I rifermentati e ancestrali della Lombardia
Degustando
di Sara Missaglia
02 gennaio 2023
Più che una degustazione un’indagine, per svelare la straordinaria piacevolezza di vini che appartengono anche alla storia contadina della Lombardia. Insieme a Gianpaolo Giacobbo e Massimo Zanichelli, una masterclass di grande approfondimento dal titolo “Inconfondibile lombardo”.
«Qualcosa di nuovo, mai provato prima». «Tante belle sorprese». «Non me li aspettavo così: decisamente insoliti». Nelle sale del Westin Palace Hotel questi erano i commenti a caldo al termine della masterclass dal titolo Inconfondibile lombardo. I partecipanti, che via via si confondevano con il banco di degustazione che stava ormai per chiudere i battenti, davano l'impressione di aver vissuto un'esperienza a tratti sorprendente. Vini fuori rotta, che viaggiano su percorsi diversi rispetto alla strada maestra. Vini alternativi, per statuto e per natura, come commenta Massimo Zanichelli nelle battute iniziali: «ogni vino, come ogni persona, ha una sua storia contadina. Dietro ciascuno di noi c'è un passato agricolo, che abbiamo via via dimenticato, lasciando qualcosa per strada. Il vino, secondo tradizione, veniva imbottigliato ad aprile ancora ricco di lieviti: la prima fermentazione proseguiva in bottiglia, ed è in questo modo che è nato il rifermentato». «Quasi un errore, poi diventato un vino che ha cambiato radicalmente uno stile produttivo», sottolinea Gianpaolo Giacobbo.
I due massimi esperti di ancestrali e rifermentati in bottiglia guidano una degustazione al di fuori dei canoni consueti con vini nati da una vinificazione non molto accorta, ma che oggi hanno una bella storia da raccontare. Vini frizzanti, rifermentati in bottiglia, con il fondo, integrali, ancestrali, sur lie: espressioni diverse per identificarli, sinonimie in mancanza di un protocollo di produzione che non li disciplina e non li regolamenta. Non stiamo parlando di spumanti ottenuti attraverso Metodo Classico nei quali i sedimenti vengono espulsi. «La cosa strana è che questi vini fanno proprio tutto ciò che lo spumante Metodo Classico non fa: qui i lieviti sono trattenuti». Inoltre, l'anidride carbonica che si ottiene è anche un modo di conservazione, un sistema sostenibile ante litteram che, oggi, consente di raccontare un differente sviluppo aromatico e olfattivo rispetto al passato.
Vini secchi, dal gusto nudo, dove è impossibile fare maquillages in corso d'opera: vini che abbattono la distanza che esiste tra il terroir e la bottiglia. Testimoniano una prossimità al territorio d'origine e un impiego di uve sane, mature, che arrivano in cantina in condizioni perfette. «Si tratta di prodotti genuini, spontanei, naturali nel senso che danno i dizionari, ovvero neutri, spontanei» precisa Massimo. La bollicina non è mai protagonista, non eccede, è più gregaria: è piacevole, godibile, ma alla fine è il vino a essere protagonista. La semplicità, infine, non va confusa con la facilità: in realtà sono produzioni “finto-semplici”, come ama definirli Massimo. «Hanno una complessità sintattica importante e non sono affatto vini facili. È interessante notare come alcuni vitigni come la glera, il trebbiano, l’ortrugo, vinificati in modo canonico, non riescano a essere espressivi come quando, invece, vengono fatti rifermentare in bottiglia», commenta Gianpaolo.
Sei vini degustati alla cieca, dove l'unica raccomandazione è di non lasciarsi spaventare dalle velature del calice pensando a qualcosa di difettato: per i rifermentati in bottiglia l'opalescenza è distinzione, un tratto caratteriale molto netto che li rende inconfondibili.
Vini in degustazione
Misunderstanding Bianco 2021 – Padroggi La Piotta
La cantina si trova a Montalto Pavese e ha fatto del riesling italico, più presente in Oltrepò rispetto a quello renano, un inno alla gioia: una morfologia per certi versi più neutra, con un’aromaticità più contenuta e una parte olfattiva sommersa nella fase iniziale, ma che in bocca rivela il marchio di fabbrica, ovvero quello legato alla freschezza. Un quadro in apertura tipico del bianco rifermentato in bottiglia, che non vuole gridare la sua presenza ma vola sottotono in modo nobile. Al palato ha una presenza fisica più ampia, un’esecuzione libera ma anche puntuale e definita.
Le Regone 2021 – Caleffi
Il vitigno è la malvasia di Candia aromatica, tra le malvasie italiche più raffinate ed eclettiche: ci troviamo in provincia di Cremona, a Spineda. Da terreni fertili e argillosi nasce un vino che da sempre è rifermentato come vuole la tradizione, con una metodologia che nel calice ha voluto sempre più profumi: timo limonato, lemongrass, florealità, ananas, erbe officinali e frutta esotica per un naso aggraziato che al palato, tuttavia, “graffia” e si spoglia di quella docilità iniziale mostrando un carattere indomito.
