Merera, l’autoctono che cerca spazio nella Bergamasca

Merera, l’autoctono che cerca spazio nella Bergamasca

Degustando
di Alessandro Franceschini
06 novembre 2023

Se ne erano perse le tracce negli anni ’70, poi il lavoro di recupero di Castello di Grumello l’ha riportato alla luce. Oggi cresce l’interesse per la merera, per gli stessi motivi per i quali era stata abbandonata.

Un tempo lasciata in disparte, e praticamente abbandonata, perché troppo acida e poco zuccherina, oggi, per questi stessi motivi, diventata particolarmente interessante, se non decisamente attuale e contemporanea. Scherzi del global warming, verrebbe da dire, ma non solo. 

Siamo in Valcalepio e il vitigno protagonista di questa nuova rinascita porta il nome di merera. «È un’uva abbastanza selvaggia, spettinata, come spesso capita con le varietà autoctone, perché nel tempo non è stata praticamente addomesticata e selezionata» ci spiega Paolo Zadra durante un recente incontro con l'azienda. Lui è l'enologo di Castello di Grumello, storica realtà di questo lembo di territorio bergamasco situato ai piedi delle prime propaggini collinari delle Orobie e da un anno di proprietà degli imprenditori Angelo e Daniel Gotti, con la direzione di Stefano Lorenzi.

Poco zucchero, poco alcol e ottima acidità

Non è più così raro ascoltare storie di varietà che hanno rischiato prima l’estinzione e poi, complici una serie di fattori – a partire dalla riscoperta dell’interesse per vecchi vitigni locali – sono riuscite a tornare alla ribalta conquistando prima l’interesse di qualche produttore e poi alla fine anche quella dei consumatori. In questo caso siamo ancora agli albori di qualcosa che potrebbe dar luce, in un prossimo futuro, a un movimento più grande di quello attuale, ma i presupposti sembrano esserci tutti.
«Assomiglia alla barbera come dimensione dell’acino, ma anche alla bondola, un vitigno svizzero un tempo molto diffuso nel Canton Ticino» continua l’enologo. Le somiglianze possono continuare anche con altre varietà, come il cabernet franc o il moscato di Scanzo, altri due vitigni con i quali la merera in passato veniva confusa. Ma al di là di origini e similitudini, il rinnovato interesse nato per quest’uva deriva soprattutto dalla grande presenza di acidità al suo interno, dal fatto che non dà origine e vini ricchi di alcol e che è particolarmente resistente, potremmo quasi dire resiliente, alle avversità esterne. Tutte doti che oggi vanno incontro alla ricerca di varietà che sappiano controbattere il cambiamento climatico in atto, in grado di mettere sotto stress varietà, spesso alloctone, un tempo molto ricercate e che proprio nel territorio bergamasco hanno trovato spazio da  tempo, tanto da essere stabilmente incluse nel disciplinare di produzione. 

Un progetto in divenire e crescita

Della riscoperta, nella Bergamasca, di varietà autoctone, compresa la merera, ne parleremo anche sul prossimo numero di Viniplus di Lombardia in uscita nel mese di novembre. Castello di Grumello è certamente stato pioniere della riscoperta della merera. Il padre di Carlo Zadra, Paolo, l’aveva già salvato coltivandolo in un campo sperimentale. Nel 2012 viene recuperato e fatto un sovrainnesto su viti di merlot. La prima vendemmia è del 2014, annata problematica, mentre in commercio si parte l’anno successivo. Solo mezzo ettaro di merara trova spazio in questo momento in un “brolo”, una sorta di clos, all’interno del castello, ma nella primavera del 2024 verranno piantate altre 1800 piante sviluppate dal vivaio Vitis di Rauscedo.

Le caratteristiche nel bicchiere

In commercio, in questo momento, si trova l’annata 2021. Circa 2500 bottiglie prodotte, 12,5% di alcol. Il nome del vino, Medera, finisce sotto il cappello dell’IGT Bergamasca. Allevamento a spalliera potata a guyot basso, terreni di argilla con esposizione a est intorno ai 200 metri di altitudine, raccolta nella seconda metà di settembre, tradizionale diraspapigiatura delle uve, fermentazione a temperatura controllata (26-28°C) in inox, macerazione di 10 giorni con follature, fermentazione malolattica sempre in acciaio inox così come la maturazione, e infine l’imbottigliamento. Nel bicchiere? Il colore è un rubino non particolarmente ricco di materia colorante, l’incedere olfattivo alterna note selvatiche di piccoli frutti, come il ribes e le more, a spezie, in particolare il pepe bianco, e un tocco balsamico molto rinfrescante. Oltre ad una acidità viva, certamente vibrante, è il tannino a catalizzare il sorso, in particolare la sua grana, non setosa e aggrazziata, quanto sbarazzina, un po’ aggressiva, quasi rustica, ma che invita con grande piacere all’abbinamento gastronomico.