I gioielli della Loira – Pouilly Fumé
Approfondimento Francia
di Tiziana Girasella
21 febbraio 2022
Nella prima delle due serate dedicate alle denominazioni chiave della Media Loira, Armando Castagno ci ha accompagnato alla scoperta del Pouilly Fumé, un vino in cui il noto varietale del sauvignon blanc cede il passo al terroir diventandone espressione autentica.
Pouilly Fumé e Sancerre rappresentano due denominazioni chiave della Media Loira, con diversi punti in comune, ma con anche elementi di discrasia. Poste una di fronte all’altra, sulle rive della Loira - a destra il Pouilly Fumé e a sinistra il Sancerre - sanno dare vini, da sauvignon blanc, di non facile comprensione, per i quali ha senso utilizzare l’aggettivo “luminoso”. In essi la sinergia peculiare tra l’uva e il luogo dà origine a un contesto leggibile e trasparente, in cui la parte minerale si svela ai sensi.
Tratto distintivo del Pouilly Fumé rispetto al Sancerre è il contrasto, anche acceso, tra la parte più algida, marina e silenziosa delle terre da kimmeridge e quella più ignea, vulcanica, di quelle a matrice silicea; in generale risulta più estroverso e immediato del Sancerre che, al contrario, si rivela più sereno, seppur nella sua complessità.
Qualche dato numerico
La Loira, che nasce vicino ai confini con l’Italia, è uno dei quattro fiumi definibili Fleuves (cioè fiumi che sfociano in un mare o in un oceano): misura 1.020 km di lunghezza con 117.000 km² di bacino idrografico, e attraversa 4 regioni e 12 dipartimenti francesi con una portata media di acqua che sfiora i 1.000 m³/s. È un fiume immenso che dà luogo a una zona di vino a sé, la Vallée de la Loire - le jardin de France - lungo la quale sono presenti 51 AOC fra cui la denominazione Pouilly Fumé.
Sono circa 57.200 gli ettari di superficie totale vitata e 24 le varietà di uva; 14.250 ha sono in conduzione sostenibile certificata, biologica, biodinamica e HVE (Haute Valeur Environnementale, Alto Valore Ambientale). Sono presenti circa 6200 vignaioli, 250 négociant, 16 cantine cooperative e 806 km di strade del vino. La produzione ammonta al 41% di vini bianchi, 24% rosati, 21% rossi e 14% spumanti (Crémant de Loire), per un totale di 320 milioni di bottiglie all’anno.
Geologia e climatologia
Le matrici geologiche della Media Loira, e quindi anche del Pouilly Fumé, sono quattro e son molto diverse tra loro; solo tre sono adatte a fare grandi vini.
Argille silicee (in francese, silex): risalgono a un periodo che varia tra i 10 e i 65 milioni di anni fa. Si trovano essenzialmente nelle zone più vicine al fiume ed è raro trovarle in quota; Pouilly è il territorio più importante al mondo in cui queste argille contribuiscono a regalare vini di grande espressività, irruenza e potenza, conferendo loro un’affumicatura evidente, anche quando sono prodotti in solo acciaio. Talvolta questi vini risultano carenti in finezza, ma non mancano espressioni completamente opposte: grandiose, longeve e fini.
Marne calcaree (o caillottes): il nome identifica grossi ciottoli argillo-calcarei risalenti al Giurassico Inferiore (circa 165 milioni di anni fa), periodo in cui costituivano il fondale marino; rappresentano il territorio intermedio tra le altre due tipologie. Favoriscono, nel sauvignon, l’espressione varietale di note erbacee dolci, quasi leguminose (ricordano la passata di piselli), e toni fruttati esotici.
Kimmeridge (le terres blanches): si tratta di pietre calcaree costellate da ostriche fossili (risalenti al Giurassico Superiore, circa 135/145 milioni di anni) come le exogyra virgulao, più spesso, le più piccole nanogyra virgula. Mentre a Sancerre si può individuare una zona specificamente caratterizzata da questa matrice (a Chavignol), a Pouilly si trova a macchia di leopardo. Nei vini conferisce gentilezza di tratto, grande freschezza e austerità aromatica: anche un vitigno eloquente come il sauvignon blanc qui si silenzia, lasciando parlare la pietra. I vini prodotti su questa matrice sono quindi quelli più simili ai Sancerre, molto riservati ed eleganti, con pochi sentori fruttati.
