VinNatur: Villa Favorita

VinNatur: Villa Favorita

Degustando
di Camilla Guiggi
16 aprile 2009

Più di novanta vignaioli hanno presentato i loro vini nella cornice di Villa Favorita il 5 e 6 Aprile. Il reportage di Camilla Guiggi, con le degustazioni di Barbacarlo e degli Champagne prodotti dai viticoltori VinNatur

Nella splendida cornice di Villa Favorita, domenica 5 e lunedì 6 aprile 2009, si è svolta la sesta edizione della manifestazione internazionale sui vini naturali promossa da VinNatur. Villa Favorita è una tra le più grandi manifestazioni indipendenti, che ormai da anni riunisce produttori italiani, francesi e sloveni. Più di novanta i vignaioli che hanno presentato in degustazione al pubblico i loro vini ottenuti nel pieno rispetto del territorio e del vitigno da cui provengono. Questa manifestazione, infatti, si prefigge l’obiettivo di sensibilizzare sempre di più il consumatore, ma prima di tutto anche il maggior numero di produttori, verso una via più sincera e naturale.
Presenti anche aziende produttrici di alimenti di alta qualità e rispetto di tradizioni gastronomiche.
Lunedì 6 si sono svolte anche due degustazioni molto particolari condotte in maniera magistrale dal giornalista e critico Sandro Sangiorgi; si tratta del Barbacarlo di Lino Maga (Oltrepò Pavese) e degli Champagne prodotti dai viticoltori di VinNatur.
L’intero ricavato delle due degustazioni, unito al ricavato netto dell’intera manifestazione, sarà poi devoluto interamente in beneficenza. L’associazione VinNatur, infatti, sta sostenendo una raccolta fondi destinata a una comunità in Costa D’Avorio; si tratta del “Progetto Alépé” che suor Tiziana e la comunità di Monticello di Fara stanno portando avanti da molti anni.

La prima degustazione è quella del Barbacarlo in cui vengono presentate sei annate: 1983, 1989, 1990, 1996, 1997, 2001.
A coadiuvare Sandro Sangiorgi è presente, il figlio di Lino Maga, Giuseppe.
Prima di iniziare la degustazione, sembra doveroso fare una piccola introduzione su questo vino il cui nome è già “leggenda”. Il Barbacarlo è l’espressione di un territorio e il suo nome è un omaggio allo zio Carlo Maga (in dialetto genovese zio si dice barba) che fu il primo a produrre questo vino. Antiche sono le origini del vigneto, che risalgono al 1886, come testimonia, il mappale catastale del Comune di Broni, oggi riprodotto anche in etichetta. Lunga fu la battaglia che Lino Maga ha dovuto sostenere per difendere il nome del suo vino, ormai marchio registrato, per non farlo diventare la denominazione di un territorio. Il cavalier Lino Maga da quattro ettari di vigneto produce circa 10'000 bottiglie l’anno e suole dire che “il suo vino è protetto dall’Arcangelo Gabriele”.
Le uve del Barbacarlo sono quelle classiche dell’Oltrepò Pavese, un assemblaggio di Croatina al 50%, di Uva Rara al 30% e di Vespolina al 20%.
Il terreno è tufoso ed impervio, con esposizione a sud-ovest che gli permette di ricevere il sole tutto il giorno. Le lavorazioni in vigna sono effettuate manualmente e non sono usati prodotti chimici di nessun genere. La raccolta, che avviene quando le api si posano sugli acini, prevede un’attenta selezione dei grappoli. In cantina, l’uva è pigiata e fatta fermentare con macerazione in vecchie botti di rovere. La svinatura avviene dopo 7-8 giorni e in seguito si effettuano periodici travasi per la decantazione naturale. Ad Aprile-Maggio si procede all’imbottigliamento; le bottiglie sono lasciate orizzontali quaranta giorni, poi raddrizzate e messe alla vendita dopo quattro mesi.
Di anno in anno il Barbacarlo può manifestare diverse caratteristiche; può presentare una vivace schiuma così come presentare una bollicina meno spinta. Questo perché per tradizione è imbottigliato presto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’annata.
Con queste premesse la degustazione ha incuriosito e invogliato un gran numero di partecipanti. Al contrario di quanto ci si aspettasse la prima bottiglia a essere servita è stata una Jeroboam del 1983, una scelta di Sangiorgi. Questo perché si è voluto far apprezzare prima le delicate sensazioni delle vecchie annate per concludere con la vigoria e le nette sensazioni delle ultime.
Ma come si è presentato il millesimo 1983? La prima cosa che colpisce è l’etichetta della bottiglia con la scritta a mano “rimbottigliato il 24-02-2003 per gli amici”. Vino di color rosso granato tendente all’aranciato, con lacrime che fanno fatica a staccarsi dal bicchiere. In bocca l’acidità è ben presente con un residuo zuccherino che sfiora l’abboccato. La cosa che colpisce in un vino di ventisei anni, nato per essere bevuto giovane, è l’alternanza di sensazioni evolute, come i profumi terziari, e di alcune sensazioni di frutta fresca.
Che cosa dire poi del 1989 con la particolare presenza ancora di CO2….A seguire il 1990, grande annata, con note terziarie che vanno dal tartufo al cacao ed un’asprezza definita da Sangiorgi: “Non ignorante, riconducibile ad un’eterna malolattica in bottiglia”.
Nelle ultime tre annate in degustazione 1996, 1997 e 2001 si ritrova un Barbacarlo con sensazioni più coerenti con se stesse, quindi più fruttate anche se il naso risulta sempre ampio e lascia spazio ad un grande ventaglio di profumi.

