A oriente dell’Oltrepò: Buttafuoco, Sangue di Giuda e Barbarcarlo
Degustando
di Marco Agnelli
28 giugno 2021
Nicola Bonera e un ardimentoso gruppo di venticinque appassionati alla scoperta dei vini che nascono nella striscia di terra compresa tra Broni e Canneto Pavese.
Oltrepò Pavese, dove poesia e fatica vanno a braccetto. Terra di infinito fascino e di continue lacrime, tanto amata quanto fragile, meravigliosamente tratteggiata da Mario Soldati in Vino al vino nel racconto del suo viaggio del 1968. Con Nicola Bonera, nell’ambito della rassegna online “Ritrovino”, andremo a porre la lente di ingrandimento su una specifica porzione, l’areale compreso tra i comuni di Broni e Canneto Pavese. Si tratta di un fazzoletto di terra dalle dimensioni piuttosto contenute (i due comuni distano tra loro non più di 5 chilometri) in cui i vitigni a bacca rossa, e in particolare la croatina, regalano meravigliose espressioni del territorio. Buttafuoco, Sangue di Giuda e Barbacarlo saranno le tre tipologie oggetto del confronto della serata.
Se altre zone dell’Oltrepò sono famose per il pinot nero, questa ha una tradizione che affonda le proprie radici molto indietro nel tempo. È accertato che la vigna buttafuocoesista da tempo immemore. Il Professor Marescalchi cita, in una sua monografia del 1924, sia il Barbacarlo sia il Sangue di Giuda, prodotti nel comune di Canneto Pavese, mentre Buttafuoco e Montenapoleone (l’attuale Montebuono, vino figlio della vigna accanto a quella del Barbacarlo) sono annoverati tra i vini rossi migliori d’Italia.
L’elemento che contraddistingue questo territorio è la pendenza che impone lavorazioni sempre manuali. I terreni, la cui origine geologica si colloca in epoca messiniana, sono duri, di difficile lavorazione e poco generosi. Prima di lasciare la parola ai partecipanti del Ritrovino, Bonera ci accompagna attraverso una panoramica delle tre tipologie oggetto del confronto.
In base a quanto previsto dal disciplinare, il Sangue di Giuda DOC può essere prodotto in versione ferma, frizzante e spumante, sebbene quest’ultima tipologia sia in realtà poco diffusa. Il nome di questo vino trae origine dalla leggenda secondo cui Giuda risorto era in cerca di un’opera di bene per farsi perdonare, e passando da Broni riuscì con il proprio sangue a guarire le vigne malate. La base ampelografica è costituita da croatina, barbera, uva rara e, a differenza di quanto previsto per il Buttafuoco, anche pinot nero. «Eccellente vino da frutta fresca», è riportato sul sito istituzionale del Consorzio, ma lo si può pensare come vino da dessert a tutto tondo, che può benissimo reggere preparazioni a base di cioccolato e creme. Potenzialmente portatore di durezze importanti per via del tannino della croatina e dell’acidità della barbera spesso, per compensarne le asperità, gli viene lasciato in alcune interpretazioni un non trascurabile quantitativo di zucchero residuo.
Il Buttafuoco, fino al 2010, era una tipologia compresa nella DOC Oltrepò Pavese; poi è stato disciplinato attraverso una denominazione a sé stante. Il nome del vino è dovuto, molto probabilmente, al suo apporto alcolico («Al buta me al feug», avvampa come il fuoco). Il disciplinare ne prevede la produzione sia in versione ferma sia in versione frizzante, elemento che potrebbe generare non poca confusione nel consumatore. Per questo motivo nel 1996 vide la luce il Club del Buttafuoco Storico, finalizzato a promuovere l’espressione più storica di questo vino all’interno della sua area di produzione originaria, quella delimitata dai torrenti Versa e Scuropasso. Le percentuali delle uve nel Buttafuoco Storico sono standard (50% croatina, 25% barbera, 15% vespolina e 10% uva rara). Ogni anno una commissione di enologi ed esperti di vino valuta la qualità del prodotto autorizzandone l'imbottigliamento.
Barbacarlo, infine, è la storia di un mito oltrepadano che si intreccia con quella del suo custode, Lino Maga. La famiglia possiede la vigna Barbacarlo dal 1886. Il nome è un omaggio al patriarca Carlo Maga, lo zio Carlo: nel dialetto locale, infatti, zio si dice “barba”. L’introduzione della menzione Barbacarlo nella DOC Oltrepò Pavese a partire dal 1970 ingolosì molte persone, che ne sfruttarono il nome maldestramente e in modo improprio. Questo diede il via alla lunga battaglia legale di Lino per rivendicare l’unicità della menzione. «Ventidue anni di vita. In molti mi chiedono se ne è valsa la pena. No! Per 10.000 bottiglie... era una questione di principio! Ma non rimpiango nulla perché sono riuscito a salvaguardare i miei figli e i miei avi a cui era stata persino dedicata una valle a Broni: Valle Maga o Valle Maghini*».
*parole di Lino Maga durante una visita in cantina di qualche anno fa, clicca qui
I venticinque ardimentosi scalpitano e dunque si procede con la narrazione delle bottiglie che i partecipanti del Ritrovino hanno deciso di condividere, seppur virtualmente, con i colleghi.
