La Toscana fuori dai riflettori. Rùfina e Orcia

La Toscana fuori dai riflettori. Rùfina e Orcia

Degustando
di Alessandro Franceschini
26 gennaio 2009

Riflettori sul Chianti più alto e sui vini di Orcia. Due viaggi alla scoperta dei vini di due piccole quanto affascinanti denominazioni toscane. Tratto da L'Arcante numero sette...

Non è facile ritagliarsi uno spazio, quando i vicini di casa si chiamano Chianti Classico piuttosto che Montalcino o Montepulciano. Pur con i necessari distinguo da fare e considerando le differenze storiche, tecniche ed anche commerciali, che esistono tra due denominazioni come quelle del Chianti Rùfina e di Orcia, un comun denominatore va ricercato nella voglia di riuscire ad emergere, sfruttando paesaggi e bellezze locali uniche, nonché specificità legate a singoli terroir che potrebbero rappresentare il pretesto, la molla, per far spiccare il volo a vini che altrimenti finiscono spesso (ed a torto) nel dimenticatoio o servono, al più, come semplice riempitivo di carte dei vini che vogliano ambire ad una certa completezza della regione Toscana. Francesco Bonfìo, presidente dell’associazione Vinarius e proprietario di una fornitissima e centrale enoteca a Siena, ci confermava, durante una sosta nel suo locale, come i vini di Orcia, per esempio, fatichino a trovare una collocazione nel mare magnum di denominazioni di spicco che la Toscana ha la fortuna di possedere. Spesso capita che sia un’azienda a tirare il gruppo ed ad infondere fiducia al resto della produzione vitivinicola della zona: esempi da questo punto di vista non mancano in Italia, basti pensare al ruolo che hanno avuto e continuano ad avere, tuttora, Caprai nella vicina Umbria o, rimanendo in terra toscana, il Sassicaia per il territorio di Bolgheri. In fatto di piccole denominazioni alla ribalta, un esempio calzante è l’azienda Le Piane, guidata e creata dallo svizzero Christoph Künzli, che in dieci anni ha tolto non solo dall’anonimato, ma dalla vera e propria scomparsa, una storica denominazione piemontese come quella di Boca e, grazie ai successi commerciali e di critica dei suoi vini ha dato linfa vitale ad un piccolo gruppo di produttori destinati altrimenti all’anonimato. Da questo punto di vista, se tra le colline intorno a Rùfina ha la sua base un colosso, in termini numerici e di fama consolidata, qui come altrove in Toscana, come Frescobaldi, ad Orcia, denominazione molto più giovane, due aziende, per investimenti o fama pregressa, sembrano poter dar slancio all’intera denominazione. È il caso di Podere Forte, a Castiglione d’Orcia, di proprietà di Pasquale Forte, imprenditore in quel di Orsenigo nel comasco, piuttosto che della Fattoria Colle a Trequanda, creata nel 1998 da Donatella Cinelli Colombini, storica produttrice a Montalcino e creatrice del Movimento Turismo del Vino.

Se quella di Rùfina è la più piccola tra le sottodenominazioni della vasta e per certi versi confusa denominazione che prende il nome di Chianti tout court, ad Orcia incontriamo una delle più piccole DOC dell’intera regione quanto ad ettari vitati, ma tra le più grandi come estensione territoriale, con 13 comuni a far da corollario ad un territorio tra i più belli ed affascinanti dell’intera regione, ma i cui nomi evocano bellezze artistiche uniche piuttosto che prelibatezze gastronomiche eccelse, raramente il vino. Ma al di là dei poderosi investimenti o delle consolidate produzioni industriali, passeggiare tra i piccoli borghi che sia il grande comprensorio di Orcia, piuttosto che quello più minuto di Rùfina, induce quasi naturalmente a pensare che l’originalità, l’unicità e la valorizzazione di questi territori passi soprattutto attraverso ciò che madre natura ha dato e che dovrebbe essere la vera spinta per far si che anche nel variegato mondo del vino possa nascere qualcosa di originale e rappresentativo anche in questi luoghi.

