La rinascita e riscoperta del gaglioppo

La rinascita e riscoperta del gaglioppo

Degustando
di Davide Gilioli
29 maggio 2024

Raramente è stato preso in considerazione fra i grandi rossi del Sud Italia, ma nell’ultimo decennio ha più volte dimostrato, soprattutto nel suo territorio di elezione, il cirotano, di avere tutte le carte in regola per regalare grandi emozioni anche dopo lunghi affinamenti

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 26 Maggio 2024

Il gaglioppo è un vitigno a bacca nera, autoctono della Calabria, di probabile provenienza greca e diffusosi sulle coste, dove beneficia del clima mediterraneo e della buona ventilazione. Il suo nome deriva dal dialetto locale e significa “pugno chiuso”: veniva chiamato così per la forma e la compattezza dei grappoli. Attualmente il gaglioppo è coltivato tra le province di Cosenza e Catanzaro, nella zona collocata tra la Sila e il mare. Nonostante sia la varietà più diffusa in Calabria e pressoché presente nei disciplinari di tutti i vini rossi DOC calabresi, l’areale di elezione rimane la zona di Cirò Marina (KR), l’antica Crimissa fondata dai Greci, dove l’omonimo vino, krimisa, veniva esportato con successo in tutto il Mediterraneo.

Cirò DOC, la denominazione di riferimento

All’interno della DOC Cirò, nata ufficialmente nel 1969, il vitigno si trova perfettamente a proprio agio e viene allevato su terreni scistosi, sfaldatisi in strati argilloso-marnosi verso l’interno e più sabbiosi verso la costa. Il clima è estremamente secco e con estati torride lungo il litorale, mentre forti escursioni termiche e buona piovosità mantengono più fresche e verdeggianti le colline dell’entroterra. Oggi il gaglioppo viene prodotto da oltre 200 viticoltori, con una superficie vitata di circa 2500 ettari e una produzione complessiva che supera i 4 milioni di bottiglie, nella sola DOC Cirò. All’ombra di “rivali” più famosi (come aglianico, nero d’Avola, nerello mascalese), il gaglioppo – per il tramite della DOC Cirò, nelle versioni rosso e rosato – è in questi anni sempre più apprezzato anche nel resto d’Italia. Merito certamente delle sue qualità organolettiche, ma non solo.

Il fenomeno dei “Cirò Boys”

All’inizio degli anni Duemila, il ricambio generazionale ha dato grande impulso commerciale a questo vino, con un aumento significativo della qualità e una comunicazione più efficace. Dal 2008 un gruppo di piccoli produttori artigianali – ribattezzati bonariamente “Cirò Boys”, con un richiamo ai Barolo Boys che rivoluzionarono le Langhe una ventina di anni prima – hanno cominciato ad affermarsi nelle fiere dedicate al movimento dei cosiddetti “vini naturali”, rivendicando una produzione incentrata sul recupero agronomico del territorio e dei vitigni autoctoni (non solo il gaglioppo, quindi) ormai dimenticati. Ne nascono espressioni più schiette e dalla maggiore personalità, date da una notevole riduzione dell’uso del legno (in favore di cemento e acciaio) e delle macerazioni, che non superano i 5 giorni per i rossi e le 24 ore per il rosato. «Il gaglioppo non lo si può mascherare: ha un colore scarico e un tannino deciso» ci spiega Cataldo Calabretta, uno dei produttori di riferimento di questa nuova filosofia. «È sempre stato così. Ammorbidirlo e concentrarlo tramite lunghi passaggi in legno, solo per rincorrere un certo mercato internazionale, è una soluzione che lo allontana dalla sua stessa natura. Noi invece cerchiamo di fare esattamente l’opposto: parliamo al mercato affinché capisca e accetti il nostro vino nella sua unicità territoriale».

Dall’uva al calice: produzione, caratteristiche organolettiche e abbinamenti gastronomici

Dal punto di vista ampelografico, il gaglioppo ha un grappolo di medie dimensioni, conico e alato. Gli acini sono piccoli e sferici, dotati di una spessa buccia scura ricoperta da pruina. In vigna, il gaglioppo resiste bene sia alla siccità sia alle gelate, sopportando anche terreni con salinità elevate, mentre è invece particolarmente sensibile all’umidità e a malattie come peronospora e oidio. La forma di allevamento tradizionale è l’alberello, che ne consente un’areazione ottimale e offre maggiore resistenza a vento e calore.

Il vino che ne deriva è di colore rosso rubino intenso, di media trasparenza e che facilmente tende a virare verso il granato. Al naso offre note di frutta rossa matura, come ciliegia e marasca, oltre a sentori di violetta e di liquirizia nera. In evoluzione non è raro trovare anche tracce di spezie scure. Al sorso è caldo e strutturato, accompagnato da un tannino presente ma di buona eleganza. Il finale, generalmente piuttosto persistente, richiama la frutta rossa sotto spirito e le spezie incontrate al naso.

Gli abbinamenti

A tavola, il Cirò Rosato, con la sua freschezza, è perfetto per ricette a base di pomodoro, come il pesce spada alla ghiotta (cotto in padella con olive, capperi e pomodori) o i fileja tropeani (pasta fresca di acqua e farina – simile a lunghe tròfie – conditi con pomodoro e basilico), ma anche con verdure, come le tipiche vrasciole (polpettine di melanzane pastellate e fritte in olio bollente). Un Cirò Rosso Superiore potrà invece accompagnare il morzello alla catanzarese (zuppa di frattaglie di vitello cotta con abbondante sugo di pomodoro) o la cuccia cosentina (un cous cous di grano saraceno, con bocconcini di capra e spezie). Infine, un Cirò Rosso Riserva, con la sua maggiore struttura, sarà ideale per carni alla griglia o per la proverbiale ‘nduja di Spilinga spalmata sul pane (prestando attenzione al grado di piccantezza). Con l’arrivo dell’estate, una vacanza in Calabria potrebbe essere un’ottima opzione per approfondire sul campo le caratteristiche di questo sorprendente vitigno autoctono, tra un tuffo in mare e un’escursione sulla Sila.