Insoliti solisti in una notte di note

Insoliti solisti in una notte di note

Degustando
di Giuseppe Vallone
11 ottobre 2022

Musica e vino, in una serata incredibile. I nostri “Tenori”, accompagnati dal Maestro Cerino e dai suoi musicisti, hanno portato in scena un vero e proprio concerto che ha spaziato lungo sei portabandiera del pinot noir mondiale.

La Sala Verdi del The Westin Palace di Milano sfavilla di luce. Gli ospiti occupano ciascuno il proprio posto, attorno a grandi tavoli rotondi, ognuno dei quali “capitanato” da uno degli oratori d’eccezione della serata.

Poi, le luci sfumano, e iniziano a diffondersi nell’aria le prime note: sono quelle di The night has a thousand of eyes, intramontabile brano jazz composto da Jerry Brainin. E così, è un attimo. Finalmente si fa largo l’emozione di esserci, di godere con tutti i sensi la serata regina di Enozioni a Milano 2022, il ritorno agli sguardi e ai sorrisi alleggeriti.

La stessa emozione marca distintamente la voce del Presidente di AIS Lombardia Hosam Eldin Abou Eleyoun il quale, nel presentare insieme alla Delegata di AIS Milano Francesca Provenzi la speciale serata che va a iniziare, accenna alle difficoltà vissute da tutti, e di riflesso dalla nostra Associazione, negli ultimi due anni, soffermandosi però sulla resilienza e sullo spirito di ripresa e, ancor prima, di vita e condivisione, che ha dato i suoi frutti, portandoci qui, questa sera.

Il Maestro Alessandro CerinoEcco dunque che la notte, questa notte, si preannuncia davvero «con mille occhi», le stelle che metaforicamente illuminano il ritorno di un grande palcoscenico quale è, ormai da tradizione, quello della serata centrale di Enozioni a Milano.

Ma non di sola musica vivrà il nostro appuntamento. Così, dopo l’apertura del Maestro Alessandro Cerino e della sua orchestra, è il momento dei grandi Tenori del Vino. Ognuno con la propria cifra, ciascuno con il proprio stile inconfondibile, presentano un vino ottenuto da uve pinot noir in zone diverse del mondo.

Pinot Noir 2017 - Seven Springs Vineyards

Inizia Guido Invernizzi, e il viaggio prende la direzione del Sudafrica, precisamente di Western Cape, tra Hermanus e Caledon, zona fresca che beneficia dell’influenza dell’Oceano Atlantico. Il racconto di Guido è coinvolgente, una panoramica della viticoltura storica e attuale del grande Paese africano, mentre i sommelier ci versano nel calice il primo vino.

Piccoli frutti rossi, speziatura elegante, uso del legno, naso fine nella sua semplicità, a cui segue una beva fresca, con un’evidente ma delicata nota tannica caratterizzata da un aroma di frutto croccante. La tipicità del pinot noir alle latitudini sudafricane e la piacevolezza dell’assaggio portano Guido a consigliare quale giusto abbinamento il… «niente: me lo bevo, me lo godo da solo!».

Il Maestro Cerino, dopo l’intervento di Guido, rende onore al Sudafrica con Boniface, un brano da lui composto nel 2004: è un attimo e la Sala Verdi si riempie dei suoni del flauto, del flauto basso e del basso, che si fondono alla perfezione con le note ritmate del jambè. Un jazz in chiave africana, una vera meraviglia.

Martinborough Pinot Noir 2018 - Ata Rangi

È il momento di trasferirsi, con Luisito Perazzo, in Nuova Zelanda, «una terra nata ieri dal punto di vista vinicolo», ma già in grado di proporre vini di indiscusso livello. Luisito ci racconta, con dovizia di particolari, di questa terra, delle sue tipicità e della storia di Ata Rangi («cielo dell’alba» o «nuovo inizio» in lingua Te Reo Māori), azienda fondata da Clive Paton nel 1980 a Martinborough, all’estremità meridionale di Te Ika-a-Māui (l’Isola del Nord).

Il gruppo di servizioIl Pinot Noir 2018 è luminoso, l’impianto olfattivo è netto e croccante, con un immediato piccolo frutto (ribes, fragolina, lampone) a cui segue lo «schema di Ata Rangi», sentori erbacei e balsamici di resina, liquirizia, alloro, rosmarino, anice con accenni speziati di pepe, ginepro e china. Al palato si presenta materico, poderoso e polposo, con un tannino sufficientemente succoso coadiuvato da una discreta freschezza che ne smorza l’incedere altrimenti pretenzioso. L’aroma tostato deve ancora integrarsi compiutamente nel frutto.

