Quali prospettive per i vitigni Piwi? Lo stato dell’arte
Attualità
di Sara Missaglia
04 luglio 2023
L’Università degli Studi di Milano ha ospitato un convegno dedicato ai vitigni resistenti con la presentazione del progetto e del gruppo operativo Vitaval. In Italia poco più di 1000 ettari vitati con i Piwi.
La Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano ha ospitato un incontro a più voci dedicato alla viticoltura resistente. Contributi autorevoli e prestigiosi quelli che hanno animato il convegno, da Attilio Scienza, Presidente del Comitato Nazionale vini Dop e Igp, a Lucio Brancadoro del Disaa (Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali) dell’Università degli Studi di Milano, Responsabile scientifico del progetto Vitaval, da Marco Stefanini – Presidente di PIWI Italia (nomina recentissima) collegato da San Michele all’Adige a Davide Modina, ricercatore presso il Disaa dell’Università di Milano e all’enologo e produttore Alessandro Sala della cantina Nove Lune, Presidente di Piwi Lombardia. Il dibattito è stato moderato da Lorenzo Tosi, giornalista della casa editrice Edagricole.
Una cosa è certa: il tema “Piwi” è di grande attualità, e condividere esperienze, competenze e progetti è sempre più necessario, anche per sgombrare il campo da errori e interpretazioni delle T.E.A., le Tecniche di Evoluzione Assistita e delle tecniche di cisgenesi e genome editing, oggi sulle prime pagine delle riviste di settore per il via libera del Parlamento alle sperimentazioni in campo.
Piwi: a che punto siamo
La falsa scienza ha generato mis-informazione: ancora oggi qualcuno parla di Piwi confondendoli con gli OGM, retaggio antico che spesso riaffiora. Da tempo sono state smentite voci prive di basi scientifiche sulla tossicità della malvidina dicogluside e sull’eccessiva produzione di metanolo in fermentazione, dannoso per la salute. Tornano periodicamente anche le valutazioni dei detrattori sulle sensazioni degustative sviluppate dai vini da uve resistenti di foxy, di selvatico e di altri odori sgradevoli, accompagnati da un basso contenuto di zucchero e da una elevata presenza di acidità. Gran parte delle varietà resistenti hanno in realtà contenuti in metanolo del tutto comparabili a quelli delle varietà di Vitis vinifera, ben al di sotto dei limiti di legge. Dal punto di vista gustativo chi ha degustato i vini da uve resistenti è consapevole che le sfumature espressive sono, in particolare per i vini bianchi, eleganti e dotate di un corredo olfattivo ampio e di grande pulizia, lontano da sensazioni selvatiche, “volpine” e poco fini. I risultati di una recente ricerca illustrata dal prof. Scienza mettono in luce che i Piwi, pur non essendo vitigni nativi, hanno invece un rapporto stretto con il terroir, registrano l’influenza dell’annata ed conferiscono una buona stabilità al profilo metabolico del vino. In generale, sostiene il prof. Scienza, il vino prodotto da varietà resistenti alle malattie ha una composizione molto simile a quella dei vini delle varietà Vitis vinifera.
“La direzione è molto chiara: uguali, diversamente”. Interessante il contributo del prof. Marco Stefanini della Fondazione Mach: «le varietà Piwi portano delle resistenze: vuol dire che non ci sono immunità e che esistono diversi livelli di resistenza. Si prevedono e si considerano un numero ridotto di trattamenti fitosanitari: comunque la maturazione dell’uva è adatta a quelli che sono gli obiettivi enologici. Sono resistenti perché queste varietà hanno la necessità, per reagire al fungo, della presenza del fungo stesso, mentre la tolleranza è quella in cui il fungo ha il suo ciclo completo e la pianta non manifesta crisi al punto da compromettere la propria produzione». Resistenza e tolleranza fanno quindi riferimento a situazioni di differente sensibilità: si parla di tolleranza quando la pianta ha la capacità di sopportare la presenza e lo sviluppo di un agente patogeno (come peronospora o oidio), senza attivare quasi nessun ostacolo alla sua diffusione, praticando una compensazione per arginare in modo diverso i danni potenziali, mentre parliamo di resistenza quando la pianta attiva risposte (anche solo parzialmente efficaci) finalizzate al blocco del processo infettivo.
I numeri dei Piwi
Oggi i centri di ricerca attivi nel miglioramento genetico della vite sono in tutto il mondo, dalla Francia alla Russia, dall’Ucraina alla Moldavia, dalla Germania alla Serbia, dagli Stati Uniti al Brasile. Passando al nostro Paese le realtà attive impegnate su questo fronte sono la Fondazione Mach e Civit di San Michele all’Adige, l’Università di Udine e l’IGA (Istituto di Genomica Applicata), i Vivai Cooperativi di Rauscedo, l’Università di Milano e l’Università di Bologna.
