ll mondo della biodinamica secondo Luca D’Attoma

ll mondo della biodinamica secondo Luca D’Attoma

Degustando
di Susi Bonomi
31 marzo 2011

Enologo toscano e consulente di varie aziende, è esperto di viticoltura biologica e da tempo convertito alla biodinamica. Un’intera serata dedicata ai vini biologici e biodinamici proposta dalla Delegazione AIS di Milano. La curiosità, tra i numerosi partecipanti che hanno aderito all’iniziativa, è palpabile. Proviamo a capire qualcosa di più con l’aiuto di Luca D’Attoma.

Luca D'AttomaAffascinato fin da piccolo dal mondo agricolo, D’Attoma comincia la sua avventura nel settore del vino diplomandosi alla scuola di Enologia e Viticoltura di Conegliano Veneto. Una partenza in salita, che lo porta ad apprendere i segreti della vitivinicoltura, consolidando nel tempo la sua formazione convenzionale con la passione di chi cerca sempre qualcosa di nuovo. Scopre che il segreto consiste nel mantenere inalterato l’equilibrio della natura e rispettare profondamente ciò che è vivo, terreno compreso. Intuisce che si deve assecondare la ricchezza del suolo riscoprendo tecniche tradizionali sia in vigna sia in cantina, aiutando la pianta a difendersi dalle insidie in modo naturale, con una produzione attenta e meno contaminata dalla chimica. Comincia così a offrire la sua esperienza come libero professionista anche ad aziende che mostrano il loro interesse per il vino biologico, sano, ottenuto coltivando il terreno senza l’uso di sostanze di sintesi o, peggio ancora, di OGM. Fra queste si colloca l’AZIENDA LE ROSE, recentemente certificata biologica, una piccola e giovane realtà situata nell’area dei Castelli Romani, zona ad altissima vocazione qualitativa non solo per i suoli di origine vulcanica, ricchi di potassio e fosforo, ma anche per un microclima ideale dovuto alla presenza dei laghi di Nemi e Albano. Dopo una campagna distruttiva durata anni, solo recentemente, con il recupero dei vitigni autoctoni, si cominciano a vedere i primi effetti positivi grazie alla ricerca della qualità. Con la consulenza di D’Attoma l’azienda ha puntato su fiano e verdicchio, vitigni storicamente presenti nel territorio, applicando i dettami della viticoltura biologica affiancata all’utilizzo di vasi vinari tradizionali e a una fermentazione ottenuta solo con lieviti indigeni. Il primo vino in degustazione è La Faiola, dal nome della collina su cui si trovano le vigne, frutto di un assemblaggio di fiano e verdicchio in parti uguali. Da un verdicchio colto abbastanza maturo, rinvigorito dall’acidità del fiano, si ottiene questo vino rotondo, maturato e affinato sulle fecce fini, in tini di cemento. Per favorire la longevità non viene svolta la fermentazione malolattica e neppure la stabilizzazione tartarica mediante refrigerazione. La seconda proposta è Colle dei Marmi, ottenuto da una selezione di fiano in purezza. In questo caso il vino matura e si affina sulle fecce fini sia in tini di cemento sia in botti di legno da 1000 litri esaltando la florealità, il fruttato e la mineralità. In un prossimo futuro si punterà sull’affinamento solo in legno, in botti da 15-20 hl, incrementando le qualità organolettiche che contraddistinguono Duemaniquesto vitigno dallo straordinario potenziale d’invecchiamento. Dieci anni fa D’Attoma capisce che è arrivato il momento di investire in un progetto tutto suo. Acquista un terreno incolto da più di 25 anni a Riparbella (PI) e insieme a sua moglie, Elena Celli, decide di intraprendere la difficile strada della biodinamica nell’AZIENDA DUEMANI. A differenza del metodo biologico, l’approccio biodinamico si basa anche su concetti filosofici come l’interazione fra uomo, energie cosmiche, terreno e piante. Ottenere un suolo con una buona fertilità mediante l’impiego di alcuni