L’impatto dell’alta quota nell'affinamento. Prove tecniche di sperimentazione con i vini della Valtellina

L’impatto dell’alta quota nell'affinamento. Prove tecniche di sperimentazione con i vini della Valtellina

Degustando
di Sara Missaglia
07 luglio 2019

Undici etichette valtellinesi hanno riposato per 14 anni sia a Sondrio che al passo dello Stelvio a 2750 metri. Il risultato? Una degustazione organizzata da Assoenolgi per scoprire le differenze nel bicchiere

Venerdì 5 luglio l’Assoenologi, sezione di Lombardia e Liguria, ed il suo Vicepresidente Paolo Balgera, in collaborazione con il Consorzio Tutela Vini di Valtellina, il Pirovano Stelvio e la Banca Popolare di Sondrio, ha organizzato una degustazione che ha il sapore di qualcosa di unico, senza precedenti.

Un obiettivo ambizioso, che ha il carattere a metà tra l’esperimento e l’indagine scientifica: quali sono, e se ci sono, cambiamenti nei vini e nei recettori sensoriali per effetto dell’alta quota. E come tutti gli eventi rari e preziosi, la location non poteva essere che un luogo incantevole come solo il Passo dello Stelvio, il valico più alto d’Italia, sa essere: percorrere gli ultimi tornanti è come raggiungere il Paradiso, e a quota 3.000 metri le montagne non solo sono più vicine, ma anche più belle: il ghiacciaio, le cime dell’Ortles Cevedale, e quel cielo così azzurro che ti sorride.

La degustazione di oggi nasce in realtà 14 anni fa. Nel 2005 il Consorzio Tutela Vini di Valtellina, per iniziativa dell’allora Presidente Casimiro Maule, si interrogò sugli effetti dell’alta quota nel vino: in che misura possono impattare fattori come l’ambiente alpino, gli sbalzi termici, la rarefazione dell’ossigeno in quota, le temperature di conservazione sul vino e sulla sua evoluzione? Al progetto aderirono una ventina di cantine valtellinesi, e lo stesso numero di bottiglie, per annata e per tipologia, venne stoccato in due diversi centri di affinamento: uno a fondovalle, a Sondrio, presso la Fondazione Fojanini che si occupa di ricerca scientifica anche nel mondo vitivinicolo, e uno al passo dello Stelvio, presso il Pirovano, a quota 2.758 metri.

Annate 2000, 2001, 2002 di Valtellina Superiore e di Sforzato di Valtellina. Bottiglie preziose, da dimenticare per un po’: chi fa vino sa che ci vuole sempre pazienza. La conservazione presso la Fondazione Fojanini è avvenuta a 14°-16°, mentre in quota tra i 6° e i 12°-14°. Quattordici anni dopo prende forma la volontà di aprire 11 etichette: una degustazione alla cieca doppia per ogni vino, un calice affinato presso la Fondazione Fojanini seguito da uno affinato allo Stelvio. Un unico interrogativo: quali sono le differenze? E, in ultima analisi, se l’affinamento in quota, peraltro più complesso da realizzare, possa dare risultati migliori.

La degustazione ha visto l’impegno di sommelier AIS e assaggiatori Onav che hanno aperto e verificato i vini, sotto la stretta supervisione della delegata AIS di Sondrio, Elia Bolandrini. In sala erano presenti degustatori esperti, giudici internazionali, giornalisti, appassionati, enologi e protagonisti della viticoltura valtellinese, da Paolo Balgera, titolare dell’omonima cantina, a Casimiro Maule, da Aldo Rainoldi, Presidente del Consorzio Tutela Vini di Valtellina a Danilo Drocco, direttore della Cantina Negri, a Isabella Pelizzatti Perego di AR.PE.PE.

Nei calici come Valtellina Superiore: Grumello 2001 di Marsetti, Inferno 2002 di Nobili, Sassella 2000 della stessa Fondazione Fojanini, Grumello di Arpepe Rocca de Piro del 2000, Sassella 2001 di Bettini, Valgella 2002 Ca’ Morei di Fay, Fracia 2001 di Nino Negri, Prestigio di Triacca 2001. Tre gli Sforzati presenti, tutti millesimo 2000: Messere di Caven, Ca’ Rizzieri di Aldo Rainoldi, Albareda di Mamete Prevostini.

Vini che hanno fatto un bel tratto di strada, e che si presentano nel calice con i colori caldi delle tonalità aranciate, e con un corredo olfattivo e sensoriale che testimonia la terziarizzazione: note di fiori secchi, di frutta macerata e cotta, sotto spirito, a tratti con spinte ossidative marcate, ma con un’acidità ed una trama tannica di prim’ordine, ancora vitale e sorprendentemente in forma. Il finale è sempre persistente e di grande finezza, con note eteree tra il cioccolato, il cuoio e il tabacco, e sentori speziati che rendono ricco il palato.

Per alcuni calici le differenze tra il vino affinato a fondo valle e quello affinato in quota sembrano più evidenti, e la platea di degustatori si divide nell’assegnare la preferenza ad un calice piuttosto che all’altro: per altri non vi sono invece differenze sostanziali, e in degustazione le sensazioni sono sovrapponibili. Difficile dirimere se sia meglio affinare i vini in quota o rimanere alle quote abituali.

«Le aspettative erano diverse, eravamo convinti che i vini affinati allo Stelvio avrebbero performato meglio rispetto a quelli del fondovalle» ha commentato Paolo Balgera. «Non siamo riusciti ad individuare un fil rouge che possa darci una corretta chiave interpretativa – prosegue Casimiro Maule –, non è semplice individuare una linea unica che contribuisca a definire se l’affinamento in quota abbia impatti effettivi sul vino e sulla sua evoluzione». Danilo Drocco si dice molto soddisfatto: «la degustazione è stata l’occasione per verificare l’evoluzione del nostro nebbiolo su distanze di almeno 18 anni dalle vendemmie, e i risultati sorprendenti di alcune bottiglie attestano la grande longevità del nostro nebbiolo».

Si chiude in sostanziale pareggio tra Fondazione Fojanini e Stelvio, e la presenza di bottiglie ancora da stappare fa ben sperare in un prossimo incontro, per una verifica ulteriore della “tenuta” di questi vini a quote così diverse: l’indagine prosegue, l’esperimento nel tempo sarà nuovamente rischio e scoperta.

Come dice un proverbio dei nativi americani: ereditiamo la terra dai nostri antenati e la prendiamo in prestito dai nostri figli. Sperimentazione è anche questo: studiare qualcosa oggi, per capirne di più domani.