Attualmente risultano iscritte al Registro Nazionale delle Viti 36 varietà di Piwi, 18 a bacca bianca e 18 a bacca nera. Sono ibridi con nomi con i quali dovremmo acquisire una maggiore confidenza: tra i tanti, i più conosciuti Bronner, Solaris, Soreli, Johanniter, Souvignier Gris, Muscaris, Cabernet Carbon, Regent, Sevar e Merlot Kanthus, ma anche i meno noti Charvir, Fleurtai, Poloskei Muskotaly, Sauvignon Rytos, Cabertin, Julius, Pinot Kors, Ranchella e Termantis. Solo nel 2020 sono state registrare venti nuove varietà di viti resistenti, a conferma del fenomeno in crescita.
Oggi la superficie dedicata a vitigni nel nostro Paese è di circa 626 ettari (dato aggiornato 2020) contro i circa 666mila ettari vitati, ma la stima 2021 parla già di 1.050 ettari, registrando un buon incremento nell’impianto di barbatelle: il Veneto con i suoi 256 ettari Piwi guida la classifica delle regioni, seguita da Friuli Venezia Giulia (230 ettari), Trentino (67 ettari), Alto Adige (51 ettari), Lombardia (67 ettari) e Abruzzo (10 ettari).
In Europa l’Ungheria, con i suoi 5.438 ettari vitati Piwi (pari al 7,99% dell’intera superficie vitata) è in testa alla graduatoria, seguita dalla Germania (2.593 ettari, pari al 2,51% dell’intera superficie vitata) e dall’Austria (500 ettari, pari all’1,07% dell’intera superficie vitata).
Interessanti anche i dati delle cantine che allevano Piwi: 31 in Alto Adige, 28 in Trentino, 49 in Veneto, 17 in Lombardia, 14 in Friuli, 2 in Abruzzo e 1 in Piemonte. Il Lazio è stata l’ultima regione che ha inserito le varietà resistenti. «Stiamo passando dagli ibridi di vecchia generazione agli ibridi di nuova generazione: i nuovi incroci non hanno nulla a che vedere con i vecchi, sono totalmente diversi. Hanno nel loro Dna oltre il 95% di Vitis vinifera e più fattori di resistenza alle malattie della vite. Normalmente occorrono dai 15 ai 20 anni per ottenere una nuova varietà e altri 10 per poterla rendere disponibile commercialmente – spiega il prof. Scienza – e la spesa complessiva per ottenere una varietà resistente si aggira intorno ai 100-110mila euro». La resistenza può durare nel tempo? «Con pressioni forti del fungo come in questa stagione ci sono alcuni genotipi che non riescono a controllare la presenza di peronospora e oidio e quindi non risultano resistenti. In realtà la resistenza c’è, ma la velocità del ciclo del fungo è così rapida da inficiare l’attività metabolica della pianta», conclude il prof. Stefanini.
La legislazione in Italia e il rapporto con le Denominazioni di Origine
I vitigni resistenti sono registrati in Italia con limitazione a margine: se il Decreto Legislativo n. 61/2010 aveva sancito che si trattava di “uve non utilizzabili per i vini a denominazione di origine” consentendone l’uso nelle IGT, con la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 06/12/2021 la nuova Politica Agricola Comune (PAC) ha dato il via libera all’utilizzo di varietà resistenti (PIWI) nelle Denominazioni. In Italia non sono ancora tuttavia ammessi nelle Doc i vini ottenuti da vitigni resistenti Piwi: questo a causa della difformità di interpretazione tra la legislazione europea appena citata e quella italiana (Testo unico della vite e del vino - Legge 238 del 12/12/2016). Per l’Italia sono le Regioni gli enti competenti a legiferare sulla base delle linee guida contenute nell’accordo del 25 luglio 2002 in materia di classificazione delle varietà di vite. Tutto questo quando in altri Paesi come Germania, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria le uve da Piwi sono considerate al pari di Vitis vinifera. La stessa Francia oggi considera quattro varietà Piwi come vinifera perché la creazione di varietà resistenti di qualità è considerata una priorità per la filiera vinicola. «L’obiettivo è fare della Francia il punto di riferimento per la produzione di vino a basso contenuto ambientale» ha affermato Christian Huyge, direttore scientifico INRAE (Istituto nazionale francese di ricerca agricola e alimentare). Le regioni in Italia in cui è ammessa la coltivazione sono: Veneto, Friuli–Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, a cui si è aggiunta recentemente la regione Piemonte. La procedura di autorizzazione alla coltivazione si è avviata anche per le regioni Lazio, Campania e Puglia.