preparati ed eseguire le operazioni in vigna e cantina guidati dalle fasi lunari e dei pianeti, sono alcuni dei principi di questa filosofia. Non è forse quello che facevano i nostri nonni? Senz’altro, ma a seguire queste regole stavolta c’è chi conosce profondamente le tecniche di allevamento e produzione. Il risultato sono grandi vini che, a differenza di altri - tiene a sottolineare D’Attoma - profumano. L’applicazione pratica del metodo biodinamico consiste innanzitutto nella ricerca della vitalità del terreno attraverso la distribuzione di due preparati fondamentali: il cornoletame (500) e la cornosilice (501). Il 500 non è altro che un corno di mucca riempito di letame, messo a macerare sotto terra per sei mesi. Ciò che si ottiene è un prodotto ricchissimo di microrganismi che, posto in un contenitore di cemento con acqua purissima e mescolato per circa un’ora in senso orario e antiorario, si carica di energia. Il procedimento, noto come dinamizzazione, è seguito dalla distribuzione sul terreno, per caduta, nelle ore immediatamente successive all’attivazione. 150 g di cornoletame per ettaro sono le dosi erogate 3-4 volte l’anno. Esattamente con gli stessi principi si usa il 501, silice ridotta a polvere, che difende le piante dall’attacco delle malattie fungine e favorisce la capacità della pianta di Sommelier Ais Milanocatturare le radiazioni solari. In questo caso 4 g/ha, tre volte l’anno sono le dosi omeopatiche in grado di mantenere il vigneto in buona salute. Oltre a questo, tisane di camomilla per rinfrescare durante il caldo, infusi di ortica per la difesa dagli insetti e dai ragni, siero di latte per disinfettare i rami e il sovescio, tecnica che consiste nel coltivare orzo e favino tra i filari per poi interrarli favorendo l’apporto di azoto al terreno. Accanto a ciò l’impulso dato dai movimenti planetari fa sì che le diverse operazioni, compiute in momenti ben precisi, siano efficaci. A dimostrazione della bontà del metodo non possiamo far altro che assaggiare i vini portati in degustazione: Altrovino (cabernet franc 50%, merlot 50%) e Duemani (cabernet franc in purezza), che prende il nome dall’azienda di famiglia. Il primo è vinificato, maturato e affinato in tini di cemento, mentre il secondo è vinificato in tini troncoconici di rovere da 30 hl, con un affinamento minimo di 12 mesi in barrique di rovere francese (60% nuove, 30% e 10% di secondo e terzo passaggio rispettivamente). La scelta del cabernet franc quale vitigno principe dell’azienda non è avvenuta a caso. Innanzitutto la costa toscana non permette al sangiovese, vitigno autoctono per eccellenza, di esprimersi al meglio. Inoltre, questa è la zona del Sassicaia, che con il suo assemblaggio di cabernet sauvignon e cabernet franc ha reso famoso il vino italiano nel mondo. Infine, sui terreni della proprietà costituiti da 40-45% di argilla, 10-15% di sabbia, 10-15% di limo e ciottoli, a causa del pH molto alto Duemaniper la presenza di carbonato di calcio, il cabernet sauvignon avrebbe dato un vino troppo tannico, squilibrato, mentre si trova perfettamente a suo agio il cabernet franc, non a caso già presente ai tempi di Caterina de’ Medici. Questo vitigno, che si accoppia armonicamente con il merlot dando vini freschi da bere giovani, riesce soprattutto a esprimersi in solitudine, con eleganza ed equilibrio fin dai primi anni di affinamento, per rivelare il suo magnifico potenziale nel lungo periodo. Alla fine abbiamo capito che quella biodinamica è un’agricoltura impegnativa, piena di rischi e ancora tutta da scoprire, ma che dà prodotti straordinari. Una soddisfazione per D’Attoma, che porta avanti quest’obiettivo conscio della bontà dei suoi vini, apprezzati in Italia e all’estero.

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