Il Chianti più alto.
È il leit motiv che il Consorzio di Rùfina ha sempre utilizzato per sottolineare la specificità dei chianti di questa piccola zona: non basta certo l’altitudine dei vigneti a caratterizzare l’unicità di un vino, ma certamente, quando il produttore intenda valorizzarla, non passa poi inosservata nel bicchiere. Nella zona classica del Chianti, per esempio, a Lamole, proprio l’altitudine rende unici e diversi insieme i chianti locali da quelli dalla vicina Greve. Quindi cosa aspettarsi dal sangiovese di montagna? Eleganza e finezza nei profumi, una connotazione aromatica del frutto meno incentrata sull’intensità, ma sulla ricchezza di sfaccettature, una bella mineralità, dovuta al sottosuolo ricco di pietre calcaree, galestro ed alberese ed infine longevità, come determinati campioni di aziende ben specifiche attestano senza alcun indugio. La DOCG Chianti (1984) conserva ancora, nella sua base ampelografica l’utilizzo di vitigni che i cugini della zona “classica” hanno recentemente bandito: quindi, oltre al sangiovese (dal 75% al 100%), alle onnipresenti uve francesi (fino al 10%), anche il trebbiano toscano e la malvasia del chianti (massimo 10%), oltre al locale colorino. Non a caso alcuni dei vecchi campioni che il comitato tecnico del Consorzio ha messo a disposizione durante la seconda edizione dell’anteprima dedicata alla presentazione dei millesimi ora in commercio, era composta ancora delle tanto odiate uve a bacca bianca che, dopo così tanti anni, hanno certamente contribuito a formare quella spina dorsale fatta di acidità e freschezza complessiva che oggi risulta uno dei punti di forza della longevità dei vini di Rùfina. Difficile, comunque, dare una visione d’insieme ai vini in commercio con le annate 2007 e riserva 2006 e questo nonostante il lavoro di zonazione che il team del professor Scienza ha svolto in questo comprensorio nell’arco di quattro anni e che ha certificato l’esistenza di 11 unità vocazionali, differenti tra loro. I blend con ampia libertà di scelta oltre al sangiovese e le diverse tecniche adottate in cantina sembrano differenziare, più che i diversi terroir locali, la produzione al momento. Sicché ci si può imbattere in chianti di grande espressività aromatica e finezza, che giocano su registri delicati, tannini vivi ed una freschezza ben fatta, come nel caso dei campioni presentati dalla Fattoria Selvapiana, piuttosto che in vini dai colori fittissimi, concentrati, con sfumature incentrate sulla dolcezza del frutto e la presenza, quasi esasperata, del legno come nel caso dei vini della Fattoria Basciano. Coerenza stilistica, in linea con i numeri ed il mercato di riferimento dell’azienda, per il Nipozzano Riserva 2006 del Marchese de’ Frescobaldi, il più noto, grande ed internazionale dei produttori locali, che gioca su toni dolci, colori impenetrabili e tannini ben levigati dal legno, ma tecnicamente ben fatto e senza sbavature.

La degustazione – I 10 campioni più convincenti

Chianti Rùfina Montulico 2007, Cantina Sociale VI.C.A.S – Pontassieve
Schietto, semplice se vogliamo, con una beva snella, non di grande impatto e complessità, ma di piacevole franchezza. Un po’ ritroso a darsi al naso, ha un’aromaticità di piccoli frutti rossi, di rovo, ed una sottile nota floreale che ricorda il ciclamino. 81/100

Chianti Rùfina 2007, Fattoria il Capitano – Pontassieve
Di buona pulizia olfattiva, semplice e netto nei suoi profumi fruttati di lamponi e ciliegie, maturi e di ottima franchezza. In bocca tannini ben levigati, un corpo di media struttura ed una fresca vena acida lo rendono godibile. 83/100

Chianti Rùfina 2007, Fattoria Il Lago – Dicomano
Un buon compromesso tra morbidezza gustativa, dolcezza della componente fruttata di prugne e visciole e le parti più dure, che sostengono un quadro di discreta complessità olfattiva. Tannino ancora in divenire e persistenza di discreta lunghezza. 83/100

Chianti Rùfina Riserva Nipozzano 2006, Marchesi de’ Frescobaldi – Pelago
Se è possibile discutere circa l’aderenza al terroir di partenza, nulla si può eccepire circa la qualità tecnica del Nipozzano 2006: pulito, dal profilo dolce con note di ciliegie in confettura e sfumature di vaniglia e cannella. Discreta la freschezza, buona la progressione in bocca con un tannino levigato, smussato negli angoli, ma ben calibrato e centrato. 84/100

