I vini di Panzano in Chianti

I vini di Panzano in Chianti

Degustando
di Luigi Bortolotti
06 marzo 2008

Luigi Bortolotti e Marco Dell’Eugenio ci guidano alla scoperta di un terroir d'eccezione in quel del Chianti Classico...

Le tradizioni e la storia
“Con il tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia”.
Si tratta di un antico proverbio toscano che ci riporta indietro nel tempo, verso una Toscana contadina ed autarchica; una Toscana nelle cui case di campagna si conservavano i prodotti della terra affinché potessero essere consumati nel tempo. Nelle soffitte si metteva ad appassire l’uva; l’uva con la buccia sottile e grinzosa per quella sacra bevanda che era il Vin Santo; l’uva un po’ più soda era da mangiare, poi, nelle feste (si diceva che, mangiata a capodanno, portasse soldi). C’erano anche le mele; mele autarchiche pure quelle, piccole e brutte, ma tanto zuccherine e succose. E, insieme alle erbe aromatiche ed alla camomilla, c’era la frutta secca, noci in particolare, con i fichi, il miele e le confetture di melacotogna.
E c’erano le sorbe; un frutto immangiabile appena raccolto, aspro e allappante, ma che col tempo e con la paglia acquistava un sapore più accettabile e costituiva una provvista di vitamina C sempre a disposizione. Il proverbio ci fornisce uno spaccato di quella società: tempo e pazienza erano gli ingredienti di quel modo di vivere. Il tempo e la pazienza che consentivano anche alle sorbe di maturare e rendere gradevole il loro sapore A Panzano si conserva ancora la memoria del Sorbo: esiste una località chiamata “Poggio del Sorbo”; ed esiste una vigna detta, appunto, “Vigna del Sorbo”. Retaggi antichi, di quando gli alberi da frutto si mescolavano alle vigne in quel tipo di economia integrata tesa a far interagire le risorse a disposizione.
Panzano, oggi, non è il baluardo di una società arcaica; alcune aziende però si sono impegnate nel recupero dei valori tradizionali che, attualizzati, si traducono in valore aggiunto per un prodotto di altissima qualità: il vino. L’azienda agricola Fontodi per esempio si presenta come un microcosmo integrato di varie attività: dalla coltivazione della vite, all’allevamento di bovini di razza Chianina, alla coltivazione dell’ulivo. Il tutto in un ciclo integrato rispettoso delle regole e dei tempi dettati dalla natura (con il tempo e con la paglia …).
E’ il salto di qualità. Anzi: è un nuovo concetto di qualità non più fine a se stessa, ma portatrice di valori e tradizioni. E’ la qualità che valorizza l’uomo, il suo lavoro e la sua memoria. Memoria tramandata anche dai nomi dei vini simbolo: per esempio Vigna del Sorbo, che ci ha indotto a questa riflessione, e Flaccianello della Pieve, che si rifà all’antichissimo nome di Flacciano (dall’ancora più antico Pagus Flaccianus) con il quale era conosciuto un tempo il borgo. La Pieve in questione è la millenaria Pieve di San Leolino a Flacciano che, da un’altura, domina i vigneti.
Si tratta di una Pieve la cui presenza è documentata fin dal 982, ma le cui origini sembrano essere più antiche, come lascerebbero intendere due lastre di pietra arenaria con ornamenti dell’ VIII-IX secolo poste davanti all’altar maggiore.

