Dal Forno Romano. L’anteprima del millesimo 2018 e la second release 2010

Dal Forno Romano. L’anteprima del millesimo 2018 e la second release 2010

Degustando
di Florence Reydellet
17 ottobre 2024

A febbraio 2025 usciranno le ultime annate del Valpolicella Superiore e dell’Amarone. Un’occasione speciale per incontrare Romano Dal Forno, figura di riferimento della Valpolicella.

«Cedo il passo a mio figlio Marco, perché bisogna saper uscire dal campo. Non voglio correre il rischio di parlare al passato». Orgoglio e umiltà coabitano nelle parole di Romano Dal Forno nel giorno in cui ha deciso di presentare, occasione non così consueta, a Milano gli ultimi vini rilasciati sul mercato: Valpolicella Superiore e Amarone “Monte Lodoletta”, millesimo 2018. Insieme a loro anche l’Amarone 2010, in seconda uscita (cosiddetta second release) a sei anni dal suo esordio. Una conversazione diretta e senza troppe formalità, nella cornice del ristorante Autem, con una figura di culto per gli appassionati e per la critica: un contadino - così ama definirsi - che ha cambiato il volto della vitivinicoltura della Valpolicella, conferendole un respiro internazionale.

L’itinerario del "contadino" di Cellore d’Illasi

Classe 1957, Romano Dal Forno non era figlio d’arte nel mondo del vino. Eppure, appena ventenne e fresco di matrimonio con Loretta, già guardava ben oltre la punta del suo naso. «I miei avevano ereditato un terreno di sette ettari in Val d’Illasi, un’area della provincia di Verona che non fa parte della nota zona Classica dell’Amarone. All’epoca era gestito da mezzadri. Li ho convinti a recuperarlo, investii tutto in un vigneto e lo coltivai per benino». Con “per benino”, s’intende quanto di meglio ci si possa aspettare in viticoltura per produrre uve di qualità: altissime densità d’impianto, bassissime rese e diradamenti a profusione, in emulazione dello stile borgognone. «Purtroppo, la cantina sociale cui conferivamo le uve non pagava il giusto prezzo e ciò provocava scompenso all’economia familiare». 

Ci volle l’aiuto di un concorso di circostanze fortuite per dare il via a una fase più fiorente. Tra queste, l'incontro con Giuseppe Quintarelli fu una delle più significative. «Ho conosciuto il Bepi a inizio anni Ottanta. Nacque subito una grandissima amicizia; anzi, credo abbia visto in me il figlio che la natura non gli aveva dato. E così, mi insegnò molto. È grazie a lui che capii che il vino dovevamo produrlo noi». Difficile però, se non esiziale, mettersi a fare vino in una Valpolicella vinicola ancora tutta da fare: la zona Classica arrancava, figuriamoci la cosiddetta “zona allargata”. A dirlo oggi, non ci si crede. Sin dalla prima etichetta del 1987 - vendemmia 1983 - un bel po’ di coraggio e ingenti investimenti hanno accompagnato la continua crescita dell’impresa. «Dovevamo per forza fare un grandissimo vino, proprio come quello del Bepi. E così abbiamo fatto, sebbene con vedute differenti: lui era un tradizionalista, mentre noi miravamo ad allargare i confini».

Si conforma a questa filosofia la decisione di costruire una cantina su un modello produttivo aperto alle tecnologie d’avanguardia. L’appassimento delle uve - che è metodo centrale dell’intera produzione - è oltremodo razionalizzato. Ventilatori controllati da computer corrono su binari per garantire un ricambio d’aria ottimale: se l’umidità scende eccessivamente, i ventilatori si spengono; qualora invece dovesse aumentare, intensificano il flusso. Ma non è finita qui. «Ho una paura tremenda all’idea di sentire parlare di botrytis sull’uva rossa. Perciò, parte dei nostri investimenti è anche andata in deumidificatori». Non certamente secondaria è l’enologia. «Per molto tempo, non pensavo all’importanza dell’ossigeno. Fortunatamente nel 2002, mi si è accesa una lampadina e ora lavoriamo tutto sottovuoto per prevenire l’ossidazione». L’intero processo è controllato, dalle vasche in acciaio ad alto spessore concepite per lavorare senz’aria, al rabbocco delle barrique di rovere nelle quali si immettono gas inerti (di norma l’azoto). «Tutto il nostro lavoro è volto a mantenere integro il frutto e allungare la vita del vino». 

