinnesto, che ne trasformano la struttura, rendendola malleabile. Poi inizia da magia produttiva con l’unione fra la pasta sminuzzata e l’acqua a 85 gradi, che fa filare la pasta. Anzi… questa è solo chimica, perché il vero tocco magico è la gestualità degli esperti casari che con un rituale tramandato nei secoli allungano la pasta madreperlacea e la ripiegano in un gomitolo, dandole poi forma la classica forma a pera, sormontata da una testina rifinita con cura. La forma non è motivata da pura estetica, ma è funzionale a quello che una volta era il metodo di conservazione e stagionatura delle forme: al “collo” del formaggio veniva infatti apposta una corda e i formaggi venivano legati a coppie a cavallo di una pertica - da qui il nome caciocavallo. Segue la salatura in salamoia dalle 20 alle 30 ore, preludio della stagionatura, breve, media o lunga, durante la quale il colore vira da giallo paglierino a diverse nuance di marrone chiaro e gli aromi si intensificano diventando più saporiti e piccanti.

Tra le eccellenze casearie del luogo, una menzione speciale va i caciocavalli prodotti dal Caseificio Di Nucci, sempre molto attivo, peraltro, nel promuovere la festa dell’ndocciata, per via del loro legame con l’antico mondo pastorale, poiché “coloro che per primi hanno fornito il latte al Caseificio erano ‘ndocciatori (portatori di ‘ndocce), famiglie espressione e memoria di un mondo rurale che ha radici nel passato”. Tre stagionature diverse, che sottolineano l’importanza del tempo nel plasmare le caratteristiche di ciascuna forma, piccoli gioielli, pezzi unici e irripetibili, esattamente come alcune espressioni di Tintilia del Molise, vitigno autoctono recuperato da alcuni anni, alla quali le abbiamo abbinate.

A circa un mese di vita, la versione semistagionata è morbida, dalla spiccata tendenza dolce e la grassezza pastosa. Richiama in bocca tutta l’aromaticità del burro fresco. Scegliamo una Tintilia in versione rosata come il “Rosator” 2021 dell’Azienda Cianfagna. Un bellissimo color cerasuolo, reso ancora più fitto dall’assenza di filtrazione, e un olfatto improntato alla gelatina di frutta, amarene e ciliegie, corredate da fiori rossi appassiti. In bocca il sorso è agile, nonostante il tenore alcolico, grazie al connubio tra una notevole freschezza e una profondità sapidità. Ideale per detergere la bocca e ripetere più volte l’assaggio del formaggio. Una stagionatura fino ai tre mesi troverebbe un compagno ideale, invece, con un rosso ancora giovane, ma dal tannino ben integrato e un sorso sempre pervaso dalla freschezza, come la Tintilia del Molise 2020 di Di Majo Norante. Effluvi di spezie montane ricordano i pascoli, il tannino è smussato da tre mesi di tonneau e l’ottima freschezza è sottolineata dagli echi balsamici. 

La versione stagionata sei mesi è già molto assertiva sia nell’olfatto, di lattico cotto e frutta secca, sia nel sapore, più sapido e dal leggero umami, e nella consistenza leggermente sfogliata e di buona succulenza. Serve un rosso più rotondo e affinato, come la Tintilia del Molise 2019 di Tenute Martarosa, dalle note intense di sottobosco, il tannino morbido e la scia di succosi frutti di bosco, oppure l’Opalia 2019 di Campi Valerio, dai sentori più scuri, di macchia mediterranea e pepe nero, ma con la stessa trama setosa, in un corpo di volume e di freschezza.

La versione extrastagionata, affinata oltre un anno nelle cantine di tufo dell’azienda, lascia un segno indelebile. Ogni aspetto organolettico del formaggio sembra essere stato amplificato da questi locali e dalle muffe nobili che vi soggiornano. L’olfatto è complesso, spazia dal burro rosolato al burro di arachidi, dal mallo di noce alla castagna arrostita, dal fieno al brodo di carne. La pasta è dura, sfogliata, ma estremamente solubile in bocca, dove tendenza dolce e grassezza prima avvolgono a lungo il palato per poi dare spazio a un elegante piccantezza. Lunghissima persistenza sui ritorni sapidi e tostati. Lo abbiniamo alla Tintilia del Molise “66” 2015 di Claudio Cipressi, uno dei maggiori fautori della riscoperta di questo vitigno. Rosso granato, di ampio ventaglio olfattivo, nel quale spiccano la confettura di mirtilli, le bacche di ginepro e una golosa nota di cacao, invade il palato con la morbidezza dei suoi 36 mesi in legno, ma la sapidità è ancora indomita. La PAI lunghissima del vino si sposa molto bene alla persistenza infinita del formaggio, mentre l’avvolgenza del sorso ne smussa la piccantezza. Starebbe benissimo anche con la versione passita di Tintilia, sempre prodotta da Cipresso, il “Dulce Calicis”, prodotto solo in alcune annate, dalla dolcezza presente ma non invadente, estremamente gradevole nel connubio tra la percezione degli zuccheri e quella degli acidi. Da preferire le annate meno giovani, in cui il tannino risulta meno scalpitante.