Terzo Simposio Internazionale sul Sangiovese - II Parte

Terzo Simposio Internazionale sul Sangiovese - II Parte

Degustando
di Camilla Guiggi
17 dicembre 2008

I consumatori conoscono il sangiovese o il vino degli uvaggi? Si possono ricavare vini eccellenti se vinificato in purezza? Risponde il Prof. Fregoni al simposio sul Sangiovese...

Tema centrale del simposio è il Sangiovese, ed è il Prof. Fregoni a prendere per primo la parola e introdurci a questo vitigno. Storicamente il Sangiovese è sempre stato considerato un vitigno da uvaggio, tanto è vero che fa parte del disciplinare di circa novanta fra DOCG e DOC. Inoltre è considerato complementare in numerose altre DOC e svariate IGT.

Se si esamina l’impiego del Sangiovese negli uvaggi toscani si deduce che fino al 1700 circa il Canaiolo nero era il vitigno principale cui seguivano Mammolo, Marzemino, Canaiolo bianco ed Abrostine, con l’uso del Trebbiano e della Malvasia , quest’ultima usata soprattutto nel governo. E’ solo a partire dal 1732, all’epoca del Barone Bettino Ricasoli, che la percentuale del Sangiovese aumenta sempre più, sino a raggiungere l’utilizzo in purezza nel dopoguerra con l’affermarsi del fenomeno Brunello di Montalcino e ai giorni nostri con il Chianti Classico.

La nascita dei Super Tuscan apre la strada a nuovi partner, di origine internazionale, per il Sangiovese, ossia Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Petit Verdot, Pinot nero, Grenache ed altri.

Il Sangiovese è notoriamente un vitigno fragile e di composizione antocianica variabile, specie se coltivato in alcuni terroir non vocati alla qualità. Per questa ragione si è sempre ricorso all’integrazione dell’uvaggio.

Attualmente, per il contenuto di antociani, conosciamo alcune ragioni di sensibilità del Sangiovese nei confronti delle antocianidine, distinguibili in sensibili all’ambiente e più stabili al variare del terroir. Nei vini a base Sangiovese il 75-83% circa è rappresentato da antocianidine sensibili all’ambiente e il 17-25% circa da antocianidine più stabili al terroir. Ne consegue che i partner ideali del Sangiovese dovrebbero essere quelli più dotati di antocianidine trisostituite ed acilate (più stabili), mentre poco adatte risulterebbero le varietà ricche di antocianidine disostituite (meno stabili). Nel primo gruppo figurano vitigni italiani come il Montepulciano e la Barbera. Sfortunatamente , seguendo un po’ la moda, si preferiscono vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon il Merlot ed altri.



A questo punto si impongono due domande:

1. i consumatori conoscono il Sangiovese o i vini degli uvaggi?

2. il Sangiovese può fornire vini di qualità eccellente se vinificato in purezza?



Alla prima domanda si può rispondere che i vini con Sangiovese in uvaggio sono la prevalenza dei vini proposti sul mercato e pertanto la stragrande maggioranza dei consumatori conosce Sangiovese “tagliato” con altri vitigni. Del resto è stato dimostrato che questo è un fenomeno storico. Infatti, escludendo il Brunello di Montalcino, in Toscana, e non solo, il Sangiovese è sempre stato usato in uvaggio. In primis nella formulazione del Chianti di Bettino Ricasoli: Sangiovese, Colorino e Canaiolo nero. La tradizione latina ha sempre privilegiato gli uvaggi e non vini da vitigni in purezza, caratteristica propria in particolare dei paesi anglofoni.

Per rispondere alla seconda domanda occorre invece chiarire che, salvo eccezioni, tutte le varietà vinificate da sole hanno alcuni problemi (basti pensare al Nebbiolo).

Per ottenere un grande Sangiovese in purezza oltre ad un terroir adeguato si deve far attenzione al clima. Le uve del Sangiovese devono maturare lentamente, in luoghi dove nella fase finale della maturazione si abbiano temperature elevate di giorno e fresche di notte. Lo stesso Brunello è più intenso come colore se coltivato nella parte alta esposta a Est di Montalcino, mentre se coltivato a basse altitudini e in zone calde risulta più scarico, più strutturato, meno morbido, di minore finezza e aromaticità.

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