Oltre la Nebbia. Il Bello dell'altro

Oltre la Nebbia. Il Bello dell'altro

Degustando
di Davide Bonassi
05 novembre 2009

Vini di Vignaioli è una manifestazione che ti porta ad esplorare una faccia diversa del mondo del vino. Non produttori di vino ma vignerons, gente che ti mostra le mani e ti dice...

Domenica 1 novembre parto di buonora alla volta di Fornovo di Taro. Da Cremona a Parma trovo nebbia, come nella migliore tradizione degli autunni padani. Penso che oggi la nebbia ci stia proprio bene, crea fisicamente un diaframma tra la situazione di partenza e la dimensione in cui sto entrando. Vini di Vignaioli è una manifestazione che ti porta ad esplorare una faccia diversa del mondo del vino. Non produttori di vino ma vignerons, gente che ti mostra le mani e ti dice: « Ce sont les mains qui travaillent à la vigne, les mêmes qui font le vin de la cave à fin. » (Queste sono le mani che lavorano in vigna, le stesse che fanno il vino in cantina. [Francis Boulard]). Il logo della rassegna è altrettanto significativo: un uomo stilizzato a cui si addiziona un grappolo, dando come risultato un bicchiere (di vino). Creata da Christine Cogez-Marzani ( www.vinidivignaioli.com), la rassegna raduna da otto anni a questa parte, sempre agli inizi di novembre, vignaioli di varie sigle del mondo del vino bio e biodinamico (Associazione VinNatur, Gruppo Vini Veri, ma non solo), che preferirei comunque definire alla maniera del Niederbacher “ecologici”. Personaggi incamminati lungo una varietà di percorsi che si trovano però capaci di fare comunità sotto il tendone di Fornovo. Che sia una manifestazione sui generis lo capisco subito dal rapporto diretto, immediato, che instauro approcciandomi ai tavoli delle varie aziende presenti. Un semplice tavolo di plastica da giardino dietro il quale trovo persone con una luce diversa negli occhi, che subito ti parlano del loro sogno. Tutti ti porgono un bicchiere di vino quanto meno originale, frutto della combinazione ora di materiale genetico particolare, ora di terroirs unici, con il loro operare in maniera estrema in vigna e in cantina. Gli esiti qualitativi sono vari, spesso spiazzanti, a volte difficili, mai banali. Lavorare senza solfiti, con lieviti indigeni, con macerazioni lunghe, se non addirittura lunghissime, con rifermentazioni in bottiglia naturali è spingersi verso estremi enologici, con risultati non sempre armonici, equilibrati o perfetti (rispetto al metro a cui siamo abituati…).

Ma si sa che l’arte è anche eccesso, e negli occhi di questi espositori guizza una scintilla creativa. Mi pare per un attimo di vedere alzarsi tra la folla le volute di fumo dell’immancabile stortignaccolo accesso tra le labbra di Mario Soldati, impegnato a raccogliere interviste tra i partecipanti per un documentario che di li a sera andrà in onda sulla RAI (probabilmente RAI 3, a notte fonda…). Mi pare di veder caracollare tra le postazioni Gino Veronelli, festeggiato ad ogni passo, travolto da abbracci e strette di mano calorose. Molti dei presenti lo ammirano per l’opera, che l’ha visto impegnato tutta una vita, di difesa dei piccoli, intesi non come minori ma come autentici, artigianali, rispetto ai grandi (“Il peggior vino del contadino è migliore del miglior vino industriale”, amava ammonirci). Mi trovo quindi ad assaggiare i vini di Alberto Carretti, bianchi ardimentosi a base di Malvasia di Candia, frutto di macerazioni spinte a oltre 100 giorni; a scoprire la tradizione piacentina per i frizzanti testimoniata con assoluta fedeltà ai modelli del passato da Croci; a capire attraverso un Riesling 1998 VT di Cristian Binner perché Kaefferkopf è stato aggiunto come 51° lieux-dits classificato come Grand Cru in terra alsaziana. Mi assaggio con gusto il piculit di Sara Marco e non mi faccio scappare i due aleatici presenti, quello di Gradoli proposto da Le Coste e quello di Capraia di La Piana. Scopro la tenace difesa del Valpolicella e della Valpolicella, che si spinge fino al rifiuto di produrre Amarone, operata da Villa Bellini a Castelrotto. Mi capita pure di imbattermi in un piccolo produttore franciacortino, Il Pendio, e rimanere stupito dalla qualità delle loro bollicine e dal carisma del patron Gigi Balestra, fino a quel momento a me sconosciuto, pur abitando a pochi chilometri di distanza dalle loro vigne. E di molti altri ancora potrei scrivere… Riprendo la strada di casa e rifletto che oggi più che mai nel mondo del vino bisogna essere open-minded, cercare di andare oltre la nebbia che ci confina nell’ovvietà. Chapeau!

PS Un grazie sentito ad Umberto Stefani, presente oltre che fisicamente anche sui banchi della rassegna con la sua ultima fatica letteraria “Ventuno Vignaioli” (Edizioni L’Obliquo, 2009). Il suo libro esposto sui tavoli dei vignaioli dai lui raccontati ha fatto da bussola, da ideale fil rouge, alle mie degustazioni.

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