Chianti Rùfina Cedro 2007, Fattoria Lavacchio – Pontassieve
Campione originale, con un profilo olfattivo che si stacca dal binomio frutto e spezie, con slancio e carattere: note di agrumi, erbe officinali e rosa avvolgono con buona finezza delicati frutti di ribes e mirtilli. Un lieve finale amarognolo, tannini di buona tessitura ed una piacevole nota sapida connotano un quadro gustativo dritto ed armonico. 84/100

Chianti Rùfina 2007, Azienda Agricola Frascole – Dicomano
Pulito, fresco già al naso, gioca su note di frutti rossi maturi di lamponi e fragoline di bosco insieme a piacevoli sfumature di anice e liquirizia. Sottile e discreto anche in bocca, più che sulla struttura colpisce per la sua snella beva, la freschezza di ottima fattura ed un tannino vivo, già ora ben domato. 84/100

Chianti Rùfina Riserva 2006, Azienda Agricola Frascole – Dicomano
Anche la riserva dell’azienda Frascole conferma finezza e sottigliezza nei profumi: note mentolate, di lamponi e di liquirizia. Bocca ancora scalpitante, ma tannini sempre vivi e di buona fattura. Fresco, sapido con una piacevole, lunga e corrispondente lunghezza. 85/100

Chianti Rùfina Riserva Lastricato 2006, Fattoria Castello del Trebbio – Pontassieve
Una lieve volatile iniziale, subito scomparsa, solleva note di lamponi e ciliegie, piacevoli viole ed un tocco di agrumi e cannella. Di bella struttura in bocca con un buon allungo nel finale e tannini già ora pronti, ben integrati. Una riserva già godibilissima ora. 85/100

Chianti Rùfina 2007, Fattoria Selvapiana – Rùfina
Assente alla prima edizione (2007) delle anteprime dedicata ai chianti di Rùfina, conferma di essere il produttore di riferimento di questa piccola enclave in termini di eleganza e qualità complessiva. Preciso, fine, sfodera un bouquet floreale di grande precisione e fattura, con piacevoli note di viola, ciclamino e rosa, piccoli frutti di bosco e spezie che ricordano il pepe bianco. Lungo, fresco, con un tannino croccante ed una beva avvincente. 87/100

Chianti Rùfina Riserva Bucerchiale 2006, Fattoria Selvapiana – Rùfina
Solitamente ha bisogno di tempo per sbocciare completamente e le vecchie bottiglie che Federico Giuntini conserva nella storica cantina dell’azienda sono sempre in grado di stupire per longevità e freschezza. La razza ed il carattere sono però presenti già ora, sia al naso, dove fiori e frutti sono lievemente schiacciati dalla componente speziata, ricca e dolce insieme. Ottima la corrispondenza gustolfattiva, pieno il centro bocca, perfetta la progressione in bocca nonché la persistenza. 88/100

