Introduzione a LA FRANCIA DEL VINO – prima parte
Approfondimento Francia
di Susi Bonomi
20 dicembre 2021
Una serata dedicata ai territori del vino francese, alla storia, alla geografia e alla geologia, non trascurando denominazioni e vitigni. Un accenno, certo, ma non banale, come sa fare Samuel Cogliati, con la sua innata chiarezza e competenza.
Il racconto che Samuel Cogliati ci regala prende spunto dal suo libro, Introduzione alla Francia del vino, uscito alla fine del 2019 per Possibilia Editore, di cui è fondatore e titolare. In 200 pagine è capace di descrivere tutta la Francia vitivinicola prendendo posizione, con la schiettezza che lo contraddistingue, e mettendo nero su bianco ciò che pensa di ciascuna regione di Francia. Il libro, che non ha l’ambizione di essere esaustivo, si concentra, capitolo per capitolo, «non tanto su come stanno le cose - come se fosse possibile avere un punto di vista oggettivo - ma su come la pensa l’autore».
Partiamo innanzitutto dalla superficie vitata, circa 786.000 ettari (2016, OIV), inferiore solo a quella spagnola che ne detiene il primato. Non è tanto il valore in sé che interessa, ma il confronto con quello che è stato nel passato, un valore che è decisamente lontano da quanto registrato nella seconda metà dell‘800, sotto Napoleone III, quando la Francia poteva contare su una superficie viticola di ben 2,5 milioni di ettari. Da allora molte cose sono successe, dalla crisi fillosserica, alla sovrapproduzione, alla conseguente bassa qualità dei vini, alla Prima Guerra Mondiale seguita dall’incertezza degli anni Venti e Trenta del Novecento. Dal crollo verticale della produzione, che generò una crisi economica gravissima, la Francia vitivinicola risorse a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, adottando però un approccio del tutto diverso rispetto al passato, e arrivando fino ai giorni nostri migliorando sempre più la qualità delle sue proposte vinicole.
La produzione media, che si assesta intorno ai 44,5 milioni di ettolitri l’anno, proviene da circa 85.000 aziende, la maggior parte delle quali piccolissime, con una ripartizione che prevede all’incirca il 40% di vini rossi, 26% di bianchi, 14% di rosati (una percentuale notevolissima) mentre il restante 20% se lo spartiscono spumanti e vini dolci. Quasi il 70% della intera produzione si incanala verso 363 AOC/AOP all’incirca, una cifra ritenuta decisamente eccessiva da Cogliati.
L’impianto gerarchico enografico è, come si conviene, piramidale, con al vertice le AOP(anche se molti produttori preferiscono continuare a utilizzare il termine AOC - Appellation d'Origine Controlée -, avvalendosi di una tolleranza consentita dalla riforma del 2010); più in basso troviamo le IGP che sostituiscono i VdP (Vin de Pays) e alla base abbiamo i VdF (Vin de France) che sostituiscono i VdT (Vin de Table). Considerando che i ¾ della produzione complessiva è costituita da AOP, l’idea di sfruttare le denominazioni di origine come vertice qualitativo fa un po’ «a pugni» con il fatto di avere come maggioranza queste tipologie di vini. Il motivo di tutto ciò è semplicemente di natura economica, dovuto al fatto che, nel tempo, «i vari territori hanno preteso di vedersi riconosciuta una specificità territoriale in termini legali». Ma se questo tipo di indicazione geografica vuole essere il vertice reale sul piano qualitativo, «è un po’ difficile che questo possa rappresentare la maggioranza della produzione», sostiene Cogliati.
La complessa etichettatura dei vini francesi
Il sistema enografico francese appare molto variegato: sulle etichette dei vini si trovano una serie di indicazioni, di diciture «che spesso sono - più che un punto di riferimento - un vero e proprio dilemma, una sorta di dedalo nel quale è difficile orientarsi non solo per gli appassionati e professionisti italiani, ma anche per quelli francesi». Sulle bottiglie si possono trovare ad esempio le scritte: Grand cru, Premier cru, Villages, Clos, Veilles vignes, Cru bourgeois, Grand vin, Cru classé e molte altre che non sempre hanno un quadro normativo preciso e affidabile, ma anche vi fosse, «varia in maniera sensibile,interessante, ma disorientante», da regione a regione.
Ma andiamo per ordine, con l’ausilio di diverse etichette di vini - delle più disparate regioni e denominazioni - che Samuel ci mostra per farci capire come una lettura superficiale potrebbe trarci in inganno.
