Difetti del vino: quando andare a naso non è soltanto questione d’intuito

Degustando
di Moira Baitelli
03 marzo 2010

Domenica 28 febbraio un folto gruppo di sommelier si è riunito a Padenghe sul Garda per un nuovo incontro formativo nato dalla consolidata collaborazione tra AIS Lombardia e Vinidea...

Motivo dell’incontro un seminario dal titolo:“Riconoscimento sensoriale dei difetti del vino”: un approfondimento, quindi, complementare a quello dedicato a “Gli aromi del vino” sempre proposto da Vinidea.

Ospiti nella splendida cornice della Locanda Santa Giulia, siamo stati guidati per l’intera giornata da Giuliano Boni di Vinidea attraverso un percorso educativo al “non buono”.Già perché noi appassionati del “buon bere” siamo solitamente spinti alla ricerca nel bicchiere di profumi ruffiani e inebrianti che possano ammaliare il naso e invitare all’assaggio del vino, ingordi quindi di nuove esperienze gustative che ci possano sorprendere ed entusiasmare. Questa volta invece, attraverso l’uso di vini contaminati artificialmente dalle principali molecole responsabili dei difetti riscontrabili nei vini, abbiamo cercato di capire quello che normalmente non dovrebbe esserci nel bicchiere, o che spereremmo di non riscontrare mai.

Il corso ci ha permesso di imparare ad individuare la presenza di diverse tipologie di difetti del vino e a riconoscerne la natura. La conoscenza è iniziata dalla presa di contatto della componente aromatica attraverso l’olfazione diretta. In particolare ci siamo occupati dei difetti caratteristici delle uve immature (note erbacee) o attaccate da malattie microbiche (note terrose e di fungo, fenolati). Abbiamo trattato i difetti derivati da attività pre-fermentativa e dalla fermentazione alcolica determinati da contaminazioni di natura microbica (spunto, acescenza, ossidazione, svanito). Infine i difetti derivanti dalla fermentazione malolattica (composti solforati), dalla conservazione in cantina (composti benzilici dovuti ad alterazioni di componenti resinosi delle vasche di conservazione, ossido-riduzione, odori “Brett”, gusto di topo) e dall’affinamento in bottiglia (tappo, invecchiamento prematuro e atipico dei vini bianchi, aroma di geranio).







Di ogni difetto è stato preso in esame l’effetto sensoriale, la natura, l’origine, le modalità di comparsa, le possibilità di prevenzione e/o di cura. A fine giornata, dopo ore di “sniffo”di vini contaminati, un gioco divertente per capire le soglie di riconoscimento individuali dei difetti. Le stesse molecole sentite durante il giorno ci sono state riproposte a tre diverse concentrazioni (bassa, media, alta). È stata quasi una gara a chi riconosceva più odori, un confronto serrato per rivivere il percorso intrapreso nelle ore precedenti e per fissare nella mente quelle note che vorremmo non trovare mai nei vini che degustiamo.

Seppur ormai rari nei vini dei nostri giorni, i difetti rappresentano la natura imperfetta e l’umano errare che possono esistere. Rappresenta la bellezza del vino il non trovarli. Perché un sommelier deve educarsi anche al meno buono per individuarlo e apprezzare ancora di più il ben fatto, l’eccezionale. Insomma quasi una tappa obbligata per il percorso formativo di un professionista o appassionato di somellerie.

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