In giro per cose buone: Crema e dintorni

In giro per cose buone: Crema e dintorni

Degustando
di Elio Ghisalberti
02 ottobre 2008

Questa volta Elio Ghisalberti ci porta in giro tra uno dei pochi territori italiani che possono vantare in uno spazio tanto ristretto (parliamo di una decina di chilometri quadrati) tanti locali così ben attrezzati...

Non siamo certo tra coloro che pensano ogni bene esclusivamente della cucina tradizionale. Fosse così saremmo qui a scrivere ancora della cottura diretta dello spiedo al fuoco di legna o della tartara ottenuta per lo sfinimento della carne conservata nel sottosella dei cavalieri tartari (da cui il nome ovviamente). Crediamo invece che il bello ed il buono della cucina stia anche nella ricerca di un nuovo modo di interpretarla attraverso

l’applicazione delle conoscenze e delle tecniche (naturalmente quando queste ultime portano a migliorare il risultato finale). Tuttavia questa convinzione viene messa a dura prova quando ci si trova di fronte ad una cucina tradizionale perfettamente interpretata. Nei dintorni di Crema i ristoratori capaci di far vacillare anche il più convinto assertore

della teoria dell’evoluzione in cucina sembra si siano coalizzati. Pochi territori italiani possono vantare in uno spazio tanto ristretto (parliamo di una decina di chilometri quadrati) un numero di locali così ben attrezzati. Per questione di anagrafe ma ancor di più per l’espressione della qualità che riesce costantemente ad esprimere, il giro non

può che partire dal Fulmine di Trescore Cremasco. Davanti al Municipio, il locale della famiglia Bolzoni continua a mantenere intatti valori ed il calore d’un tempo.



Per i colpi ad effetto prego accomodarsi altrove: qui ci si viene per l’affetto che si coglie in ogni parola, nei gesti e nei piatti che, pur se riprodotti millanta volte, ogni volta rinnovano la sorpresa per una cura dei dettagli che non si sofferma sull’estetica ma entra nella profondità dei sapori. Già il biglietto da visita, un salame e poi un culatello che da soli possono valere il viaggio, è da incorniciare. Non bisogna attendere molto per rincarare la

dose del godimento con marbrè di selvaggina, patè ai quattro fegati e lumache trifolate (Dopo cinque ore di cottura si sciolgono letteralmente in bocca). Le paste ripiene, con i tortelli cremaschi sempre in pole position, raggiungono la perfezione, così la mantecatura dei risotti (quello con ragù di pernice e fegato d’oca è da urlo). E poi le minestre:

di zucca e porri all’amaretto per i più delicati o di cotenne e fagioli per chi ama la determinazione dei sapori. Non v’è alcun cedimento, come invece spesso accade nella cucina italiana, quando entrano in scena i secondi. Anzi, i piatti declinati con sua maestà il maiale, l’anatra e l’oca, sono da encomio al valore della tradizione che impone lunghe e

meditate cotture. L’apoteosi stagionale arriva in questo periodo, quando vanno a finire in padella con la verza brinata. Rimaniamo a Trescore Cremasco per segnalare il Bistek, un posto dove ci si va volentieri perché a tavola si sta in compagnia di una cucina buona e generosa (nei sapori e nelle dosi). Il locale, nato nel 1968 per merito di Ines e Francesco

Bonetti (detto Bistek, ma niente a che vedere con la bistecca) è stato ampliato e completato dai figli Antonio ed Angelo che con le rispettive mogli si dividono la responsabilità della conduzione.



In cucina i prodotti più utilizzati sono l’oca e l’anatra, il maiale, in questa stagione oltre ai funghi ed ai tartufi la zucca gialla. Si comincia con battuta al coltello di carne cruda piemontese con funghi porcini e Grana, formaggio Salva e peperoni, anguilla in carpione, terrina con rane.

Fra i primi tortelli cremaschi, risotto con zucca e tartufo oppure deliziosi tortelli a fagottino ripieni al petto d’oca. La pasta, piuttosto spessa, contiene un ripieno realizzato con il petto d’oca tagliato al coltello ed emulsionato con fegato grasso. Si prosegue con quaglia disossata al forno con ripieno di patata tartufata; costolette d’agnello dorate; animelle di vitello e funghi porcini; coscia di pollastra ripiena.

Carlo Alberto Vailati, altro senatore della cucina cremasca già autore con Nicola Pappalettera della fortunata esperienza del Guada’l Canal, una delle migliori tavole lombarde degli anni Ottanta, continua ad officiare la sua cucina ed il suo modello di ospitalità nel centro storico di Crema. Nel Nuovo Ridottino, locale ricavato in un antico palazzo nobiliare, ha innestato sull’impianto di base della cucina di tradizione (che si materializza soprattutto con le paste fresche ripiene e sui secondi di carne) la sua interpretazione del mare. Un incontro ben riuscito tra la proverbiale succulenza delle

elaborazioni padane e la delicatezza e la soavità dei molluschi, dei crostacei, del pesce che come da consolidata abitudine selezione con cura certosina.