I vini

Gli autoctoni corvina, rondinella e molinara sono i principali protagonisti delle tre uniche etichette: Valpolicella Superiore e Amarone della Valpolicella, entrambi proveniente dal vigneto “Monte Lodoletta”; e il rosso passito, che è stato prodotto solo in annate eccezionali: 1988, 1990, 1994, 1997 (uscito sotto il cappello dell’allora DOC Recioto della Valpolicella), 2003 e 2004 (sul mercato come Veneto IGP rosso passito “Vigna Seré”). Dal Forno, com’è dunque intuibile, non si sbizzarrisce in varie fantasie, ma possiede anzi un contenimento e una coerenza imprenditoriale a dir poco rara. Il tempo ha poi dato fama e onori alla sua lungimiranza e basti pensare che, oggi, i suoi sono fra i pochi vini italiani battuti da Christie’s e Sotheby’s. Una storia di successo, quindi, che ora continua con Marco Dal Forno, saldamente al timone dell’azienda dalla vendemmia 2020. «Lo abbiamo allevato a pane, lavoro e studio, ed è diventato un giovane di buona qualità. Adesso è in grado di portare avanti un nome che ha acceso i riflettori sul territorio». E di concludere con un sorriso: «anche se non si seppellisce il papà finché c’è».

La degustazione

Assenza di maquillage enologico, freschezza, energia di frutto, architettura solida eppur sinuosa, promesse di longevità: è quanto emerso dalla degustazione che ha compreso, oltre ai 2018 e 2010 sopracitati, il “Vigna Seré” 2004. Tutti i vini erano accomunati da un rosso rubino impenetrabile, ricco di materia colorante.

Nota a margine: tralasciando alcune minori variazioni nelle percentuali delle varietà impiegate, Valpolicella Superiore e Amarone “Monte Lodoletta” hanno rigorosamente il medesimo metodo di produzione. Cambiano solamente l’età delle vigne (oltre i dieci anni sono adibite all’Amarone) e il periodo di appassimento delle uve (un mese e mezzo per il Valpolicella contro tre per l’Amarone).

Valpolicella Superiore DOC “Monte Lodoletta” 2018

Aromaticità olfattiva garbata, ben circostanziata. Evidenzia dei fiori appassiti e la confettura di mora; delle erbe alpestri e note speziate, in particolare di ginepro. La gustativa ha slancio vitale ed è tenacemente tattile: una tensione acida persino intimidatoria e tannini fittissimi ne sono i tratti distintivi. Il volume alcolico concorre a evidenziare toni leggermente liquorosi nel finale, ma ciò non gli è di particolare ostacolo (né potrebbe essere di impedimento alla nostra ammirazione). In fieri.

Amarone della Valpolicella DOCG “Monte Lodoletta” 2018

Naso aperto e già definito. Sa di un frutto dolce e maturo (o “polputo” che dir si voglia) - che spazia dalla ciliegia alla prugna -, terra bagnata, spezie dolci, bonbon alla violetta, e un’idea minerale di calce. Con l’ossigenazione il timbro del rovere tende a venire a galla. Un disegno gustativo agile scorta la materia: attacco preciso, bella incisività salina in centro bocca e congedo su un’apertura aromatica balsamica e misurato calore. La vigorosa legatura tannica - molto fine nella grana - che accompagna lo sviluppo incrudisce ancora un po’ il quadro d’insieme. In fase di assestamento, come d’altronde ci si aspetta, ma già in questa parabola di vita mostra un vino di caratura superiore.

Amarone della Valpolicella DOCG “Monte Lodoletta” 2010 - released 2024 (900 bottiglie)

Un Amarone fenomenale, nobilmente austero. È ricco nell’estrazione senza essere stucchevole, alcolico senza calore smisurato, lungo senza smarrire facilità di beva. Informazioni complementari: l’olfatto propone oggi un minerale di grafite e un frutto sempre integro ma più croccante dei precedenti. Con l’aria, ecco poi arancia sanguinella, humus e liquirizia. Il gusto, dal canto suo, è dinamico nella frazione fresca e persino cremoso in quella tannica. Lo chiude un’uscita ferrosa scalfita dal sale, in crescendo di potenza.

Veneto IGP Passito Rosso “Vigna Seré” 2004

Dopo un’iniziale reticenza, ha buone carte da giocare al tavolo dei profumi: in evidenza note di frutti in marmellata e noce moscata, poi delicate sfumature floreali che si alternano a toni scuri di caffè e carrube. Gentilezza di tocco al palato, dolce ma non zuccherino, di prudente espansività, ma tutto sommato con un buon equilibrio delle parti. In uscita il vino richiama echi di ciliegia sciroppata.