Orcia: la terra come valore fondante.
Se provate ad immaginare un paesaggio monotematico, dedicato integralmente alla vite, come in altri comprensori italiani, pensiamo, per esempio, a come si presentano attualmente le Langhe piemontesi, siete distanti anni luce dalla Val d’Orcia. Qui, più che la vite, è la terra nel suo complesso ad essere protagonista sia degli splendidi scenari che si osservano, sia dell’economia locale. La vite, storicamente, non è mai stata il centro propulsivo dell’agricoltura: maiali (grigi, bianchi o cinti senesi), chianine, olio, miele, zafferano, cereali, pascoli grassi che alimentano i greggi di pecore dal cui latte nasce il pecorino ed infine il tartufo. Tutto compone uno scenario di bellezza infinita, incastonato tra comuni medioevali ricchi di arte e storia, da San Quirico d’Orcia a Castiglione d’Orcia, da Pienza a Buonconvento e Monteroni d’Arbia. E non a caso l’Unesco nel 2004 ha inserito la Val D’Orcia nel patrimonio dell’umanità, primo territorio rurale ad essere premiato con questo riconoscimento. Non si può, quindi, estrapolare la vite da questo scenario, di cui è parte integrante, ma non solitaria protagonista. Come ben dice il giornalista Carlo Macchi nel volume: “Il territorio senese tra Grandi Rossi e Vinsanti”, “la vigna era uno dei capisaldi della mezzadria toscana e questo è il motivo principale della vite in questi vasti territori dove il grano è sempre stato la principale fonte di reddito”. Tuttora molte aziende del territorio non traggono dalla vite e dal vino l’unica fonte di reddito. La Doc locale è giovane e vede la sua definitiva introduzione nel 2000 (dopo che nel 1995 era stata riconosciuta l’IGT), gli ettari vitati sono ancora pochi e divisi tra 33 produttori, il territorio è vasto e disomogeneo, ma, soprattutto, incastrato geograficamente tra due mostri sacri come Montalcino e Montepulciano. La sfida non è quindi semplice. A questo aggiungiamo che il disciplinare deve probabilmente ancora assumere un’identità più definita e probabilmente modificarsi, cercando di valorizzare maggiormente il sangiovese (attualmente se ne può utilizzare anche solo il 60%), che da queste parti non è né il clone prugnolo gentile che compone il vino nobile di Montepulciano, né il sangiovese grosso della vicina Montalcino utilizzato per il Brunello, ma rappresenta altresì il valore fondante da cui partire per donare tipicità, originalità, nonché longevità, ai vini di questo splendido comprensorio. Attualmente, in commercio, troviamo un po’ di tutto, quanto a composizione: dal sangiovese in purezza a blend con cabernet, syrah e merlot in dosi più p meno massiccie, oppure si ricorre all’utilizzo di canaiolo e colorino piuttosto che al foglia tonda. L’idea, per il futuro, della presidente del Consorzio locale, Donella Vannetti, è quella di creare una tipologia Riserva e di aumentare proprio la percentuale minima del sangiovese nella composizione dei vini. Insomma, un territorio da seguire, quanto emerso anche dalle degustazioni per operatori organizzate durante la manifestazione Divin Orcia, giunta alla sua quarta edizione, che ha messo a disposizione 23 campioni delle annate 2006 e 2005. Un territorio, quanto a composizione dei terreni, alquanto variegato, e diversamente non poteva essere, vista la grande estensione della denominazione: sabbie gialle in alcuni casi, con vini più fruttati ed eleganti o scisti argillosi con galestro e alberese, che solitamente invece donano potenza e corpo.
Da sottolineare, infine, i prezzi,: la forbice si attesta mediamente tra i 5 ed i 12 euro, franco cantina, con pochi campioni ben oltre i 20 euro, a fronte di produzioni molto basse, se non esigue in alcuni casi.

La degustazione – I 10 campioni più convincenti

Orcia Rosso Frasi 2005, Azienda Agraria Capitoni - Pienza
Ne abbiamo testati due di campioni e nonostante, anche al secondo tentativo, note di riduzione accentuate stentassero a pulirsi integralmente, questo blend di sangiovese con piccole quantità di canaiolo e colorino dimostra nel suo complesso una piacevole fattura. Le note legate al legno sono ben integrate al frutto di ciliegia matura. Bocca ancora scontrosa con una piacevole nota acido/sapida ed una persistenza sufficiente. 81/100

Orcia Rosso Atrivm 2005, Azienda Agricola Mencarelli Sonia – San Giovanni d’Asso
Sangiovese in purezza, Attacco floreale, ma sono soprattutto le note speziate, di buona finezza a connotare un quadro olfattivo aperto, franco, con qualche nota verde, che ritroviamo soprattutto durante l’esame gustolfattivo, dove la nervosità del tannino rende la beva in questo momento di non facile scorrevolezza. 82/100

Orcia Rosso Riguardino 2005, Azienda Agricola Riguardino – San Quirico D’Orcia
Da un connubio di sangiovese (70%) e merlot (30%), nasce questo campione dalla trama colorante rubina di buona trasparenza. Naso variegato, che affianca alle classiche note di ciliegia matura quelle balsamiche, di tabacco, fieno ed erbe aromatiche. Vivi i tannini, discreta la vena acida, ottima la sapidità con un finale di discreta lunghezza ed un centro bocca non ampio, ma ben fatto. 83/100

