Bollicine alla cieca. Divertiamoci con serietà

Bollicine alla cieca. Divertiamoci con serietà

Degustando
di Alessandra Marras
20 giugno 2023

A pochi giorni dall’inizio di un nuovo ciclo di degustazioni estive sulla terrazza del Westin Palace di Milano, la recensione dell’ultimo evento con Luisito Perazzo.

Una spensierata atmosfera di gaiezza estiva anima i tavoli, ma attenzione perché «vivacità non vuole dire superficialità», chiarisce subito Luisito. In un contesto di addetti ai lavori, l’approccio in forma di divertissement ha senso solo se trascina con sé un fine costruttivo. Ecco che allora una degustazione alla cieca intesa «non come gioco per tirare a indovinare, ma come ascolto del calice per tentare di riconoscere e comprendere un vino», diviene la via privilegiata. Al di là della tecnica di degustazione - valore insito nella platea dei partecipanti - è il bagaglio esperienziale a fare la differenza. Un punto di partenza fondamentale per tracciare un percorso logico che, per essere efficace, dovrebbe essere spogliato il più possibile dal lato affettivo e dal gusto personale del singolo individuo. 

Individuare un vino degustandolo alla cieca, al di là del talento più o meno spiccato del degustatore, prevede il mettere insieme diversi tasselli al fine di definire una traccia che conduca a un profilo credibile e coerente. Indispensabili alcuni requisiti: disposizione all’attenzione, concentrazione per raccogliere indizi, capacità di valutare differenze e similitudini, disponibilità di una adeguata memoria degustativo/culturale.

Se la degustazione alla cieca si rivela essere un ottimo strumento per arginare il pregiudizio, è pur vero che la completa oggettività e infallibilità di riconoscimento rimangono comunque impossibili; cantonate ed errori di valutazione sono all’ordine del giorno, ma forse è anche questa sorta di resistenza al prevedibile che rende così irresistibilmente attraente l’universo vino.

Il fattore umano, variabili di influenza e validi indizi

Il mancato riconoscimento attraverso l’etichetta evita la costruzione di aspettative ma, dando per scontata la poliedrica identità che di volta in volta ogni singola bottiglia è in grado di offrire, l’elemento fondamentale da ricordare è che chi degusta non è una macchina. Ecco che allora fattori fisiologici e psicologici, posizionamento del campione in batteria, temperatura di servizio, tipologia di calice, volubilità, esitazioni, motivazioni, influenze e, non ultime, soglie di percezione diversificate, finiscono inevitabilmente per incidere sulla performance degustativa. Una volta ben definite le incognite che intervengono in una degustazione alla cieca, è quindi importante focalizzarsi sugli elementi che, invece, con più efficacia, possono aiutarci nell’iter investigativo. 

Nell’ambito specifico delle “bollicine” e del percorso che accompagna la loro nascita, è cospicuo il numero di variabili da prendere in considerazione per tessere la tela del riconoscimento, a partire, per esempio, dal metodo che sottende l’origine stessa dell’effervescenza: rifermentazione in bottiglia o in autoclave, metodo ancestrale, tecnica mista, finanche la gassificazione. 

Non bisogna però dimenticare che le bollicine partono da un vino fermo già compiuto e dunque, alla variabilità del processo di spumantizzazione bisogna pertanto sommare una serie di enigmi da decifrare già insiti nella base spumante: uva, sole, clima, altimetria e escursione, suoli, andamento stagionale, lassi temporali, etc.. 

I vitigni

Il vitigno di origine è sicuramente importantissimo ma, come avremo modo di sperimentare, nella categoria dell’effervescenza finisce forse per avere un impatto meno evidente e incisivo che nei vini fermi. Quando si parla di “bollicine” è inevitabile considerare per primi chardonnay e pinot nero perché, simili ma diversi, rappresentano le due varietà più utilizzate, su scala mondiale, per la produzione di vini base spumante.

Lo chardonnay, bacca bianca nobile per definizione, esprime sempre sé stesso e la propria tipicità varietale, anche se riesce bene a riflettere le essenzialità del luogo, terreno e clima su tutte. Dotato di una sempre ottima acidità, si rivela fondamentale nella produzione di vini base spumante. Notoriamente, infatti, la maturazione, indipendentemente che avvenga in bottiglia o in autoclave, ossida il vino. Quindi, poter contare su un’acidità molto alta, diviene una discriminante essenziale per limitare gli effetti ossidativi fisiologici insiti nel processo stesso di spumantizzazione e il seguente iter di evoluzione.

