Le sfumature del Gavi - Acciaio, legno, cemento e anfora: stili di vinificazione a confronto

Le sfumature del Gavi - Acciaio, legno, cemento e anfora: stili di vinificazione a confronto

Degustando
di Sara Passerini
26 aprile 2022

Accompagnati da Aldo Fiordelli - giornalista enogastronomico -, e da Davide Ferrarese - agrotecnico e specialista in viticoltura - intraprendiamo un viaggio: la scoperta, il confronto e l’analisi, alla cieca, di otto Gavi vinificati e affinati in quattro diversi materiali, provenienti da diversi tipi di terreno e di diversi produttori, accomunati da un potente comune denominatore: l’eleganza del cortese.

“Gavi è un territorio, non è solo un vino”

C’è un lembo di terra, a sud del Piemonte, dove i venti marini provenienti dalla Liguria mitigano il clima montuoso dell’Appennino piemontese e concorrono senza esitazione alla salubrità delle uve. Quel territorio collinare tra Liguria e Lombardia, sebbene contraddistinto da una naturale biodiversità (vi si trovano boschi e prati), vede la coltivazione dell’uva fin dai tempi antichi: ne è prova un documento del 972 che testimonia l’affitto di un vigneto.
Dal 1856 c’è nota, nelle tenute di proprietà del marchese Cambiaso, La Centuriona e La Toledana di Gavi, di impianti specializzati a vitigno cortese, un vitigno dal grappolo grande e dalla buccia croccante, un’uva dal carattere neutro, quindi non aromatica, ma decisamente espressiva e in grado di dare vini con un ottimo potenziale evolutivo.

Maurizio Montobbio, Aldo Fiordelli e Davide FerrareseIl suolo che caratterizza i vini Gavi fa parte del bacino terziario del Piemonte che comprende varie formazioni stratigrafiche, è di origine marina e si divide in due principali tipologie, le terre bianche e le terre rosse.
Le terre bianche sono composte da marne argillose la cui origine marina si manifesta con l’abbondante presenza di fossili. Si trovano soprattutto nella parte meridionale, dove per vicinanza con l’Appennino le colline si fanno via via più ripide. Le terre rosse si chiamano così per il colore rossastro che le caratterizza e fanno subito pensare alla presenza del ferro: i terreni alluvionali hanno subìto processi che li hanno arricchiti di sostanze ferrifere. Si trovano per lo più a nord di Gavi, verso Tassarolo e Novi Ligure.

La Doc Gavi esiste dal 1974; poi, nel 1998, con l’abbassamento delle rese e l’innalzamento della qualità, diventa Docg e permette le tipologie: Fermo, Spumante, Frizzante. Dal 2010 viene inserita la tipologia Riserva.
I punti cardine della qualità sono l’utilizzo di uve cortese 100% del territorio designato, rese che non superano le 9,5 tonnellate per ettaro (6,5 per la riserva) e la vinificazione solo all’interno dei comuni della Docg. La denominazione del Gavi Docg comprende in tutto o in parte i territori di 11 comuni della Provincia di Alessandria: Bosio, Capriata d'Orba, Carrosio, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo.

La degustazione

Dopo una panoramica sulla storia e sul territorio del Gavi passiamo con entusiasmo al cuore dell’incontro: la degustazione. Ci vengono proposti otto vini alla cieca, e ignoti resteranno anche dopo l’analisi e il confronto: lo scopo è trovare il massimo comune denominatore, lasciarsi turbare dalle suggestioni di un vino, scoprire come la vinificazione, il terreno e l’età della vigna agiscono sul vitigno enfatizzandone alcuni aspetti o prediligendone altri. È un gioco e insieme un viaggio, un percorso collettivo sotto la guida dell’ottimo Aldo Fiordelli e con il supporto e la consulenza tecnica dell’agronomo Davide Ferrarese.

I primi sei vini sono della stessa annata, la 2020, un’annata caratterizzata da un inverno asciutto e poco nevoso, che ha anticipato il ciclo vegetativo della pianta. La primavera è stata buona, con la giusta quantità di piogge, l’estate è stata fresca, di rado con temperature oltre i 30 °C, settembre è stato un mese caldo e la vendemmia si è consumata nella seconda metà del mese. In cantina si è registrato un leggero calo delle rese rispetto all’anno precedente, ma una maturazione tecnologica equilibrata.

La prima coppia di vini: acciaio

Vino 1
Terreno calcareo-argilloso, altitudine circa 400 m s.l.m., zona dal clima fresco
È il primo giorno di primavera, e primavera troviamo nel primo calice dal pallido paglierino: una delicata sensazione di cipria impreziosita da perle floreali, un mazzetto di camomilla, qualche ginestra in fiore, un tratteggio d’albicocca, un accenno di alga. Il palato è secco, sottile, vibrante nei suoi facili richiami di tè alla pesca, con una trama gessosa che conduce alla chiusa puntuale.