Torna la musica, e il Maestro Cerino ci propone un brano scritto per l’occasione, Haka Waka, che inizia con il suono unico del didgeridoo, uno strumento a fiato usato dagli aborigeni, per poi passare al clarinetto basso, in uno scenario evocativo dei nativi e dei riti propiziatori dei giocatori di rugby neozelandesi.

Pinot Noir Original Vines 2014 - The Eyrie Vineyards

Artur Vaso ci racconta dell’Oregon, della Willamette Valley e più in particolare delle Dundee Hills, terra d’origine del terzo vino in degustazione. L’azienda The Eyrie Vineyards rappresenta oggi il sogno realizzato di David Lett, l’«inventore della viticoltura» dell’Oregon e vero portabandiera del pinot noir d’oltreoceano. 

Il Pinot Noir Original Vines 2014 si presenta con la classica suadente veste propria del vitigno, lucente e dalla bella trasparenza. È un vino, questo, che vive di un assaggio ritmato, gustoso, con una gamma tannica articolata e l’alcol mai sopra le righe; il naso rimane invece più soffuso, tra note di foglia, rosa, terra e accenni speziati.

Il ritmo americano dà il la, al Maestro Cerino e alla sua band, per tornare a deliziarci con il brano Cheerokee, scritto nel 1938 da Ray Noble e interpretato negli anni da diversi artisti, tra cui Charlie Parker.

Spätburgunder Schlossberg GG 2018 - R. Fürst

Nicola Bonera ci porta in Germania, e precisamente in Franconia. L’azienda Fürst, dal 2004, è proprietaria di un vigneto terrazzato ed estremamente ripido, esposto a S-SO-O, tra il Reno e il Meno, nel cuore del Grand Cru Schlossberg, costituito da vecchie vigne – in parte a piede franco – e nuovi impianti. Da queste viti nasce un vino Grosses Gewächs (GG) - il culmine della classificazione VDP – che è il protagonista della degustazione.

Avvicinando il calice al naso va riconosciuta una certa, decisa, personalità: speziatura particolarmente marcata, incenso e bitter, corteccia e vermouth, diverte nel suo divagare tra note pungenti e ammiccanti. «Se dovessi pensare a un colore ragionando su questo vino» ci dice Nicola, «direi giallo», forse per l’accenno di zafferano che emerge dopo qualche minuto di roteazione, o forse per i sentori di pesca nettarina che duettano con accenni di chinotto. Un naso di peso, dunque, arricchito dal sapiente uso del legno, che crea qualche aspettativa sull’assaggio. In bocca, il sorso si mostra in divenire, con un attacco e una chiusura avvolgenti e una «succosa ciliegiosità» nella parte centrale della beva. La persistenza, su aromi balsamici e tostati, dura abbastanza da «non troncare la voglia di berne un secondo sorso, anzi invoglia a provarlo per la terza o quarta volta».

Il Maestro Cerino, lasciatosi ispirare dalle suggestioni germaniche, ci propone Baco Sebastiano, una sua riscrittura di Minuetto e Badiberie di Johann Sebastian Bach.

Arbois Sur La Cote 2020 - Anne et Jean-François Ganevat

Bien sûr, nous eûmes des orages
Vingt ans d'amour, c'est l'amour fol
Mille fois tu pris ton bagage
Mille fois je pris mon envol
Et chaque meuble se souvient
Dans cette chambre sans berceau
Des éclats des vieilles tempêtes
Plus rien ne ressemblait à rien
Tu avais perdu le goût de l'eau
Et moi celui de la conquête

«Quando mi hanno detto che al vino di Ganevat sarebbe stato abbinato uno dei brani di amore più struggenti, più disperati e disperanti della storia della canzone francese, ho pensato al rapporto tra il pinot noir e l’Arbois e tutto mi è sembrato assolutamente logico e appropriato».

I viniCon una lettura accorata delle prime due strofe di La chanson des vieux amants di Jacques Brel, Samuel Cogliati ha incantato la sala, introducendo una splendida e appassionata lettura del rapporto di amore e odio che lega il pinot noir alla regione dello Jura, e in particolare alla mezza costa calcarea di Arbois.