Per quanto riguarda, invece, il pinot nero, è bene precisare che i cloni utilizzati per la spumantizzazione non sono gli stessi, considerati “fini”, destinati alla realizzazione dei vini rossi, ma quelli più produttivi, da media ad alta resa. In termini degustativi si può dire che il pinot nero tenda a prestare il suo contributo a livello di struttura, nerbo e stoffa.

Il viaggio alla cieca tra le bollicine non può però limitarsi ai soli fuoriclasse perché c’è tutto un mondo di altri vitigni, in continua evoluzione ed espansione, da considerare. 

Lo chenin blanc, vibrante e dall’incisiva freschezza, viene declinato principalmente nella sua duplice anima francese e sudafricana; il pinot bianco, con il suo tocco leggiadro che si rivela in raffinati sentori di frutta bianca; il pinot grigio, vitigno da gestire con cura per le peculiarità che lo rendono appetibile: struttura e potenza. Non trascurabile è, inoltre, la famiglia dei vitigni aromatici: il muscat blanc a petit grain, con la sua inconfondibile scia lievemente ammandorlata; la malvasia di Candia aromatica, il gewürztraminer, ecc.. È questo un settore affascinante dove i produttori devono necessariamente confrontarsi con la sfida, non banale, di ricercare quell’equilibrio perfetto che trasformi in piacere proprio l’incontro tra la tipica nota ammandorlata insita nell’uva/vino e l’eventuale presenza di un residuo zuccherino.

Non ultima, infine, l’inesorabile avanzata dei vitigni “semiaromatici”, uno su tutti la glera, ma anche il sauvignon blanc, negli ultimi anni in grande ascesa.

I distretti di provenienza più noti

Ai fini dell’orientamento e consequenziale riconoscimento, non si può prescindere dalla conoscenza dei distretti più consueti nella produzione di vini dotati di effervescenza e delle caratteristiche che, nei prodotti, contribuiscono a renderli individuabili grazie alla fedele corrispondenza ed espressività.

Champagne

Parlando di effervescenza, la Champagne è il distretto storicamente e globalmente più noto. Tre sono le uve principalmente utilizzate: chardonnay, pinot nero e meunier. In realtà, però, possono essere coltivati anche altri 4 vitigni definiti Cépages Oubliés (vitigni dimenticati): pinot blanc, arbanne, petit meslier e pinot gris. Questi ultimi, purtroppo, rappresentano una vera rarità considerando che la superficie vitata a loro dedicata è solo lo 0,28% e, sebbene sia permessa la sostituzione delle viti senza aumento della superficie, non sono autorizzati, invece, nuovi impianti. 

«Senza entrare nello specifico accademico minerale sì. minerale no», lo champagne nel calice tende a distinguersi per una connotazione di tesa e vibrante “mineralità”. «Qui la craie, il gesso, c’è per circa il 40% del territorio: gesso di affioramento a sud della Côte des Blancs e gesso di profondità sulla Montagne de Reims”. Altro possibile indizio di riconoscibilità è - orientativamente e con le dovute eccezioni - la presenza di un’importante vivida freschezza, con un’acidità leggermente più contenuta per gli champagne provenienti dalla Vallée de la Marne, dalla Côte des Bar e dall’Aube.

Franciacorta 

È una zona decisamente più calda, se paragonata agli antagonisti d’oltralpe. Le varietà utilizzate per la spumantizzazione sono chardonnay, il vitigno principe, pinot nero, pinot bianco e, a partire dal 2017, erbamat. I terreni di origine morenica in cui insistono i vigneti tendono a rivelarsi nei vino con un profilo gusto-olfattivo in cui il fruttato e lo speziato si mostrano con una certa evidenza. «Dipende poi, ovviamente, dalla declinazione del vino e, ancor di più, dal prestare attenzione al fatto che in alcune zone il terreno è più gessoso e regala vini dal carattere molto verticale che, in un contesto alla cieca, può perfino indurre a pensare che siano champagne», svela Luisito.

Oltrepò

Si tratta di un areale particolarmente vasto e variegato, tanto da rendere non sempre facile identificare un carattere identitario netto e ben distinguibile. Di norma, i terreni si caratterizzano per una presenza più accentuata di argilla, escursioni termiche mediamente minori (con le dovute eccezioni). Indiscutibilmente il protagonista è il pinot nero, vitigno le cui radici qui rivendicano un antico legame con la tradizione spumantistica italiana. Nel calice, struttura, nerbo e stoffa sono ben riconoscibili. Oggi, rispetto al passato, iniziano a esserci prodotti più identitari che consentono più agilmente il riconoscimento del territorio.