Un bel percorso misto può iniziare con uno sformato di piselli (o carciofi o altre verdure secondo stagione) con crema di Parmigiano oppure con un delicato fritto di mare e fiori di zucca; quindi dipanarsi con i celeberrimi tortelli dolci o le tagliatelle di con cappesante, pesto di pistacchi e bottarga di muggine; la faraona di Viustino ripiena servita con tortino di patate od i filetti di triglia e San Pietro agli asparagi. Da un locale invitante per ubicazione ed aspetto, ad uno che ha invece un approccio a prova di fiducia, piazzato com’è il locale al pian terreno di una casa anonima (per non dire brutta).

Per fortuna Bassano Vailati, l’oste che vi attende dentro alla minuscola trattoria (solo 20 coperti) di Madignano che porta oltre al suo anche il nome del nonno, parla la lingua di qui, senza tanti salamelecchi ma con impressi i valori autentici della tipicità.

Lo si intuisce quando elenca il menu; se ne ha la certezza con l’arrivo in tavola delle prime golosità.

Il salame, seppur il primo della stagione, è di quelli da segnare nel carnet delle migliori degustazioni. I nervetti di vitello con fagioli, vanno anche oltre: tenerissimi, si sciolgono letteralmente in bocca senza alcun bisogno di masticazione (mai mangiati di così). Il segreto? Una cottura lentissima, 5 ore 5, e poi una leggera ripassata prima di servirli. Un assaggio di Grana Padano stravecchio completa il giro dell’accoglienza e degli antipasti che a seconda della stagione comprende loertis (i germogli del luppolo) con le uova d’oca, fiori di zucca e zucchini fritti o in frittata, insalata di cappone. Piatti che impressionano le papille gustative arrivando direttamente al cervello (e da lì al cuore).



Così i tortelli cremaschi, con l’impasto totalmente senza uovo che esalta la delicatezza del ripieno (13 ingredienti) il riso ed i risotti che variano secondo stagione, gli gnocchi e le altre paste ripiene. Quindi tra i secondi il buonissimo fritto di cervella e filoni ed il più consueto filetto che qui si esalta per la qualità della materia prima (da provare quello di barbina). E poi il meraviglioso cotechino, “must” dell’inverno padano che raggiunge la perfezione servito con la mostarda di casa. Si chiude con il gelato alla crema – ma c’è un altro gelato? – mantecato al momento con il suo buon profumo di vaniglia che si spande nell’aria. Bisogna spostarsi di poco per raggiungere la frazione Bolzone di Ripalta Cremasca. Aperta campagna, da perdersi anche quando non c’è nebbia. E’ lì che i fratelli Fagioli, Stefano e Marco, hanno aperto una ventina di anni fa ormai, la trattoria Via Vai.

Di origini cremasche ma nati e cresciuti a Milano, hanno deciso Dopo gi studi di ritornare sulle orme del nonno, albergatore e ristoratore. Lo hanno fatto con lo spirito puro ed investigativo di chi vuole riscoprire le origini. Hanno studiato a fondo la cucina ed i piatti della tradizione per arrivare a personalizzarli, ridosandoli per esaltarne le caratteristiche. Piatti forti per iniziare la terrina di fegato grasso d’oca o quella di coniglio, il battuto al coltello di carne cruda. Meravigliosi i tortelli cremaschi interpretati al giusto gradiente (cioè cospicuo) di dolcezza, le zuppe ed i risotti, la trippa in agrodolce. Tra le carni interpretate seguendo il ritmo delle stagioni segnaliamo due versioni del coniglio: in marinatura di insalata con verdure oppure disossato e ripieno con verza e Grana. Ed i funghi? E l’oca? E la zucca? Ed i bolliti? Ed il maiale? Ogni cosa a tempo debito, valorizzata nelle settimane a tema che scandiscono come si faceva una volta la vita contadina. I fratelli Fagioli hanno saputo rimettere in piedi per terra. Brindiamo a loro con il “suc”, il sugolo di uva fragola che oggi come allora allieta le interminabili serate dell’autunno e

dell’inverno padano.



GLI ARTIGIANI

Se per i buoni indirizzi della ristorazione non c’è che l’imbarazzo della scelta, la faccenda si complica quando si tratta di redigere la mappatura degli artigiani cremaschi d’eccellenza. E ciò nonostante la produzione agroalimentare sia da sempre la risorsa principale del territorio, una risorsa che viene da lontano, ricca di storia e tradizione. Ma anche qui come in molte altri parti del Belpaese, ahinoi, il desiderio o la necessità di ingrandirsi ha aumentato la quantità spesso a discapito della qualità.

Il potenziale rimane comunque alto, ed il recente riconoscimento di denominazione

al Salva Cremasco (Dop) ed al Salame Cremona (Igp), i due prodotti simbolo della zona, potrà se colta nei dovuti modi costituire la base per un ripensamento ed un riavvicinamento ai valori autentici del territorio. Soprattutto il primo, gloria casearia locale, che già nel nome porta incisa insieme ad una tradizione contadina radicata (così si

“salvava” per l’inverno il latte prodotto durante le lunghe transumanze dei bergamini)

anche la sua origine seppure il disciplinare della Dop abbia allargato i confini della produzione alle provincie limitrofe.