Lo fa parlando del Domaine Ganevat, vera istituzione giunta oggi alla quattordicesima generazione, e del pinot noir che la famiglia produce a 250 m s.l.m., su marne grigie esposte a S-E, secondo il loro stile, ferreo, riconoscibile: fermentazione alcolica indigena, malolattica non indotta, nessuna chiarifica né filtrazione, 12 mesi in vasche di legno tronco-coniche e poi affinamento in bottiglia, il tutto senza uso della solforosa.

«Cosa dobbiamo aspettarci da un vino che si trova, sulla carta, a difendere la grandezza di un vitigno che, in Jura, fa dichiaratamente il comprimario rispetto ad altri vitigni?» ci chiede Samuel. «Possiamo aspettarci questa libertà espressiva», fatta di un naso linfatico, setoso, carezzevole, con note tra l’assenzio e la ciliegia, che si dimostra poetico nella sua golosità. Un vino che, al palato, conquista definitivamente, grazie a una presenza che più che alla Borgogna – distante soli 50 km in linea d’aria – guarda al Beaujolais e al suo gamay.

Mais mon amour
Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour
De l'aube claire jusqu'à la fin du jour
Je t'aime encore tu sais
Je t'aime (…)

Spazio dunque alle note del Maestro Cerino e all’interpretazione, straordinariamente romantica, de La chanson des vieux amants di Jacques Brel.

Clos de Vougeot Vieilles Vignes 2018 - Château de la Tour

(…) riguardando la debolezza dei temperamenti, crediamo che una misura di vino al giorno basti a tutti. Quelli però cui Iddio dona la virtù dell’astenersi, sappiano che ne raccoglieranno particolar mercede. Che se la condizione del luogo o la fatica o il calore estivo richiedesse una quantità maggiore, resti in facoltà del Superiore; avuto sempre riguardo che non si vada sino alla sazietà o all’ebbrezza; giacché leggiamo, ai monaci non convenire il vino.

Ma poiché ai tempi nostri non si può fare osservare siffatta cosa; almeno accordiamoci in questo, di non bere mai sino alla sazietà, ma assai parcamente: poicché il vino fa apostatare anche i sapienti. (…)

«Che il vino di Borgogna fosse buono, lo sapeva anche San Benedetto»: declamando il capitolo 40 della Regola, Armando Castagno affronta, con icastica ironia, l’immane sfida di raccontare in venti minuti la storia della Borgogna e quindi, in un certo senso, del vino mondiale.

I relatori e il Presidente di AIS Lombardia Hosam Eldin Abou EleyounLo fa spalleggiato da una bottiglia che ha un «valore documentale del vino di Borgogna», il Clos de Vougeot Vieilles Vignes 2018, prodotto da Château de la Tour da vigne del 1910. Un vino né festoso né edonistico, il cui stile non fa prigionieri, da «comprare e dimenticare» tanto è giovane in confronto a quanto aspira a durare nel tempo. Ed è questo che lo rende così attraente, l’idea di «impadronirsi della nozione di come si esprima, da giovane, un vino che ambisce a durare un secolo e mezzo».

Si presenta con una cupa nota tostata e torrefatta, poi frutto scuro e accenni di lentisco e tabacco legati al tannino. Assaggiandolo «è commovente» perché, ci dice Armando, «dà chiari indizi della sua origine»: la dolcezza del tannino e la forza materica rimandano alla concentrazione delle uve di partenza e alla criomacerazione a grappolo intero, tenendo presente un affinamento di ben 22 mesi in barrique nuove che non scalfiscono minimamente, né incidono, il peso del sorso. È un «vino fatto sostanzialmente di tatto, che colpisce per l’energia più che per l’aromaticità». Chiede senz’altro un po’ di tempo, ma già oggi, in gioventù, è buonissimo, come sapeva San Benedetto.

Les Feuilles Mortes, di Prevert & Kosma, è l’ultimo brano che la band del Maestro Cerino sceglie per sublimare la degustazione di quest’ultimo, grandissimo vino.

Una serata eccezionale, non c’è che dire: un vero concerto, di musica e di vino, di ironia, estrema competenza e gran classe, portato in scena da protagonisti che è doveroso ripresentare qui: Guido Invernizzi, Luisito Perazzo, Artur Vaso, Nicola Bonera, Samuel Cogliati e Armando Castagno per la parte enoica; Alessandro Cerino (golden flute, alto sax, bass clarinet, arrangiaments), Martino Vercesi (electric & classical guitar), Carlo Bavetta (contrabass) e Sebastiano Sempio (drums & percussions) per gli straordinari momenti musicali.