Tornare a scoprire il fascino di Bordeaux
Approfondimento Francia
di Sara Passerini
12 maggio 2023
Insieme a Luisito Perazzo e alla degustazione di sei cru classé di provenienze diverse, abbiamo riscoperto il piacere di assaggiare i vini di uno dei territori vitivinicoli più significativi per storia, qualità e capacità di influenzare l’intero mondo enologico.
Le masterclass di Enozioni hanno il pregio di creare una terra comune, di farsi isola di confronto e intimo momento di condivisione. Nella sala Rossini va in scena il Bordeaux, una delle zone di Francia più ampiamente vitate, un territorio in cui l’acqua ha un’influenza poderosa grazie ai due fiumi che sezionano il territorio, la Garonna e la Dordogna che confluiscono nell’estuario della Gironda prima di sfociare nell’Oceano Atlantico regalando alla zona magie pedoclimatiche e una posizione strategica che nelle varie epoche storiche ha reso facile e vantaggiosa l’esportazione dei vini. Un territorio però che, nonostante la qualità e la fama, «la zona vinicola di eccellenza più ampia su scala mondiale» tiene a precisare Luisito, trova meno spazio di quanto meriterebbe nelle carte dei ristoranti o nelle cantine dei cultori del vino. Ripercorrendo alcuni scorci di storia e degustando sei notevoli cru classé proviamo a capire le ragioni di questo fenomeno e cerchiamo di rispondere alla domanda: «vale la pena, ancora oggi, bere i vini di Bordeaux?».
Le origini
Lo spartito della storia ha radici lontane e poetiche. A Bordeaux il vino viene fatto da moltissimo tempo e la sua origine è legata alla figura di Decimus Magnus Ausonius, poeta e professore di retorica vissuto nel IV secolo d.C., che in una poesia fornisce le prime prove della viticoltura della sua terra natale. Château Ausone, Premier Grand Cru “A” di Saint-Émilion, deve il suo nome proprio a lui.
Cambia la scenografia e, con un balzo temporale, veniamo proiettati nel XII secolo. Eccoci al matrimonio di Eleonora d’Aquitania ed Enrico II dei Plantageneti, un evento che risolleva le sorti del vino nella zona: il commercio vinicolo con l’Inghilterra si fa motore propulsivo.
Con la Guerra dei cent’anni la viticoltura torna a non essere una priorità. Saranno gli olandesi, nel 1600, a intervenire e sferzare il mondo del vino: con la richiesta di maggiore quantità (e non migliore qualità) si procede alla bonifica di numerosi terreni e alla predisposizione di canali d’irrigazione. Arriviamo al 1663 quando un personaggio, questa volta autoctono, Arnaud de Pontac, per primo venderà il suo vino nel mercato inglese con l’indicazione di origine geografica introducendo così l’idea della valorizzazione della parcella, del terreno, di Bordeaux. È qui che la fortuna del vigneto bordolese ha inizio, con l’aristocrazia che comincia a investire nella zona e a realizzare un prodotto da rivendere alla clientela straniera.
Nel 1800 viene costruita la ferrovia Bordeaux-Parigi a supportare la diffusione dei vini; nel 1855 ha luogo l’Esposizione Universale di Parigi e viene creata la nota classificazione dei vini di Bordeaux. A fine Ottocento, come nel resto d’Europa, arriva la fillossera e a questa piaga seguono poi due guerre mondiali. La viticoltura, di nuovo, non è la priorità.
Alcuni elementi per indagare il presente
Venendo ai tempi nostri, gli ultimi quarant’anni hanno segnato particolarmente la storia del Bordeaux: a partire dagli anni Ottanta la pregiata regione – e sì, perché a Bordeaux la produzione vinicola è strettamente collegata col prestigio, lo sfarzo, la nobiltà – ha una sferzata grazie alla figura di Robert Parker. L’annata 1982 è storia, ma è anche l’inizio dell’innalzamento dei prezzi e della formazione di pratiche di cantina che, almeno in parte e in alcuni anni, pare essere stata più orientata al gusto del consumatore che al rispetto del territorio e della tradizione.