I potenziali mercati di riferimento per i vitigni resistenti
Le zone indicate per l’allevamento dei vitigni resistenti sotto tutti i comprensori viticoli con condizioni climatiche favorevoli agli attacchi dei patogeni, individuati negli areali a clima temperato e piovosità superiore ai 500/600 millimetri annui. Sono inoltre indicati gli areali contigui ad estesi insediamenti abitativi, anche se non in climi particolarmente favorevoli agli attacchi patogeni. Anche quei Paesi o regioni in cui la viticoltura si è sviluppata su basi di elevata competitività (Spagna, Cile, Sudafrica, Sud della Francia e Sicilia) o in cui la cultura del vino è molto lontana dalla nostra come India, Cina, Giappone sono adatti a questo tipo di viticoltura, spiga il prof. Scienza. «Non deve tuttavia passare il messaggio che i territori idonei ai Piwi siano solo areali vicini ai centri abitativi – chiosa Alessandro Sala della cantina Nove Lune –. I Piwi allevati in terroir vocati alla produzione di vini di eccellenza esprimono sensazioni gustative uniche con le corrette quantità di acidità, struttura, equilibrio, intensità». Infine le aziende in viticoltura biologica che della sostenibilità ambientale hanno fatto la loro mission trovano nei vitigni resistenti un settore coerente, in quanto non solo abbattono il numero dei trattamenti in vigna – circa il 70% in meno di trattamenti fitosanitari –, ma comportano un minor uso delle risorse idriche, un minor compattamento del suolo e minori costi produttivi, in ottica di sostenibilità a tutto tondo, ambientale, economica e sociale. Uve più sane per vini più sani, destinati ad un consumatore consapevole.
Il Piwi giusto per ogni areale produttivo: il progetto Vitaval in Lombardia
L’obiettivo del progetto VITAVAL “Vitigni: studio, adattamento e valorizzazione in Lombardia” è quello di effettuare una valutazione agronomica ed enologica di alcuni vitigni resistenti/tolleranti le crittogame negli areali vitivinicoli montani e pedemontani della Lombardia, indagandone l’interazione con l’ambiente di coltivazione. Lo scopo, attraverso una zonazione corretta, è quello di dare indicazioni utili ai viticoltori sulle pratiche più idonee da adottare (a partire dalla fase d’impianto fino alla vinificazione) per valorizzare al meglio le varietà Piwi, favorendone così la diffusione sul territorio.
Il progetto, iniziato quest’anno in Lombardia e finanziato con Fondi Europei Agricoli per lo Sviluppo Rurale che ha una durata iniziale di 24 mesi, vede dieci cantine partner, oltre a tre vigneti di confronto varietale (Valtellina, Valcamonica, Oltrepò): le cantine Bonanomi Valerio, Casa Vinicola La Torre di Marcel Zanolari, Cooperativa Alpi dell’Adamello, Foppoli Fabio, la Grazia, Le Driadi, Medeghini Bianca, Nove Lune, Orsini Giuseppe e Ronco della Cava lavoreranno a fianco del Consorzio Vini IGT Valle Camonica (capofila), dell’Università degli Studi di Milano, della Comunità Montana di Valle Camonica e della Fondazione Fojanini di Studi Superiori di Sondrio. “La Lombardia è la regione che, subito dopo il Veneto, ha permesso il maggior numero di vitigni piwi in coltivazione: siamo autorizzati a lavorare con il progetto su 19 varietà, con una particolare attenzione agli ambienti alpini. L’obiettivo è la possibilità di creare un sistema che possa originare una Igt di prodotto legata a queste varietà”, precisa il prof. Lucio Brancadoro, responsabile del progetto. Tra le attività previste ci sono la caratterizzazione pedoclimatica dei siti di studio, il rilievo delle tempistiche della fenologia e del decorso della maturazione, e la raccolta dei principali parametri vegeto-produttivi e qualitativi alla vendemmia, con prove di diversi protocolli di vinificazione individuati per esaltare le caratteristiche delle singole varietà. La promozione dello sviluppo delle viti resistenti passa attraverso lo scambio di informazioni e conoscenze tra i produttori, che sempre più dovranno collaborare con enti e organismi deputati al settore vitivinicolo: importantissimo sarà anche in futuro mantenere le connessioni tra le associazioni Piwi e tutti i centri di sperimentazione italiani ed esteri attivi nello studio delle varietà resistenti, nonché promuovere iniziative sotto l’aspetto comunicazione per consentire la diffusione della conoscenza su questi vitigni e favorirne il collocamento dei prodotti sul mercato. Il traguardo sarà il raggiungimento delle Doc o di una Igt da varietà resistenti. Siamo ancora lontani dal sentir dire tra amici: “andiamo a farci un bronner” ma, come comunicatori del vino, il nostro mestiere è anche valorizzare questa viticoltura e condividerne tutto gli aspetti informativi.