Cava 

Spostandoci in Spagna, è il Cava l’indiscutibile riferimento se si parla di bollicine. Tre le uve principalmente utilizzate: il macabeo, la cui spiccata acidità può suggerire una certa affinità con lo chardonnay; lo xarello, dalla sostanziosa e profonda espressività riconducibile al pinot nero; la parellada, che ricorda il meunier senza però avere quella sapidità importante che contraddistingue il corrispettivo francese. Queste le varietà più note, ma in realtà, per comporre il profilo, si può attingere fino a sette uve differenti, tra bianche e rosse.

Altri

A questa breve lista sarebbero tanti i vini da citare, prodotti fuori denominazione. Cospicuo il numero di vini spumantizzati che escono utilizzando il termine Crémant, precedentemente a uso esclusivo della Francia. Poi ancora il Sekt con le sue diverse declinazioni a seconda dalla provenienza: Austria, Germania, Svizzera tedesca, per non parlare, infine, dell’italianissima Alta Langa, DOCG dal 2011, in grande ascesa.

La maturazione e il dono del tempo

Se con l’effervescenza ci si confronta, è impossibile prescindere dall’impronta stilistica che il tempo di permanenza sui lieviti inevitabilmente dona. Qualche mese, qualche anno, molti anni di rapporto simbiotico tra vino e lieviti, divengono una delle variabili più cruciali e determinanti nella definizione del profilo identitario finale. «Dal punto di vista visivo, allungandosi il tempo di permanenza, si delinea una regolazione più fine della CO2», ovvero una danza sottile delle ipnotiche e seducenti bollicine. «Dal punto di vista aromatico gustativo, si ha la nascita di quel complesso, sfaccettato e irresistibile universo di profumi che riconducono al tepore del pane, alle tentazioni di brioche e biscotteria».

Molto interessante anche cercare di individuare il tempo intercorso dalla sboccatura, il post-sboccatura. Perché «se è vero che la regola generale dice che il momento migliore per apprezzare uno spumante è nel periodo più prossimo alla sboccatura, è pur vero che è doveroso distinguere. A seconda dello stile produttivo, infatti, la maturazione preventiva può dare risultati differenti. È una questione di scelte, c’è chi vuole che il vino si offra nella sua pienezza qualitativa per essere bevuto subito, c’è chi preferisce seguire la via di un vino dal profilo espressivo più prospettico, in cui l’attesa diviene arricchimento determinante».

La degustazione, riflessioni, approfondimenti, conferme e disattese

Durante la degustazione diverse sono state le premesse: Metodo Classico o Charmat? Prodotto in Italia o all’estero? Da vitigni autoctoni o alloctoni?

Primo vino

Naso fine: mela matura, pesca, note di leggera panificazione. Quest’ultima annotazione fa sicuramente propendere verso un Metodo Classico. Nessun indizio, invece, rimanda a un vitigno specifico. Di norma, la schiena verticale al sorso e la sensazione tattile di “circolarità, rotondità” rimandano più alla bacca bianca. La bacca rossa, per contro, ha un impatto più “scontroso, squadrato”. In questo campione ci potrebbero essere entrambi.

Sarà un millesimato o una cuvée? È bene ricordare che percentualmente, sul mercato, la presenza di spumante millesimato si aggira attorno al 10% contro un 90% della cuvée. L’idea di produrre uno spumante millesimato è, in effetti, di recente concezione. Nella Champagne si sviluppa nel 1870, anno in cui le migliori Maison iniziano a commercializzare i vini di quell’annata riportandola in etichetta. La maggior parte degli Champagne millesimati all’epoca erano composti da vini della stessa annata, ma potevano essere aggiunti anche “vin de reserve”. Ma fu solo dopo il 1952 che la regolamentazione divenne più stringente e definì che i millesimati dovevano essere al 100% della stessa annata. Lo champagne, di fatto, nasce come assemblaggio, dove i vin de reserve, utilizzabili fino al 40%, rappresentano quell’apporto unico ed essenziale utile a perpetuare, in primo luogo, lo stile della Maison, ma anche ad accrescere la complessità del prodotto finale. Si consideri inoltre che. per poter dare alla luce un millesimato, sono necessari 100 giorni di sole, eventualità che in passato costituiva un’eccezione, circostanza, al giorno d’oggi, molto più facilmente conseguibile. Da tutta questa spiegazione, il nostro campione non sembra un millesimato. Infine, la collocazione sud o nord è poco indicativa ai fini dell’individuazione dei caratteri distintivi. Una domanda più appropriata alla quale rispondere sarebbe chiedersi se il vino provenga da zona fresca o calda.