La concorrenza negli ultimi trent’anni si è, inoltre, allargata: nel mondo del vino si assiste a una vera e propria rivoluzione. Lo si produce anche in Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Cina e Sud America, con uve - nella maggior parte dei casi - francesi e, nello specifico, bordolesi; questo fa sì che il consumatore medio possa apprezzare vini realizzati con gli stessi vitigni, ma altrove, a prezzi nettamente inferiori a quelli del Bordeaux.
Altro fattore che disorienta il consumatore - penalizzando un sano approccio alla zona - è la dicotomia profonda tra qualità e quantità. Questa polarizzazione non è totalizzante nella produzione perché porta in sé le dovute eccezioni, ma sono eccezioni che per essere considerate parte della norma richiedono studio e agio vitivinicolo.
C’è poi la sensazione che i vini di Bordeaux siano associati soprattutto ai noti vitigni bordolesi e che quindi ci si aspettino “quei” sentori e “quei” gusti – che tra l’altro, attualmente, non vanno più nemmeno molto di moda. È evidente che il territorio offre molto di più perché sa comunicare una complessità e un’eleganza fuori dal comune, e sa persino raccontarci lo scorrere del tempo, ma se non si è esperti bisogna salire di livello per assaporare la magia.
Un’ultima considerazione sul procedere sottovoce dei vini di Bordeaux ci riporta alla poesia, elemento fondativo del racconto del vino. La zona di Bordeaux pare soffrire della mancanza di una narrativa poetica, a partire dalla percepita prosaicità dell’assemblaggio in confronto al lirismo del monovitigno. Per capire l’assemblaggio servono cultura e conoscenza del luogo, e se si considera che questa zona è potenzialmente segnata dai capricci dell’oceano, mantenere un timbro riconoscibile di alta qualità non può prescindere dal valorizzare anche annate e vendemmie.
La degustazione
Insieme a Luisito Perazzo, dopo aver discorso di storia e geografia, passiamo alla magia assaggiando i sei cru classé e cercando di capire, calice in mano, se ha senso oggi bere Bordeaux. I vini ci vengono serviti a uno a uno, dapprima coperti, così da giocare con l’identificazione dei vitigni, della zona o della specificità produttiva, ma subito dopo svelati e riassaggiati alla luce del nome che portano.
Château Malartic Lagraviere 2010 Grand Cru Classé - Pessac-Lèognan
Rubino dalla tessitura impenetrabile e dai ricami cedevoli che occhieggiano al granato. Il naso parla di evoluzione e si sposta su toni terziari; la prugna e un mazzolino di erbe aromatiche tra cui spiccano timo e mentuccia ingentiliscono le tracce di grafite. L’ingresso al palato è gentile e assertivo, il tannino è asciutto, l’acidità vivida. Ci piace di più al gusto che all’olfatto. La chiosa è di mandorle amare, tipica dei vini delle Graves, così come gli impulsi minerali e affumicati parlano del terreno sassoso e argilloso contraddistinto da un substrato calcareo marino.
Il blend vede due protagonisti: cabernet sauvignon e merlot, entrambi con una presenza del 45% e due coprotagonisti: cabernet franc e petit verdot con il 5% ognuno.
Château Beau-Séjour 2011 Grand Cru Classé - Saint-Émilion
Se nel vino precedente l’evoluzione s’intuiva, qui caratterizza l’intera esperienza, dal colore granato che si spinge al mattone, al naso di legna arsa, di camino e cenere, foglie secche e funghi champignon. «È il classico profilo d’evoluzione bordolese», ammette il maestro. Al gusto il tannino è sottile e definito, ma la struttura è cedevole, purtroppo. Il vino pare al capolinea.
Un rincontro veloce per congedarci svela erbe aromatiche e officinali. Il vino ci saluta con la grazia di una vita intensa e una persistenza che in fondo si fa piacevole.
Siamo sulla riva destra del fiume, a Saint-Émilion, il distretto più antico, zona dalla moltitudine di terreni contraddistinta da quattro terroir e diciassette micro-terroir. Il blend degustato proviene da vecchie vigne e vede una predominanza di merlot, 70%, un’aggiunta di cabernet franc al 24% (le uve più diffuse nella zona) e un saldo di cabernet sauvignon, 6%.