Vino 2
Terreno calcareo-argilloso, altitudine 300 m s.l.m., esposizione sud/est – sud/ovest, zona dal clima più caldo
Un colore più intenso, riflessi più caldi. Di nuovo un floreale deciso prorompe felicemente ben stretto a tracce agrumate e a una pesca matura, sciroppata. Ricordi di ruggine, oli essenziali di limone, la foglia dell’albero del limone passata tra le dita. La bocca s’inebria della pesca, di nuovo un corpo sottile che parla chiaro, accenna alla croccantezza della mela verde, ci saluta con una caramella al limone e lascia dietro di sé ricordi di macchia mediterranea.

La seconda coppia di vini: cemento

Vino 3
Terre bianche, altitudine 350 m s.l.m., vigne di 35 anni, 12 mesi cemento
Paglierino dal naso timido, almeno in una fase iniziale, caratterizzato da refoli di lievito. L’esordio agrumato ci parla della parte bianca del limone, poi subentra un elemento gessoso, che ritroveremo anche al palato e note di tiglio, energiche ma fini. Al gusto irrompono la freschezza e la sapidità. Una matericità diversa rispetto ai vini precedenti, una cremosità tattile. Finale floreale e gessoso.

Vino 4
Terreno calcareo a base di tufo e sabbia, 250/300 m s.l.m., vigne di 50 anni, 3 mesi cemento
Riverberi verdolini a illuminare il paglierino dalla suggestiva fragilità. Un ventaglio ricco di suggestioni si fa strada a ogni olfazione: una bibita all’arancia, la ginestra, la susina, il cedro, la salicornia, fiori d’acacia. Un gustoso palato annuncia indizi di pesca tabacchiera e crema al limone, ricchezza palatale, acidità persistente e ben intrecciata al frutto, rintocchi sapidi e un retrogusto anacronistico d’acqua di rose.

La terza coppia di vini: anfora

Vino 5
Terre rosse, 300 m s.l.m., 9 mesi in anfora di terracotta con ripetuti bâtonnage delle fecce nobili
Giallo paglierino caratterizzato da una prevista torbidezza. L’impronta olfattiva è evoluta, richiama la mela ammaccata e matura: l’immancabile ginestra spicca in un bel mazzo di fiori secchi, il cedro candito s’intreccia a stille gessose e luppolate. Palato secco, asciutto, corposo, fresco, tinto da un’acidità masticabile e da un’astringenza accennata. Il setale è un lungo contrappunto di mandorla dolce e caramella Rossana.

Vino 6
Terreno calcareo argilloso, 300 m s.l.m.
Profilo cromatico dorato, lucente. Incastri perfetti d’agrume si snocciolano tra il bergamotto e la scorza del mandarino. In sottofondo un aristocratico bouquet di fiori secchi, un frutto a polpa gialla lavorato, una tensione quasi palpabile che invita al sorso. Bocca piena, molto fresca e ricca di aromi che si sprigionano e permangono: la zagara, la mandorla, le erbe aromatiche.

Gli ultimi due vini sono del 2018, un anno dall’andamento scostante e poco promettente, un inverno che è sembrato un autunno fino a febbraio e marzo, dove si è riscattato proponendo nevicate e basse temperature. Aprile piovoso nella prima metà, molto caldo nella seconda metà, maggio caratterizzato da perturbazioni prolungatesi fino alla metà di giugno quando è ripartito il caldo arrivando a massime giornaliere di 30 °C. A luglio temporali, agosto deludente. Settembre, per fortuna, ha mostrato un bel carattere estivo: temperature alte e sbalzi termici hanno salvato la qualità delle uve, ripristinando sanità e maturazione. Vendemmia nella seconda metà di settembre.

L’ultima coppia di vini: legno

Vino 7
Vigne di 45 anni, fermentazione e affinamento di 12 mesi in barrique di legno francese nuove e usate
Dorato splendente, debutta con la suggestione del nocciolo della pesca e del succo d’albicocca. Tratteggi di colla, uno schiocco di pasticceria e trame burrose. Nonostante il naso parli di grassezza, la sua qualità è fine, e vira raffinata sulle erbe aromatiche. Il sorso ha un ordito acido e sapido che si fa setoso e generoso. È un vino ambizioso, rotondo, di buon equilibrio; non manca la consapevolezza del legno, ma si fa ben sentire anche la presenza del frutto.

Vino 8
350 m s.l.m., terreni misti, vigne di 40 anni. Botte grande per il 30% delle uve, piccola per la parte rimanente, poi ulteriore affinamento in legno e acciaio
Filigrana giallo dorato, introverso l’annuncio dei profumi, sbuffi tostati, un frutto maturo che comincia con la pesca gialla e subito racconta di ananas e susina, poi cedro candito e stille di cera: di colpo la timidezza è scomparsa. L’assaggio si propone fresco e fruttato, sensazioni di pesca gialla e un richiamo al lievito spingono verso un epilogo lungo ma enigmatico.

L’incontro si conclude con qualche domanda, una su tutte ci permette di tirare le fila: dove si trova quindi il profilo del cortese, in quali calici? La risposta è solo suggerita, ognuno tragga le proprie considerazioni, certo è che acciaio e cemento si rivelano materiali meno invasivi, l’anfora è in piena sperimentazione e regala risultati e potenzialità tutte da scoprire, e il legno… il legno si sa, qualcosa prende e qualcosa dà.