Tirando le somme e considerando che la peculiare traccia lievemente ossidativa di “mela ammaccata” ora si fa più nitida al naso, viene spontaneo ricondurla al meunier. Alla fine l’arcano è svelato, Trattasi di Champagne Brut Tradition – Claude Lemaire. Assemblaggio: meunier, pinot noir, chardonnay in parti uguali; 3 anni sui lieviti. 

Secondo vino

Naso più delicato, fine e quasi leggiadro. Bacca bianca? Pesca e agrume non ben definito. Ci si chiede se la zona sia meno fredda della precedente. È delicato, più morbido meno persistente del precedente. Farebbe propendere per uno charmat lungo o un Metodo Classico dignitoso. La struttura è moderata e il residuo zuccherino è poco anche se la percezione è più “dolce”. Potrebbe essere un Franciacorta “basico” o uno spumante proveniente dal Collio. Però della ribolla manca l’acidità, mentre se fosse un friulano (l’ex-tocai, per intenderci) gli mancherebbe la lieve astringenza e i toni di mandorla, nocciola. Se invece fosse uno spumante da falanghina gli mancherebbe la speziatura. E poi, la bolla è realmente più grossa o semplicemente è meno tirata?  

Alla fine, abbiamo sbagliato la zona, ma individuato il vitigno. È un Crémant d'Alsace Brut 2016 - Frédéric Arbogast et Fils. 100% chardonnay, 36 mesi sui lieviti, 5 atmosfere di pressione (inferiore rispetto alle canoniche 6), sboccatura maggio 2020 

Terzo vino

Colore meno marcato. Intensità olfattiva medio-bassa. Dolcezza al naso di mela, pera, pesca gialla, brioche. Ha delle analogie con il secondo, ma differisce per la presenza di sentori di lievito. Non c’è la verticalità né della Champagne né del Trentino mentre se fosse un vino d’Alta Langa avrebbe più struttura. Morbido in bocca, con una traccia lievemente ammandorlata che rimanda, con tutta probabilità, al vitigno. Non è sicuramente un vitigno aromatico perché si sentirebbe al naso, ma forse un semi-aromatico. Questo vino offre lo spunto per rammentare la necessità di ascoltare il singolo vino all’interno del proprio campo di espressività, evitando confronti non pertinenti con i campioni che lo hanno preceduto. Utile invece ricordare la copiosa schiumosità alla mescita che contestualizza e, con gli altri indizi, conduce all’identificazione di un prosecco, che alla fine abbiamo azzeccato. 

Si tratta di un Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore Extra-Brut Col Credas Rive di Farra di Soligo 2021 - Adriano Adami. 100% glera, 40 giorni di autoclave. 

Quarto vino

Bella tonalità rosata. Intensi i profumi. Una leggera ossidazione potrebbe suggerire una sboccatura meno recente. Lampone, fragoline, melagrana, ribes, ciclamino e un tocco speziato. La maturità del frutto porta a propendere per una zona calda. La bocca è cremosa, di media struttura, dotata di leggera astringenza. I descrittori fruttato, floreale, sapido offrono una verticalità non da gesso. La persistenza è moderata, ma presente. Se pensiamo all’Italia, possiamo orientarci verso la Franciacorta, l’Oltrepò, l’Alta Langa. 

Si svela essere un Oltrepò Pavese Metodo Classico Cruasé Extra Brut – Bruno Verdi. 

Quinto vino

Giallo dorato. Probabile l’utilizzo del legno per il vino base. Si avverte un’ossidazione forse riconducibile a un periodo post-sboccatura prolungato. Sottili le bollicine. Il naso, di indubbia complessità, è coerente al colore: fruttato maturo, tabacco dolce; poi l’agrume e una lieve affumicatura. Il sorso ha un attacco gentile, ma di struttura, pieno. Sembra tornare indietro nel tempo rispetto al naso. Forse la sboccatura è più recente. 36/48 mesi sui lieviti? Bacca bianca? La zona è difficile da capire per via della vinificazione. Possiamo pensare al Nuovo Mondo per la nota affumicata, il naso maturo e la bocca più verde. Oppure, sarà un Millesimato considerando il profilo così caratterizzato da rimandare all’andamento tipico di una specifica annata?

