Castel Chiuro e Paolo Cognetti: il vino si fa parola, e viceversa

Castel Chiuro e Paolo Cognetti: il vino si fa parola, e viceversa

Attualità
di Sara Missaglia
26 marzo 2024

A Milano la cantina valtellinese Nino Negri, per celebrare la Riserva Castel Chiuro 2011, ha puntato su una narrazione fatta di parole scritte, lette e trasposte cinematograficamente: quelle di Paolo Cognetti, lo scrittore che ama e parla di montagna.

Un enologo, un regista e uno scrittore. Tenuti insieme da un vino, il Castel Chiuro, e dall’amore per la montagna. L’enologo è Danilo Drocco, winemaker e direttore di Nino Negri, la storica cantina della Valtellina che, dal 1897, fa vino in un territorio alpino. Il regista, ma a sua volta scrittore, saggista, esperto di vini e di montagna, è Massimo Zanichelli, autore di un’opera importante delicata proprio all’ambiente vitivinicolo in quota. E infine lui, Paolo Cognetti, Premio Strega 2017 con “Le otto montagne”, e autore del più recente “Giù nella valle”, passando per una serie di lavori che raccontano il legame profondo con la montagna. 

Massimo Zanichelli ha camminato le vigne, respirato esposizioni, ha lasciato che fosse il vento ad accarezzarlo. Conosce bene i luoghi di Danilo e quelli di Paolo, e ne parla con rispetto e incanto. Un incontro, un dialogo, un pranzo e tanti modi per riconoscersi: dal 20° piano del Ristorante My view prende vita una dialettica fatta di linee orizzontali e verticali che sembra unire Milano alla montagna. Danilo Drocco e Nino Negri hanno scelto di raccontare la loro grande Riserva 2011 attraverso una scintilla che nasce dal contatto tra calici e libri. Mondi che si incontrano, si sfiorano e si riconoscono. Finendo per non lasciarsi più. Come una matrioska, nella bottiglia trovi le parole, nelle parole trovi la montagna, e via così, in un percorso infinito di contaminazioni che, al pari del gioco del domino, sono causa ed effetto soprattutto di emozioni. Vite di Roccia, la linea di Valtellina Superiore firmata per Nino Negri da Danilo Drocco, si intrecciano, esattamente come il nebbiolo, con storie solo apparentemente diverse: quelle raccontate da Paolo Cognetti. Castel Chiuro affina nelle cantine sotterranee del castello in cui ha sede la cantina, nel cuore di Chiuro, e viene alla luce attraverso le parole del grande scrittore. La montagna diventa il punto di contatto, intersezione inconsapevole e crocevia di tempi e modi diversi: non è la natura, ma la quota a fare la differenza. 

«Ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene», secondo le parole di Paolo Cognetti. Un grande senso di interiorità in un mondo che è specchio dell’anima. Chi è in montagna vive di dettagli, di percorsi, di riferimenti, di qualcosa di tangibile e riconoscibile: le rocce, i cippi sul confine, il profilo delle montagne sono parte della comunità. Ci si convive senza troppa enfasi, semplicemente perché non si dà importanza a ciò che si è o a dove ci si trova. Se sei nato in un posto, ci fai l’abitudine. Il vino è uva, materia prima trasformata, e il processo di vinificazione ha radici antiche, come quelle del nebbiolo delle Alpi. «Siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente». Castel Chiuro Valtellina Superiore DOCG Riserva 2011 nasce da uve nebbiolo in purezza: i vigneti terrazzati con esposizione a Sud sono a un’altitudine variabile tra i 300 e i 600 metri sul livello del mare. I suoli sono prevalentemente sabbiosi e limosi, ricchi di sassi. Un paesaggio fragile e, al tempo stesso, severo, imponente, statuario e fiero. 

Castel Chiuro risponde alla volontà di realizzare un vino che non ha fretta: nasce dalla profondità e dall’attesa. È sottoposto a lunghissimi affinamenti, oltre 10 anni, in botti di rovere e in bottiglia. Un vino che sfida lo scorrere del tempo con orgoglio, senza timore, impavido, certo di superare la prova dell’età. «La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio, tempo e misura» ancora Paolo Cognetti dal suo “Le otto Montagne”. Così come in quota soffia il vento, le botti di rovere con le porosità del legno, consentono il passaggio di piccole quantità di ossigeno, creando una particolare interazione tra colore e tannini, e contribuendo allo sviluppo di sensazioni degustative che regaleranno note di frutta rossa matura e, al tempo stesso, fini tattilità da morbidezze. Avvolgenza, grazia, eleganza ma anche grinta da vendere: la 2011 è in perfetta forma, con una vivacità giocata su tonalità rosso granato filigranata. Al naso le spezie con sbuffi balsamici lasciano il passo ad erbe aromatiche, a sentori di roccia umida, a ricordi di vaniglia, di tabacco, di cannella, di alloro, di noce moscata. Un bouquet ampio, unito da un filo, rigorosamente rosso, che ha il sapore del sale. È quello della terra, delle viscere del castello dove il vino riposa. È quello della roccia, che si fa montonata in Valtellina. «Mi piace l’idea della solitudine di questo vino», sottolinea Danilo Drocco, «che riposa cinque anni nelle botti e cinque anni in bottiglia, al buio delle cantine. In bottiglia nasce un’alchimia segreta che non comprendiamo ancora bene e che solo i grandi vini sanno far diventare vincente». 

 

La montagna come riscoperta dei sensi, soprattutto dell’olfatto: «l’alta montagna ha un odore minerale, di sole sulla roccia. Questo vino è un pomeriggio assolato tra i muretti, è un ginepro, la pianta sacra per i Tibetani: l’odore della bacca è quello delle ultime erbe», sottolinea Paolo Cognetti. La metrica narrativa è fatta di orgoglio, di fatica, di altimetrie e di pendenze, che in Valtellina arrivano a sfiorare anche l’85%: «tutto in montagna ha a che fare con il peso, con la fatica, con la forza di gravità, che rende la vita più faticosa. Sono gli elementi della montagna a farti compagnia: vedo gli alberi che ho piantato nel mio guardino, le stagioni che arrivano, l’aria, l’erba. Con loro stabilisco un dialogo, più che con gli umani», continua Cognetti, «i montanari hanno un rapporto con la natura e con l’isolamento: sei solo perché sei lontano dal più vicino essere vivente, perché quando viene buio non c’è più luce, e non hai più la città che ti illude che sia sempre giorno». «Il vignaiolo valtellinese ha l’abitudine alla pendenza e alla quota, anche se non è esasperata: crea un rapporto viscerale profondo e di amicizia con la vigna», prosegue Danilo Drocco. «La Valtellina è un territorio unico, così come la sua origine geologica, un vero patrimonio di rocce e di suoli per i nostri vini». Da “Le otto montagne”: “se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte”. Cambiare prospettiva: un sopra, fatto di luce e calore, e un sotto, fatto di umidità, ombra e silenzio. L’etichetta di questa grande Riserva è solenne: luminosa solo come l’oscurità sa esserlo, in un gioco di sinestesie che trova nell’attesa la sua dimensione più elegante. La montagna ci sopravviverà, qualunque cosa accada.