Sabbie fluviali: non vengono utilizzate come terreno in cui produrre vino in quanto presentano due fattori negativi: sono più soggette a muffe, essendo vicine al fiume, e gli eventuali i vini prodotti risulterebbero deboli e privi di corpo.
Il territorio gode di precipitazioni pressoché costanti e regolari tutto l’anno: dal 1911 non c’è mai stato un mese privo di pioggia! La media decennale di precipitazioni è di 59 mm in agosto e 87 mm in dicembre. La temperatura media varia tra i 20 °C di luglio e 1 °C di gennaio. Novembre è il mese con maggiore umidità: mediamente l’85%.
Cenni storici
La viticoltura viene portata qui, come in tante parti di Francia, dai Romani e, allo stesso modo, sono i monaci che durante l’Alto Medio Evo ne consentono lo sviluppo, tanto che intorno all’XI secolo il feudo di Pouilly-sur-Loire è il controllo dell’Abbazia di La Charitè-sur-Loire. Verso il 1200, 200 anni prima che in Borgogna, la zona finisce sotto la Corona di Francia e il vino che vi si produce piace così tanto che il re Luigi XI, Il Santo, lo fa servire a Corte. Lo sviluppo del commercio del vino di Pouilly si ha però a partire dal 1642, anno in cui viene aperto il Canal de Briare, canale navigabile che permette di congiungere la Loira alla Senna consentendo il trasporto del vino direttamente a Parigi e segnando, di conseguenza, il boom della viticoltura di questa zona.
Nel 1789 la Rivoluzione porta all’esproprio delle tenute nobiliari ed ecclesiastiche, ma già alla fine della stessa alcune famiglie nobili riescono a rientrare in possesso dei loro terreni. Nel 1797 le uve più diffuse sono molto diverse da quelle odierne: chasselas, blanc meslier de Saint-François (che si suppone possa corrispondere al petit meslier) e melon de Bourgogne. Nel 1888 il vigneto di collina subisce l’attacco dalla peronospora e nel 1890 è la fillossera che, in pochi anni, azzera la viticoltura, sia dal punto di vista vinicolo sia alimentare, tanto che alcune uve da vino vengono riconvertite in uve da tavola: ciò porta allo sviluppo dello chasselas, molto produttivo, a discapito del sauvignon blanc. A partire dal 1896 il reimpianto delle viti riguarda prevalentemente chasselas e sauvignon blanc, mentre le altre varietà vengono man mano abbandonate. All’inizio del ‘900 si torna a utilizzare le uve per produrre vino bianco su ampia scala, trend che frenerà bruscamente a seguito delle due Guerre mondiali dovendo attendere gli anni ’50 del Novecento affinché la produzione possa effettivamente ripartire.
Il 31 luglio 1937 l’INAO crea la AOC Pouilly Fumé, da blanc fumé, come viene anche denominato il sauvignon blanc, per le sue caratteristiche note affumicate che si sviluppano specialmente quando allevato su terreni silicei di bordo fiume, come avveniva preferibilmente in passato. Nel 1948 nasce la Cave Coopérative de Pouilly con lo scopo di far conoscere al mondo i vini della zona.
Ampelografia e disciplinare di produzione
Il sauvignon blanc è varietà autoctona di Pouilly, ricca di tioli che normalmente caratterizzano i sentori dei vini da essa prodotti, ma che in questa zona risultano totalmente azzerati dal terroir. Poco sensibile alla peronospora, lo è molto sia all’oidio sia alle muffe. Per ovviare all’oidio le vigne sono piantate lungo la riva destra della Loira così da proteggerle da umidità notturna e calore i quanto prendono il sole al tramonto quando le uve sono già perfettamente asciutte. Per contrastare la formazione di muffe, invece, si evita di piantare troppo a ridosso del fiume, privilegiando la collina in cui i terreni sono più drenanti (qualunque sia la matrice che la compone).