Scopriamo essere un Trento DOC Altinum Brut 2017 – Aldeno. 90% chardonnay, 10% pinot nero. 30 mesi sui lieviti. Sboccatura maggio 2021.

Sesto vino

Spiccata la tonalità di giallo. Il naso è intenso, agrume candito e speziatura. I profumi sono evoluti, avvolti da un soffio che oscilla tra l’incenso e la gomma bruciata. I toni scuri di roccia e affumicatura fanno pensare a una bacca rossa; la bocca conferma. Il profilo gusto-olfattivo è ossidativo, saporito, croccante, minerale e di ottima struttura. Persistente. Ci arrendiamo anche perché scopriamo subito che il vitigno è il monastrell, vitigno a bacca rossa, non proprio comune, per noi. La zona di produzione è l’Empordà, una regione catalana in cui il terreno è arido e roccioso. Le viti allignano sul granito e sul saulò (sabbia che deriva dalla disgregazione dei graniti). Il granito contribuisce a dare struttura, complessità, forza; la tessitura sabbiosa a fornire profumo e leggerezza. Il canotto è proprio tipico dei vini spumante a base monastrell. 

Abbiamo degustato l’Empordà DO Anna Espelt Cap de Creus 2015 - Espelt Viticultors. Monastrell 100%. Sboccatura 2020. 4 anni sui lieviti.

Settimo vino

Tenue il colore sulle tonalità del giallo. Il frutto è fragrante, maturo: melone, pera. Profilo semplice che trova corrispondenza anche al sorso.

Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut Nodi 2018 – Nino Franco.

Ottavo vino

Giallo intenso, quasi dorato. Quando è così «buttatevi sul terroir o sull’evoluzione», incita Luisito. Fine il perlage, intenso il bouquet. Nota di mela ossidata, forse ancora meunier? Foglie secche, agrume candito, pasticceria. Grande sapidità che fa pensare a una zona di terroir. Forse Champagne, Alta Langa o vitigno a bacca nera. Il meunier torna utile anche per questa ossidazione «ai confini dell’equilibrio». Alcuni vini sono “netti”, e questo lo è. 

Champagne Extra Brut – Moussé-Galoteau & Fils. Chardonnay 33%, meunier 67%. 3 anni sui lieviti. La zona è Binson Orquigny, nel cuore della riva destra della Valle della Marna dove i suoli sono più argillosi.

Nono vino

Classico colore giallo paglierino. Buon impatto di naso. Pompelmo, cedro, agrume in generale. Mela renetta, incenso, profumo piacevole di buona complessità. Si percepisce un principio di ossidazione: maturazione, sboccatura o vitigni diversi? Note di menta, iodio. Ci si chiede se è champagne? Può essere qualsiasi cosa in realtà, ma ricordiamo la nota affumicata. All’assaggio notiamo subito che è il primo vino con una struttura importante, non ha l’amaricante del sesto vino. Circolare, con una buona persistenza, di terroir. Difficile da collocare. Bacca rossa per la nota astringente? Il colore porta a escludere lo champagne. Vino più impegnativo nella gestione della bocca, che richiede tempo e attenzione. Siamo in una zona calda, non italiana e neppure francese. Siamo in Europa, con questo spumante spagnolo sapido, croccante, saporito. 

Corpinnat - RNG Brut 2014 – Cavas Nadal (Ramon Nadal Girò). Xarello 53%, parellada 47%. Sboccatura agosto 2021 (6 anni e mezzo sui lieviti). Vigne di 65 anni.

La DO Cava è una delle otto denominazioni appartenenti alla zona enologica della Catalogna; tale denominazione è riservata ai vini spumanti. Pur comprendendo 10 province, il 95% della produzione si concentra nella provincia di Barcellona, nel Penedès. Corpinnat è un Marchio Collettivo dell'Unione Europea creato con l'obiettivo di distinguere i grandi vini spumante prodotti nel cuore della regione del Penedès, da uve 100% biologiche raccolte a mano e vinificate interamente in azienda. 10 sono i produttori che aderiscono dal 2015 (erano 6 nel 2015, 9 nel 2018, 10 nel 2019). 