Château Gazin 2014 - Pomerol
Con Pomerol si dischiude un mondo. Abito granato, vivo e di graduata intensità. L’olfatto si rivela ricchissimo, circolare, polposo. Un frutto nero e pieno, mora e prugna ben intrecciate a liquirizia, cenni di cioccolato, erbe officinali in infuso, venature di tartufo e resina, sensazioni mentolate. La bocca è fresca e di grande equilibrio, regala struttura e matericità. Il vino entra potente e morbido, e appena si distribuisce il tannino fa la sua parte: di magistrale cesellatura, fitto e perfetto.
Al di là del colore, che magari ha qualche cedimento, al palato ha di fronte a sé una vita intera.
Il merlot al 90% nasce da un sottosuolo a strati ferrosi chiamato crasse de fer e da un terreno argilloso che agevola la perfetta maturazione delle uve. Oltre al merlot il blend accoglie cabernet sauvignon al 7% e cabernet franc al 3%.
Château Beychevelle 2015 Grand Cru Classé - Saint-Julien
Ci spostiamo sulla riva sinistra e andiamo a Saint-Julien. Nel calice si scorge un rosso rubino meno compatto e scuro dei precedenti. A influire sul colore sono assemblaggio ed evoluzione. Profumi freschi e vegetali irrompono al principio, lasciando presto uno spiraglio per la viola, un floreale sottile, una spezia delicata affatto piccante. Elegante, suadente e seducente. Lo assaggiamo e ci sorprende per la sua bevibilità: ha una freschezza immediata, una leggerezza intrinseca, un tannino maturo ma croccante. Al riassaggio ci stupiamo, sembra quasi “pinoleggiare”!
Assemblaggio di cabernet sauvignon 60%, merlot 30%, cabernet franc 7% e petit verdot 3%.
Château Pontet-Canet 2015 Grand Cru Classé - Pauillac
Sfoggia una livrea compatta e vigorosa, splendido rosso con elegante filigrana evolutiva. Profilo da cabernet sauvignon all’esordio, si scorgono sentieri erbacei, tabacco, cedro, cassis, e ancora intarsi di resina e muschio, sfumature di caffè colombiano. Le famiglie del frutto, della spezia, del vegetale si contendono il primato e un soffio marino porta con sé cenni affumicati. La bocca è grandiosa: fine, verticale, bilanciata. L’ingresso è potente, la sensazione tattile è quasi oleosa, il tannino è serico e asciutto e diventa presto protagonista. L’epilogo è sapido e lento a congedarsi.
Siamo a Pauillac, il vigneto è a conduzione biodinamica dal 2011, il blend è composto dal 65% di cabernet sauvignon, 30% merlot e il restante 5% diviso equamente tra cabernet franc e petit verdot.
Château Calon Ségur 2015 Grand Cru Classé - Saint-Estèphe
Il sipario è rubino, luminoso e invitante. Lo giriamo e seguiamo ipnotizzati il lento muoversi rotondo. Il preludio odoroso è intenso e pieno di aspettative che non saranno deluse. Si comincia con la spezia, vaniglia, pepe e cardamomo, poi una ricchezza fruttata di mirtillo e ciliegia. Non mancano aggiunte di tabacco dolce e resine di pino, richiami di cioccolato e caffè zuccherato, poi un indizio di catrame. È un naso più scontroso del precedente, ma intrigante. Al palato il vino è corposo, sapido, lunghissimo. Non è ancora del tutto disposto a raccontarsi, a consegnarsi, se ne sta un po’ sulle sue, ma si sente che è un vino di razza, un vino che ancora scalpita.
Assemblaggio di cabernet sauvignon 90%, merlot 7%, petit verdot 3%.
La degustazione ha riscosso grande successo, siamo tornati sui vini come si rivedono i vecchi amici, con la curiosità di vedere come sono cambiati. I primi due vini, i più evoluti, sono piaciuti, ma è degli ultimi quattro che ci siamo innamorati per la loro coerenza naso-bocca, per la loro specificità territoriale e soprattutto per il loro potenziale evolutivo. È qui che “riscopriamo” il fascino di Bordeaux e unanimi confermiamo che sì, vale la pena bere bordolese e lasciarsi sorprendere, ancora, da quell’insieme di tradizione vitivinicola, sapienza e conoscenza del territorio, valore dell’annata e capacità comunicativa di un vino.