A fianco del sauvignon blanc è presente anche il sauvignon gris che, pur avendo componenti terpeniche interessanti, presenta una serie di criticità: la buccia è talmente sottile da essere facilmente soggetta a muffe e marciumi, oltre a possedere un grado di acidità molto basso. È tollerato dal disciplinare solo in melange de plant, pratica consentita anche per lo chasselas.
È ammessa anche la dicitura Blanc Fumé de Pouilly (pochi i produttori a utilizzarla) e la sottospecifica geografica Val de Loire che di fatto è stata istituita soltanto per distinguere il Pouilly Fumé dal Puilly Fuissè borgognone; si tratta di un’indicazione opzionale e non molto utilizzata.
La superficie vitata della denominazione Pouilly Fumé si estende su 1340 ha circa, suddivisa in 7 comuni: 2 più importanti, Pouilly-sur-Loire (sulle sponde della Loira) e Saint Andelain (in cima alla collina) e 5 secondari (Tracy-sur-Loire, Garchy, Mesves-sur-Loire, Saint Laurent l’Abbaye e Saint Martin-sur-Nohain), per un totale di 161 produttori.
Il disciplinare prevede che i nuovi impianti abbiano almeno 6.000 ceppi/ha affinché fra le piante, poste tutte su terreni molto drenanti, aumenti la competizione radicale inducendo le radici a cercare le sostanze nutritive in profondità. Resa massima 65 hl/ha (ma non ci si arriva mai) e irrigazione espressamente vietata. Tenore alcolico svolto superiore al 10%, residuo zuccherino inferiore ai 4 g/L; non è prevista alcuna prescrizione per l’affinamento.
Degustazione
Pouilly Fumé 2017 – Domaine de Berthiers
Da vigna singola situata a Saint-Andelain, a 210 m s.l.m. su pura silice, esposizione sud-ovest, piante di 20-30 anni di età. Vinificazione in acciaio con lieviti selezionati, 8 mesi in vasca, malolattica non svolta. All’olfatto evidenzia sentori varietali, aromi fruttati prepotenti di pompelmo dolce, pesca mirabelle, qualche effluvio erbaceo ed evidenti note minerali fumé. All’assaggio buona la persistenza, ma manca di complessità, di grazia e, soprattutto, di emotività.
Pouilly Fumé La Rambarde 2016 – Domaine Landrat-Guyollot
Azienda risalente al XVII secolo, oggi tutta la famiglia si adopera per far conoscere il territorio: il Domaine possiede, infatti, vigne su tutte le matrici del Pouilly Fumé. La produzione si assesta intorno a 60.000 bottiglie all’anno, da un vigneto di circa 11 ha. Il vino in degustazione fa 12 mesi in acciaio e nessuna malolattica. All’olfatto si individuano, seppur a fatica, note agrumate di scorza e albedo di limone, ma non c’è traccia di sentori esotici o altra frutta. Ciò che risulta immediatamente percepibile, invece, è il suo carattere minerale, quasi gessoso. Al palato il vino si rivela e si allarga.
Pouilly Fumé Madamoiselle de T 2016 – Château de Tracy
Il conte Louis D’Estutt D’Assay e la sorella portano avanti la missione di far conoscere il Pouilly Fumé di Tracy, comune isolato e distinto rispetto agli altri della denominazione. Il vino è prodotto su terreno 100% kimmeridge, a 230 m s.l.m., da una vigna di 57 anni. Il Domaine è certificato HVE, produce vino dal 1396 e continua a fare vendemmia manuale. Vinificazione spontanea, metà in acciaio e metà in cemento grezzo, malolattica non svolta. È un vino di luce, espressione fedelissima del vino da kimmeridge, timido, quasi da sussurro aromatico ma di pura tattilità al palato. Molto complesso all’olfatto: ricordi di lanolina, trementina diluita, ovatta bagnata: nulla dei descrittori classici del vitigno.