Mask 2021 – VNA Wine
Non ci avremmo scommesso un centesimo e probabilmente nessuno lo avrebbe mai centrato: cortese in purezza. Non è certamente un’uva aromatica, eppure questo calice non ha nulla da invidiare a quello precedente. I profumi sono intensi, dal mughetto alle erbe aromatiche al pompelmo rosa: accesi, espansivi, con una carbonica mai doma e di rara setosità. Goloso nella polpa, con la succosità di una fragranza bianca e luminosa che si fonde tra sensazioni ricche di note molto appaganti. Il sorso è patrimonio della terra, caratterizzato da una complessità di suoli.
Caotico 2018 – Barbara Avellino
Con il primo rosso le sorprese proseguono, alla ricerca di quei timbri che ci colpiscono per originalità e qualità: li troviamo anche negli interstizi, tra le pieghe olfattive di calici dai colori vivaci, impenetrabili, energetici. Questo vino si rivela un intreccio di sensazioni gustative che sembrano quasi abbracciare più momenti temporali: una fase iniziale al gusto di tabacco biondo; poi la china, resa ancor più vibrante dal tannino vigoroso e sottile. Al palato la succosità è morbida, in presenza di un tannino che vuole essere protagonista. Un vino da ossimori in quanto fonde elementi contrari. Il vino di Barbara Avellino è l’ancestrale autentico, ovvero quel vino che prevede l’imbottigliamento durante la fase di prima fermentazione, terminandola in bottiglia durante la fase dei suoi fermenti. Siamo a Rovescala, confine orientale dell’Oltrepò con qualche contaminazione con il piacentino, e si tratta di un blend con barbera e croatina. La barbera esprime una leggera surmaturazione che mitiga la durezza e l’acidità del vitigno, aprendosi ai profumi. La croatina deve, invece, essere correttamente matura: «la croatina è un vitigno che è stato molto maltrattato e snaturato, al punto da perdere le sue caratteristiche polifenoliche e cromatiche”, commenta Barbara Avellino durante la presentazione del vino. «I vini giovani da croatina in purezza hanno bisogno di tempo per esprimere la totalità della loro complessità aromatica: per questo la croatina si abbina alla barbera». Le uve vengono raccolte insieme e iniziano la fermentazione alcolica in vasca, con macerazione sulle bucce: il vino va in bottiglia durante la fermentazione alcolica. «È il vino che comanda: se perdo il momento giusto, è finita. Effettuo follature manuali che mi danno modo di osservare il vino da vicino: quando arriva a 15 grammi di zuccheri residui, lo svino. La svinatura è un processo traumatico, e l’ambiente “cantina” deve mantenere le sue caratteristiche idonee per evitare che non vada in arresto», precisa Barbara.
Da Cima a Fondo 2020 – Andrea Picchioni
Rifermentare un rosso come la croatina non è semplice. Ci riesce Andrea Picchioni, poche parole ma tantissima sostanza. Parla del suo vino con la facilità di chi sa il fatto suo, e come il suo vino stupisce non a parole ma nei fatti. Il calice ha una rara tensione gustativa, e lascia senza parole per l’equilibrio che lo caratterizza e per il fatto di avere una pulizia e un’eleganza endogene. Il rischio della rifermentazione in un vino rosso è sempre dietro l’angolo, con l’infelice possibilità di sviluppare sentori di ridotto. Il vino di Andrea smentisce e scongiura questa eventualità proseguendo dritto per la sua strada. Non ha timore di nulla. Nel calice il 70% è rappresentato da croatina, e la parte restante da uva rara, forse non adatta a lunghi invecchiamenti, ma in grado di trasferire profumi ai vini giovani. I terreni sono molto sciolti, sabbiosi, con elevata pendenza. Ancora una volta l’ingresso è fresco, dissetante, piacevolmente sapido, invogliante.
Ultrapadum 2019 – Bisi
Claudio Bisi di San Damiano al Colle racconta il suo blend da croatina e barbera: «da noi in Oltrepò il vino si beve così». In presenza di una carbonica sommessa, a tratti inavvertibile, «sottocutanea» come la defisce Massimo, il vino si fa in pochi attimi eleganza e potenza al tempo stesso. Così commenta Gianpaolo: «il vino appare antracitico, chiuso in se stesso, con una fase iniziale in cui il naso sembra ancora un po’ lontano, lavorando quasi più per sottrazione. Tutto questo fino a quando non lo si assaggia». Il palato ha quindi una bellissima freschezza gustativa, con un’acidità divorante, sensazioni golose e succose, con una chiusura asciutta, netta, tra frutti e spezie.
Una degustazione unica e, per certi versi, irriproducibile: buona la prima, verrebbe da dire. Vini scoperti non solo nella rivelazione di nomi e cantine, ma in grado di esprimere tutto quello che, in modo piacevolmente genuino, si può chiedere a un vino: gioia, piacere nella beva, attrattività, desiderio di un nuovo calice. Vini che avvicinano e includono rimanendo rigorosamente se stessi.