Sono in tre ad avere scelto il Sangue di Giuda. Alessandro propone la versione di Francesco Quaquarini, vendemmia 2020. Azienda storica, produttrice del maggior numero di bottiglie della tipologia con viti allevate su terreni argillosi a circa 250 m di altitudine. Ciò che il collega si trova nel calice è un vino rubino violaceo, con profumi semplici declinati su viola, violetta e frutti di bosco. All’assaggio è rotondo, smussato, con tannini presenti ma ben compensati dalla morbidezza zuccherina; in etichetta, 6% di alcol svolto. Marco ha selezionato un’azienda del territorio più nota per la spumantistica, la Cantina Scuropasso, e una vendemmia 2019 da una vigna situata nel comune di Cigognola. Con un titolo alcolometrico svolto del 5,5% si ipotizza un residuo zuccherino intorno ai 110-120 g/L. Al naso l’apertura decisamente vinosa ricorda la fermentazione, poi il piccolo frutto rosso, fragola e lampone. Seguono poi le componenti floreali giocate su un fiore scuro, viola e iris. All’assaggio la dolcezza la fa da padrone, ma senza sottovalutare una vibrante acidità che ne stimola la beva. Forzando un po’ la temperatura verso il basso e servendolo a 6-7 °C, Marco lo vedrebbe abbinato a un bollito misto con salsa verde. Aldo ha la versione di Losito e Guarini, dal comune di Redavalle. Molto profumato, con una dolcezza che si percepisce al naso e che ricorda un croissant con confettura di amarene - con il quale il collega tenterebbe un sodalizio -, chiude con un elegante tocco di tamarindo. In questo caso la bottiglia riporta in etichetta il 7% di alcol svolto. All’assaggio il vino è tutto giocato sulla piacevolezza e sulla semplicità, elementi che lo rendono irresistibile nella sua spontaneità.
Per il Buttafuoco, sia lo stesso NicolaBonera sia Katia ci raccontano un Bricco Riva Biancadi Andrea Picchioni. Katia ha un’annata 2016, mentre Nicola una magnum della 2017. L’azienda lavora con rispetto per l’ambiente, in una zona collinare con un anello di bosco intorno e nel calice il vino si presenta con un colore profondo e intenso. Al naso i suoi profumi sono semplicemente inebrianti. I colleghi raccontano di un frutto rosso maturo a cui seguono spezie dolci e, in chiusura, accenni addirittura di rosmarino, pennellate di menta e poi vaniglia e cioccolato. In bocca è caldo e avvolgente, con una presenza importante di tannino ma ben levigato, elegante e piacevole. Per la tipologia Buttafuoco Storico, grazie a Mauro facciamo invece la conoscenza di Vigna Sacca del Prete 2011 di Fiamberti, un’azienda storica nel cuore dell’areale del Buttafuoco, promotrice della nascita del Club. Splendido colore granato, al naso intenso, complesso, di grande finezza: rose rosse, ciliegie sotto spirito, vaniglia, speziatura di pepe nero e un finale etereo di smalto. L’assaggio è emozionale, caldo e opulento. Nonostante i dieci anni dalla vendemmia la freschezza è ancora presente. La fermentazione avviene in cemento, materiale oggetto di una importante riscoperta negli ultimi anni tanto da fare aggiungere a Bonera il commento: «se fossimo a Bordeaux sarebbe sicuramente un vino ultramoderno e ultracostoso».
Tanti colleghi si sono avventurati alla scoperta del Barbacarlo. Riportiamo di seguito alcune delle annate proposte durante la serata. La 2002, raccontata da Mauro e Paolo, in apertura ha note animali e di foglie umide che lasciano il posto, dopo qualche minuto, a sentori balsamici e fruttati. Notevole la freschezza, che risulta elemento predominante, mentre il tannino è presente ma non disturba. Ci troviamo di fronte a un vino che, a dire dei colleghi, in questa annata è completamente secco. Stefano racconta di una 2017 ancora decisamente caratterizzata da elementi di gioventù. Effervescenza importante ma piacevolissima, al naso frutto esuberante, tannino ben presente e ancora scalpitante. Sergio condivide con il pubblico una 2007 quasi ferma, con una carbonica molto affievolita. Bella vivacità di colore, profumi che ricordano il rabarbaro dolce, all’assaggio fresco e sapido, non completamente secco, di straordinaria persistenza. Daniela racconta il più giovane dei Barbacarlo della serata, vendemmia 2018, trovandolo già decisamente elegante. Al naso frutta croccante e fiore, e in bocca tendenza dolce, acidità e tannino già godibile nonostante la giovane età.
Per concludere, Bonera fa notare come nessuno dei partecipanti abbia trovato, nel proprio vino, un tannino eccessivo, sopra le righe o in qualche modo sgradevole. Al contrario, elemento comune è risultata essere una bella freschezza, talvolta accompagnata anche da sapidità. A parte la tipologia Sangue di Giuda, i vini protagonisti della serata sono accomunati da un contenuto alcolico importante (mai sotto il 14% in volume), e dunque il consiglio è quello di servirli a non più di 16 °C per goderne appieno la piacevolezza. Consiglio preziosissimo di cui facciamo tesoro!