Orcia Rosso Sesterzo 2005, Azienda Agricola Poggio Grande – Castiglione d’Orcia
Fatica a disvelarsi completamente, ma le riduzioni iniziali lasciano presto spazio ad un bouquet sottile, di buona matrice e finezza. Incisiva la componente alcolica, ma non fuori registro. Frutti di bosco, chinotto ed una lieve nota di rosa appassita. Bocca di struttura, viva, con tannini decisi e di buona tessitura. Un sangiovese in purezza giovane. 84/100

Orcia Rosso Cenerentola 2005, Fattoria del Colle – Trequanda
Il vino dell’azienda di Donatella Cinelli Colombini riesce, tecnicamente ineccepibile, a coniugare bene, modernità e legame con il varietale. Toni dolci, ma mai stucchevoli, di prugna a ciliegia, spezie di buona fattura in quantità. Bocca meno aggressiva rispetto ad altri campioni dove il sangiovese primeggia, qui in mix con il foglia tonda (35%). Piacevole e scorrevole la beva. 84/100

Orcia Rosso Petrucci 2005, Podere Forte – Castiglione d’Orcia
E’ il classico vino in grado di spaccare la critica tra entusiasti e scettici: color rubino/porpora intenso, fitto e concentrato, gioca sulla potenza e la dolcezza del frutto, le note del legno e le sfumature di cioccolato e tabacco. Bocca densa, morbida, con tannini polverosi ed a tratti sin troppo asciuganti in questo momento, una persistenza di buona lunghezza ed un centro bocca non ampio come ci si aspetterebbe. Sangiovese in purezza di impatto, prodotto in 2000 esemplari, da verificare con attenzione a debito tempo, per tenuta ed evoluzione. Prezzo nettamente fuori dagli schemi rispetto alla media della zona (60 euro). 84/100

Orcia Rosso Il Pozzo, Azienda Agricola Il Pozzo – Castiglione d’Orcia
Un campione di razza, bella espressione del sangiovese, qui in purezza. Note animali, una paletta di spezie di ottima fattura, con chiodi di garofano, cannella e pepe e dei delicati spunti floreali, definiscono un’aromaticità fine e di carattere. Ottima l’acidità ed una struttura piena, avvolgente, ma ancora in fase di assestamento. Da aspettare. 85/100

Orcia Rosso 2006, Azienda Agricola Sasso di Sole – Torrenieri, fraz. di Montalcino
Situata a nord-est di Montalcino, l’azienda ha la peculiarità di avere vigneti appartenenti sia alla zona di produzione di Brunello e Rosso di Montalcino, che a quella di Orcia. Sangiovese in purezza, quindi, in questo caso. Piacevoli note di macchia mediterranea ben si fondono con spezie ed un frutto netto e di buona maturità. Potente in bocca, ancora scalpitante ed in evoluzione, mostra polpa, struttura ed un centro bocca convincente. 85/100

Orcia Rosso Assoluto 2005, Azienda Agricola La Canonica – San Giovanni d’Asso
Sangiovese con un 10% di colorino che, come tradizione e consuetudine vuole, dona, anche in questo caso, una veste più intensa e brillante al classico rubino tipico del sangiovese. Bella la maturità del frutto, fine e di buona espressività aromatica, insieme a note balsamiche e di rosmarino. Tannino di impatto, potente ed ancora molto aggressivo ora, ma che insieme alla bella sapidità ed alla vena acida, promette un’evoluzione da seguire con vivo interesse. 85/100

Orcia Rosso Terre dell’Asso 2005, Azienda Agricola La Canonica – San Giovanni d’Asso
Convincente anche il secondo campione presentato dall’azienda di proprietà di Donella Vannetti. Questa volta è la malvasia nera (30%) ad unirsi al sangiovese (70%). Veste più scarica nel colore, sempre rubino con venature già granate. Floreale il primo impatto, con piacevoli note di viola, lavanda e fiori secchi, insieme a note di frutti di bosco, di ribes, maturi e sottili insieme. In bocca emerge la verve potente sia nel tannino che nella freschezza, con un centro bocca di buona ampiezza e struttura, corrispondenza e lunghezza di bella fattura. 86/100

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