La seconda degustazione riguarda lo Champagne, un vino e una regione simbolo della Francia.
Sandro Sangiorgi definisce: “Champagne, Il sacrificio di un territorio” prendendo spunto dal titolo del libro di Samuel Cogliati. Questo perché il grande successo dello Champagne ha fatto sì che produttori e grandi maison, con lo scopo di fidelizzare il consumatore, creino un prodotto sempre uguale a se stesso, anno dopo anno, senza curarsi degli equilibri ambientali, territoriali e culturali; fingendo di non vedere la progressiva perdita di varietà e di identità. Fondamentale diventa il ruolo del dosage, paragonato alle rifiniture di sartoria: il colpo conclusivo d’ago e di filo per dare contegno a un tessuto già dotato di una propria personalità.
Secondo Sangiorgi un tempo i vini millesimati uscivano solo quando la vendemmia era davvero eccellente, da diversi lustri queste selezioni speciali escono ogni anno, sostituendo gli Champagne “base” per elargire un minimo di qualità. Tale strategia, priva di etica e di lungimiranza, ha emarginato concetti come “luogo” e “custodia”.
Ci sarebbe la forza dei 15mila proprietari di vigneti, i celeberrimi récoltant, ma il reddito incredibile su cui hanno contato in questi anni non li ha spronati a stare in prima linea contro il disegno produttivo imperante. La speranza è riposta su pochi esempi virtuosi ai quali preme sia la condizione del proprio luogo di lavoro, sia la possibilità che il terroir continui a donare l’impronta che lo contraddistingue. Salvini, nel suo libro, sostiene che la differenza tra lo Champagne di una maison, ottenuto dalla virtuosa congiunzione delle tre zone, e quello di un récoltant, generato da un singolo vigneto, è paragonabile alla prova di un’orchestra sinfonica rispetto alla performance di un solista.

La degustazione dei vini di due récoltant si è svolta alla cieca per evitare condizionamenti.
Gli Champagne in degustazione sono stati:

  • Champagne Geoffroy con i suoi “Empreinte” millesimati, 1988 e 1993 (80% Pinot Nero e 20% Chardonnay) ed un “Volupté” millesimato 1996 (80% Chardonnay and 20% Pinot Nero)
  • Champagne Raymond Boulard con due millesimati Brut 1998 ,1999 e un rèserve brut nature 2006.

    Il primo a essere servito è stato il millesimo 1988 di Geoffroy, sboccato da circa due settimane. Che cosa dire di uno Champagne di ventuno anni. Acidità ben presente, buona sapidità…al naso note ossidate che virano verso gli agrumi.
    Gli Champagne di Geoffroy, con prevalenza Pinot noir hanno una matrice ossidativa comune, ma anche nel “Voluptè”dove prevale lo chardonnay si può riconoscere la mano del produttore.
    Al contrario gli Champagne di Boulard sono prodotti più “facili”, profumi freschi ed accattivanti che vanno ad ampliare il già importante bouquet olfattivo. Non per questo motivo ci troviamo di fronte a prodotti “banali”, anzi sono Champagne che potremmo definire immediati piuttosto che meditativi. Prodotti che reggono bene l’invecchiamento anche dopo la sboccatura come il millesimo 1998, sboccato circa sei anni fa, che non ha perso le sue note di freschezza e piacevolezza.

    Santè
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