La parola Corpinnat è composta da due concetti: COR, il cuore, dove più di 130 anni fa si iniziarono a produrre i primi spumanti dello Stato spagnolo e PINNAT, che deriva dalla radice etimologica Pinnae, che si riferisce all'origine del toponimo Penedès. L'aggettivo latino deriva da pinna, che significa rupe o roccia e che, applicato al Penedès, significa territorio roccioso.

Nel nostro calice, il 53% di xarello dona struttura, complessità, intensità e le note affumicate. La parellada si esprime nell’amalgama del frutto e nel tocco in leggerezza.

Decimo vino

Giallo dorato. Intenso, complesso, fine, senza esitazione alcuna! Confetto, zucchero filato, croccante, caramello, biscotto. Naso stupendo, particolarmente articolato. Floreale, fresco, con sbuffi di borotalco. Seguono fichi secchi, datteri, la nocciola. Eleganza da bacca bianca? Dove lo collochiamo? Il naso è inebriante, seducente, maturo. La bocca incisiva, gastronomica, morbida, avvolgente, sapida, croccante, fresca. Acidità verticale da zona fredda. Probabilmente si conferma la bacca bianca per la forma circolare che assume al sorso. Almeno 60 mesi sui lieviti. 

È un Trento DOC Perlé Bianco Riserva 2010 – Ferrari.  Chardonnay 100%. 8 anni sui lieviti. Sboccatura 2019.

Undicesimo vino

Colore “fosforescente”, rosato su toni dell’arancione, luminoso. Intenso al naso. Agrume, biscotto, brioche, ribes, fragolina, arancia sanguinella, melagrana. Un tocco di pepe e zenzero candito. Naso articolato, balsamico. Il sorso si concede con maggiore espressività (poi lo farà anche il naso). Sparisce la nota ossidativa percepita al primo naso. Con tale profilo bisogna pensare al terroir. Non ha la verticalità delle zone fredde, quindi sarà di una zona più calda. Se la giocano Franciacorta e Oltrepò. La bocca conserva la freschezza dell’arancia sanguinella. Vino di freschezza ma non particolarmente minerale. Escludiamo la Champagne. 

Siamo in Franciacorta, a Coccaglio, ai piedi del Monte Orfano. Sebbene in Franciacorta i terreni siano tendenzialmente di origine morenica, l’area del Monte Orfano si differenzia per la presenza più evidente di una componente gessosa e calcarea. Questo vino proviene da un unico vigneto di poco più di un ettaro posto a un’altitudine che va dai 280-290 ai 400 m s.l.m.. La grande escursione termica contribuisce alla finezza del profilo e a conferire una maggiore progressione aromatica nelle uve.

Franciacorta Rosé Extra Brut Cuvée Lucrezia 2007 – Castello Bonomi. Sboccatura gennaio 2018. 110 mesi sui lieviti più altri 24 in bottiglia.

Dodicesimo vino

Rosato luminoso. Piccoli frutti rossi, floreale di rosa e viola, cenni di spezie. Complessità media. Naso che fa pensare al caldo. Affumicato, tostato, mielato. Corpo, struttura, con un buon binomio acido/sapido. Bocca meno dolce del naso: si percepiscono più acidità e tannino. Non così lungo e performante come il precedente. Forse Oltrepò. 

E infatti abbiamo: Oltrepò Pavese Pas Dosé Riserva della Famiglia 2013 – Calatroni. Pinot nero 100%. Sboccatura settembre 2020. 6 anni sui lieviti.

Tredicesimo vino

Rosé, dal colore carico. Naso da zona calda. Piccoli frutti rossi, da pinot nero classico. Il sorso è acido/tannico, con evidente effetto asciugante, non privo di una scia sapida. L’acidità rimane un po’ disarticolata.

Spumante Extra Brut Rosé Nostra Signora della Neve extra brut – Vajra. 50% nebbiolo, 50% pinot nero. 54 mesi sui lieviti. Sboccatura agosto 2019.

Quattordicesimo vino

Rosato dalla tonalità salmone, quasi corallo. Buona intensità, con naso da “bancarella di dolciumi”, fiammifero. Fruttato classico, maturo. La bocca è dolce. Prosecco rosé? Metodo Classico? Nota ammandorlata nel finale. Lascia un po’ indietro equilibrio e piacevolezza.

Franciacorta Rosé Demi Sec - La Montina. Un blend di pinot nero e chardonnay con prevalenza del primo. 34 g di zucchero residuo. 25-26 mesi a contatto con i lieviti. Sboccatura 2019.