Pouilly Fumé EM 2016 – Domaine Alphonse Mellot
La famiglia ha una tradizione di produzione vinicola a Sancerre dal 1513. Il suo patrimonio vitivinicolo è immenso, producendo alcune etichette in stile moto tecnico e altre in stile quasi internazionale, ma la cuvée in degustazione se ne discosta. Vigna su argille silicee, il vino che ne deriva è una delle espressioni più castigate di questa matrice, ma risulta identificabile a causa della scorrevolezza gustativa e della magrezza del centro-bocca (a differenza della maggior quantità di struttura e materia dei vini da matrice giurassica).
Pouilly Fumé Clos Joanne D’Orion 2019 – Domaine Gitton
Il vino proviene da un clos, cioè da una vigna chiusa, da terreni kimmeridgiani e silicei. La vigna risale al 1975, ha una dimensione di 1,33 ha da cui si producono meno di 10.000 bottiglie all’anno e il 35% di pendenza con una presenza di silice che marca il vino. Vinificazione spontanea, vede solo acciaio. Il netto sentore di polvere pirica che lo contraddistingue deriva esclusivamente dalla natura del terreno su cui viene prodotto mentre la giovane annata gli conferisce struttura e acidità.
Domaine Didier Daguenau
Mito assoluto del vino francese, Daguenau, nato nel 1956 da una famiglia di vignaioli, nel 1978, quando sarebbe dovuto succedere al padre nella guida dell’azienda, decide di mollare tutto per diventare pilota di moto. Quattro anni dopo, stancatosi, torna a casa, esige le vigne che gli sarebbero spettate e crea un proprio domaine, senza avere la benché minima esperienza in materia. Due produttori d’eccezione, Henry Jayer ed Edmond Vatan, lo prendono sotto la loro ala protettrice e lo portano al successo. Nel 1985 nasce il Silex, vino che lo rende famoso in tutto il mondo, innovativo e indimenticabile sin dalla forma dell’etichetta (un pezzo di silice ritagliata). Nel 1988 esce il suo secondo grande Pouilly che chiama, provocatoriamente, Blanc Fumé de Pouilly. Grande innovatore e sperimentatore, il 17 settembre 2008 si schianta vicino al fiume, alla guida del suo elicottero. Oggi la continuità dell’azienda è assicurata dal figlio, Luis-Benjamin.
Prima dell’assaggio di due etichette provenienti da questo domaine, Armando ci legge un brano di una poesia di Wislawa Szymborska, invitandoci a non valutare il vino secondo criteri quantitativi misurabili, ma secondo «il criterio dell’attribuzione del significato come parametro valutativo principale: un vino pieno di significato è già meritevole di attenzione, anche se manca di qualche dato misurabile».
Pouilly Fumé Pur Sang 2015
Proviene dal vigneto denominato “la Folie” collocato sulla collina di Saint Andelain, con 60-70% di argille silicee e il saldo di caillottes, da piante fino a 60 anni d’età, questo vino che fa fermentazione spontanea in barrique - di cui ¼ nuove - non fa malolattica e subisce una blanda filtrazione: grande concentrazione, splendida luminosità, struttura gustativa e trama.
Blanc Fumé de Pouilly Silex 2015
Proviene sempre da Saint Andelain, da un vigneto di 4 ha che insiste su pura argilla silicea e da viti di 80 anni, il famoso Silex ottenuto da fermentazione spontanea in acciaio e legno (¼ nuovo), nessuna malolattica e affinamento di 12 mesi in barrique e 11 in acciaio. All’assaggio è un vino strepitoso: ha in sé tutto, con una espressività che si manifesta più al retrolfatto, con sentori di biancospino, agrume verde e giallo, una nota sodica, di minerale chiaro, aromi speziati e persino fragrante, di farina, di panificazione. Inizialmente piuttosto chiuso e serrato, figlio della silice, dall’anima ignea, fiammeggiante. Un vino di slancio, sicuramente molto longevo. Indimenticabile.