Grand Cru: è una dicitura gerarchica che viene utilizzata in diverse regioni di Francia - su tutte Borgogna e Champagne - anche se non vale per tutte. Ad esempio, nell’Appellation Saint-Émilion Grand Cru Contrôlée «si innesta in maniera osmotica con il nome stesso della denominazione d’origine» poiché quest’ultima è proprio “Saint-Émilion Grand Cru” e non “Saint-Émilion” tout court, che pur esiste. Se ci si sposta in Alsazia, la possibilità di usare il termine Grand Cru è vincolato alla rivendicazione di un’unica denominazione: “Appellation Alsace Grand Cru Contrôlée”, per quanto poi si precisi il nome del cru; per inciso, sono 51 i Grands Cru in Alsazia rappresentati da una AOC a sé stante, con un proprio disciplinare.
Grand Vin: dicitura che si usa in varie regioni francesi, particolarmente presente nel Bordolese e in Champagne. Dal punto di vista strettamente legale, tuttavia, questa scritta non ha alcun valore: non c’è normativa alcuna che la regoli. È utilizzata talvolta dal produttore in modo discrezionale, ma non assicura di certo la qualità.
Cru Bourgeois: la menzione Cru fa riferimento a una classificazione gerarchica che, a sua volta, si riferisce ad un organismo di controllo autonomo con regole interne che si riallaccia a una tradizione nata fra il ‘700 e l‘800. Il binomio si riferisce invece a una prima classificazione del 1932 degli châteaux del Médoc non inclusi nella classificazione del 1855 dei vini di Bordeaux. Da allora tanti sono stati i cambiamenti, l’ultimo dei quali nel 2020 che prevede una classificazione quinquennale a partire dalla vendemmia 2018, e che classifica gli châteaux in tre categorie, dal basso verso l’alto: cru bourgeois, cru bourgeois supérieur, cru bourgeois exceptionnel.
Premier (1er) Cru: la dicitura è prevista nel caso in cui le uve e i vini provengano da uno dei vigneti classificato nella categoria omonima - e il cui nome può essere riportato in etichetta -, la seconda partendo dall’alto prevista per la piramide gerarchica borgognona. Nel caso in cui il vino sia frutto della miscela di almeno due vigneti premier cru non si possono riportare in etichetta più nomi e così, per questo motivo, si può trovare la scritta “Nuits-St-Georges 1er Cru” contemporaneamente ad “Appellation Nuits-Saint-Georges Controlée”.
Clos: il vocabolo indica una vigna che, nella sua storia, è o è stata chiusa da un elemento materiale, idealmente da mura ma anche siepi o altro tipo di recinzione. Questo, però, ha finito per sposare e riassumere un’idea di prestigio, di qualità superiore, salvo il fatto che la disciplina dell’uso del termine clos è piuttosto vaga. Per complicare ulteriormente le cose, il termine clos è entrato a far parte del nome di alcune denominazioni d’origine borgognona assurte al massimo livello di gerarchia possibile (Grand Cru) che hanno riassorbito questa parola nel nome dell’appellationstessa, ad esempio, “Clos de la Roche”.
Cru: il termine è polivalente ed estremamente ingannevole, poiché designa una porzione di territorio più o meno precisamente delimitata e più o meno grande. Si passa infatti dai Cru borgognoni che - in diversi casi - sono costituiti da pochi, pochissimi ettari, a quelli che invece hanno dimensioni di centinaia di ettari come nel Beaujolais. Così si legge sulle etichette di questi vini “Cru du Beaujolais”, la più alta categoria di classificazione, ma che non è sufficiente poiché oltre a questo si innesta l’AOC riferita ai 10 territori che rivendicano questa collocazione e che, badate bene, non sono autorizzati a produrre il Nouveau per cui questa regione è, purtroppo, ricordata.
Ma se trovassimo un’etichetta come quella riportata, in cui compare “Morgon”, che è uno 10 crus del Beaujolais, ma in cui la dicitura compare dopo il nome del produttore, come se Henry Fessy fosse un cru? Beh, allora, serve un po’ di immaginazione per capire che, probabilmente, Morgon è uno dei diversi crus del Beaujolais prodotti da Henry Fessy.
Per tirare le somme, grazie a Samuel, abbiamo capito quanto complessa - e talvolta ingannevole - sia l’etichettatura dei vini francesi e, d’ora in poi, saremo tutti più accorti (e prevenuti).
La seconda parte dell’articolo riguarderà pregi e difetti delle regioni vitivinicole francesi, secondo la personale interpretazione del relatore.