Si tratta di un formaggio a pasta cruda ma non a latte crudo (hainoi, il disciplinare lascia libera interpretazione al produttore anche per quanto riguarda l’alimentazione del bestiame) dalla caratteristica forma a parallelepipedo che raggiunge la maturità commerciale. Dopo 60 giorni di affinamento, il periodo minimo di stagionatura previsto. Ma il Salva raggiunge l’eccellenza quando capita di trovare forme prodotte con cura e stagionate a lungo, ben oltre il periodo minimo stabilito per legge. Solo allora, assaggiandolo, si capisce perché nel tempo il salva abbia avuto estimatori illustri.

Trovarle in commercio è tuttavia praticamente impossibile: sporadicamente le si possono trovare presso qualche piccolo commerciante o più facilmente in alcuni ristoranti (come tra quelli che segnaliamo a parte) i cui patron si peritano di dimenticarsi le forme in cantina fino al momento giusto.

Le forme arrivano per lo più da un caseificio di Trescore Cremasco, quello che i Carioni hanno costruito nel 2001 a fianco dell’azienda agricola di famiglia arrivando così a chiudere e controllare il ciclo di produzione. Il latte che viene lavorato giornalmente proviene esclusivamente dalle mucche di proprietà (circa 350 capi) alimentate con i foraggi di prima scelta coltivati direttamente sui propri prati stabili di trifoglio centenari.



Latte di qualità superiore che fornisce la base per il Salva Cremasco e per gli altri formaggi ottenuti con accurata tecnica casearia (da segnalare anche il “bacio di mamma mucca”, uno spalmabile dal morbido gusto di panna). Completa il quadro la produzione di carni bovine e quella dei salumi ottenuti con i maiali allevati in proprio sfruttando come base per la loro alimentazione il siero del latte. Per il salame vi consigliamo però una deviazione fino ad Ostiano, comune che per questo specifico prodotto ha recentemente ottenuto la De.Co. (La Denominazione Comunale lanciata da Veronelli). Alberto Lazzari e Rossella Garatti lo producono come una volta, solo d’inverno, ed utilizzando carni selezionate nel territorio lavorate integralmente a mano. Asciugato per una settimana in una stanza con la stufa, rimane a temperature ambiente fino in primavera, quindi la stagionatura prosegue nelle cantine naturali. Gli esemplari di maggiori dimensioni, grazie al budello naturale a più strati, raggiungono la completa maturazione Dopo un anno (ed anche più, fino a due) di affinamento. E’ un salame davvero artigianale, profumato di carne e spezie, poco salato e nemmeno eccessivamente agliato come è invece nella tradizione del Salame Cremona, da poco tempo insignito dell’Igp. Nel suo salumificio

di Cremosano produce un buon salame anche Roberto Migliorati, norcino tra i più attenti e competenti. Della sua gamma di produzione di consigliano vivamente la lingua salmistrata e soprattutto il cotechino fresco da cuocere, una delizia da servire con la polenta od il purè.

In tema “carnivoro” non si può certo dimenticare che a Romanengo ha sede una delle più celebri macellerie d’Italia. Franco Cazzamali, originario di una famiglia di agricoltori della bassa bergamasca, s’è fatto le ossa nel laboratorio dello zio, macellaio in Milano, prima metter su bottega (era il 1983) nel piccolo paese vicino a Crema. Grande conoscitore della materie prime e maestro della sua lavorazione, è il macellaio di riferimento per gli allevatori del Presidio Slow Food de La Granda in provincia di Cuneo che allevano esclusivamente bovini di razza Piemontese seguendo un rigidissimo codice di autodisciplina. Un salto nel suo negozio è una full immersion con la cultura della carne a 360 gradi, dalla macellazione, al taglio fino alla maniera per valorizzarla in cucina (taglio considerati meno nobili compresi naturalmente).



Da sola, la sua mitica battuta di carne cruda al coltello, vale il viaggio. Non si può venir via Crema senza un ricordo che rende giustizia alla dolcezza del suo nome. La spongata o spungata o spongarda come viene chiamata a Crema, è il dolce che unisce l’arte pasticciera della pianura padana compresa tra la bassa Lombardia e l’Emilia (debornando

fino a Sarzana, il Liguria). Conosciuto sin dal Quattrocento, è uno dei dolci più antichi d’Italia e le sue varianti sono tante quanti i campanili che interrompono il profilo piatto della pianura. La versione di Crema è una torta a tutti gli effetti, bassa e regolare, di forma tondeggiante. I dischi di pasta frolla vengono abbondantemente farciti con

un ripieni di frutta secca e canditi. Oltre non andiamo perché anche ogni

pasticciere ha i suoi segreti. Sappiamo però dirvi che quella della famiglia Cremonesi

(un cognome che è già una garanzia di tipicità) titolare della pasticceria Dossena è una spongarda che merita l’assaggio e l’asporto.

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