Il territorio
Panzano è un piccolo paese nel comune di Greve in Chianti posto lungo la via Chiantigiana che attraversa il cuore del Chianti Classico da nord a sud. Si trova sul crinale della catena collinare che divide la valle del Torrente Pesa, ad est, da quella del fiume Greve ad ovest. La gran parte dei vigneti è posta ad una altezza compresa tra i 350 e 450 metri, collocazione ideale per il Sangiovese. Il suolo poi è composto principalmente da galestro ed una certa quantità di argilla. Anche questa è condizione ideale perché il suolo galestroso consente un perfetto drenaggio ed una profonda penetrazione delle radici della pianta. L’argilla, d’altro canto, fornisce le sostanza minerali necessarie al suo metabolismo. Il suolo, non fertile, ma ricco di minerali, lascia un impronta molto marcata nel corredo organolettico dei vini di Panzano, manifestandosi con eleganti note minerali sempre presenti in sottofondo.
Dalla parte del Pesa, le colline si aprono in un certo numero di anfiteatri naturali; scenario piuttosto inusuale nel Chianti dove le valli sono generalmente strette e profonde. La più ampia e famosa di queste è la Conca d’Oro, che si apre a sud del paese. L’azienda che possiede il maggior numero di terre nella Conca d’Oro è Fontodi; altre aziende che condividono il privilegio di possedere vigneti di pari condizioni sono Castello dei Rampolla, La Massa e Villa Cafaggio insieme ad altri produttori più piccoli, comunque di grande livello, quali Carrobbio, Reggine, Vignole e Monte Bernardi.
La combinazione di suolo, altitudine ed esposizione rendono la Conca d’Oro un terroir privilegiato. Se osassimo pensare ad una classificazione di stile francese delle sottozone del Chianti Classico, la Conca d’Oro sarebbe sicuramente classificata come Grand Cru.
Comunque sia, in molti pensano che Panzano, per la sua particolarità, meriti il riconoscimento ufficiale di sottozona. Giovanni Manetti ci spiega che, a livello di Consorzio di Tutela (l’unico organo in grado di promuovere un’ipotesi del genere) se ne sta parland . A noi viene quasi da sorridere nel pensare alle conseguenze che un provvedimento del genere potrebbe avere in questa terra da sempre divisa tra guelfi e ghibellini perennemente in lotta tra di loro. Panzano, come abbiamo evidenziato, si trova su un crinale. Quindi c’è, necessariamente, un’altra parte. E’ la parte che degrada verso Greve, generalmente più fredda della Conca d’Oro e, se la seconda può essere considerata un Grand Cru, la prima può sicuramente essere ritenuta un Premier
Cru. Qui i vini perdono un po’ di corpo rispetto a quelli della Conca d’Oro; ma ne guadagnano in frutto e nelle annate più calde, il trovarsi in una zona un po’ più fresca può anche essere un vantaggio.
In questo versante si trovano i vigneti, tra gli altri, di Casaloste, Le Cinciole, Le Fonti, La Marcellina e Panzanello.

Il vino
Ma quali sono i tratti distintivi dei vini di Panzano? Innanzitutto la struttura inusuale di questi Chianti, la loro spiccata tendenza alla longevità ed una certa austerità tipica di questi Sangiovese. La loro durezza negli anni iniziali è a volte proverbiale, così come la loro evoluzione esplosiva nel corso degli anni (ma con il tempo e con
la paglia …). Da un punto di vista strettamente tecnico i mosti di Panzano si rivelano particolarmente densi di estratti con alte concentrazioni di antociani.
Mosti ideali per la produzione di vini fortemente strutturati, corposi, ricchi e particolarmente colorati. Dal punto di vista organolettico abbiamo già evidenziato il complesso carattere minerale, quasi terrigno come denominatore comune.
Non vanno altresi dimenticati i franchi sentori floreali di viola e di frutti di bosco
specie sul versante di Greve. Ma se da un lato la natura ha provvisto Panzano di un terroir unico, vale la pena ricordare che Panzano deve la propria reputazione a chi questo terroir è stato in grado di comprenderlo e valorizzarlo dopo le devastazioni degli anni ’70.
Ci riferiamo ad imprenditori del calibro di Giovanni Manetti che nella crescita di Panzano hanno riversato fiumi di energie e soldi; ma anche al lavoro dei migliori enologi e wine makers italiani che a Panzano sono venuti a lavorare e confrontarsi: Franco Bernabei, Giovanni Cappelli, Stefano Chioccioli, Carlo Ferrini, Vittorio Fiore, Giorgio Marone, Gabriella
Tani ed altri.

[L'articolo prosegue con le note di degustazione che potete trovare sul N° 2 della rivista l'Arcante]

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