Leggere l'etichetta: le indicazioni facoltative - seconda parte

Leggere l'etichetta: le indicazioni facoltative - seconda parte

Diritto diVino
di Paola Marcone
07 aprile 2021

Spesso troviamo in etichetta termini come “Classico”, “Superiore”, “Riserva”, “Vigna”. Quali informazioni ci offrono e quando è possibile menzionarli?

Abbiamo dedicato lo scorso approfondimento alle indicazioni relative all’annata di produzione e alle varietà di uva che è possibile inserire in etichetta. È tempo ora di vedere come la normativa italiana regolamenta nello specifico altri termini facoltativi che il Legislatore europeo permette di dettagliare in modo più stringente da parte dei singoli Stati membri.

Se, infatti, per i vini diversi dagli spumanti anche l’Italia prevede la facoltà di indicare il residuo zuccherino (che è obbligo, invece, per gli spumanti) e parimenti facoltativo, per tutte le diverse tipologie di vino, è l’inserimento in etichetta del simbolo dell'Unione che indica la DOP o la IGP, quando si tratta di vini a classificazione protetta la normativa nazionale detta apposite disposizioni per regolamentare le specificazioni e menzioni, che forniscono indicazioni su invecchiamento e metodi produttivi nonché sui luoghi di provenienza delle uve.

Alcuni termini sono concessi solo nell’etichettatura dei vini DOP (quindi DOCG e DOC), altri solo in quella dei vini DOCG, altri ancora possono essere indicati sia per i vini DOP che IGP. 

In tutte le ipotesi, comunque, tranne che per il termine “Vigna”, è necessario che i disciplinari di produzione ne ammettano espressamente l’utilizzo. Non è sufficiente, quindi, che il Legislatore abbia regolamentato astrattamente la facoltà di inserire in etichetta determinati termini, ma è indispensabile una specifica previsione del disciplinare di produzione che regoli le modalità di utilizzo, eventualmente anche più restrittivamente di quanto individuato in generale dalla normativa. 

In questo approfondimento vediamo, dunque, quali informazioni utili forniscono a chi si accinge alla degustazione le indicazioni facoltative ammesse per i soli vini DOCG o DOC. 

“CLASSICO” e “STORICO”

 - La specificazione “Classico” è riservata ai vini non spumanti;

 - La specificazione “Storico” è riservata ai vini spumanti ma i disciplinari che prevedono l’utilizzo di questa indicazione si contano praticamente sulle dita di una mano: uno dei pochi ad averla introdotta è stato ultimamente il disciplinare dei vini Piemonte DOC ma solo per lo spumante Piemonte Cortese dell’Unità Geografica Aggiuntiva “Marengo”. In ogni caso non bisogna confondere l’indicazione facoltativa “Storico” con termini meramente descrittivi utilizzati da alcuni produttori per i propri spumanti come, per esempio, “cuvée storica”.

Sia “Classico” che “Storico”, infatti, sono termini che individuano vini prodotti con le uve della zona di origine più antica, ai quali può essere attribuita una regolamentazione autonoma anche nell’ambito della stessa denominazione. Spesso infatti i vini con questa indicazione devono rispettare produzioni, metodi di vinificazione, tempi di affinamento o anche modalità di presentazione disciplinate diversamente che per i vini delle altre zone della denominazione. 

Parlando per esempi: la produzione massima di uva per ettaro dei vigneti destinati alla produzione dei vini Soave Classico DOC è di 14 tonnellate per ettaro contro i 15 dei vini del Soave DOC e il titolo alcolometrico volumico minimo deve essere di 10 a fronte di 9,5; le operazioni di vinificazione delle uve devono aver luogo unicamente nell'ambito della zona indicata come la più antica e i vini devono essere immessi al consumo dopo il 1° febbraio dell’anno successivo alla vendemmia anzichè dopo il 1° dicembre; le etichettature dei vini Soave Classico DOC possono contenere le indicazioni tendenti a specificare l’attività agricola dell’imbottigliatore, quali “viticoltore”, “fattoria”, “tenuta”, “podere”, “cascina” ed altri termini similari mentre questo non è consentito per i vini del Soave DOC.

Comunque sia il termine “Classico” (e “Storico”) individua peculiarità dei vini prodotti con uve della zona più antica della denominazione e se moltissimi sono i disciplinari che hanno previsto questa indicazione facoltativa (per citarne qualcun altro oltre il Saove DOC: l’Amarone della Valpolicella DOCG, il Soave Superiore DOCG, il Valpolicella DOC, il Cirò DOC, il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC) deve ricordarsi come il Chianti Classico pur essendo la zona storica del Chianti è ormai da decenni un’autonoma DOCG e il Legislatore nazionale ancora oggi ribadisce che in tale area più antica non possono essere impiantati o dichiarati allo schedario viticolo vigneti per il Chianti a DOCG.

“RISERVA”

La menzione “Riserva” è attribuita ai vini che siano stati sottoposti a un periodo di invecchiamento, compreso l’eventuale affinamento, non inferiore a:

a) due anni per i vini rossi;
b) un anno per i vini bianchi;
c) un anno per i vini spumanti ottenuti con metodo di fermentazione in autoclave Martinotti (Charmat);
d) tre anni per i vini spumanti ottenuti con rifermentazione naturale in bottiglia.

In caso di taglio tra vini di annate diverse, l’immissione al consumo del vino con la menzione “Riserva” è consentita solo al momento in cui tutta la partita abbia concluso il periodo minimo di invecchiamento previsto dal relativo disciplinare di produzione.

Per quanto riguarda la menzione “Riserva”, tanti sono i disciplinari di produzione che hanno introdotto la possibilità di inserire il termine in etichetta e spesso si è anche provveduto a regolamentare la materia in modo più restrittivo della norma generale, allungando di molto i tempi di invecchiamento. Molteplici sarebbero gli esempi possibili in tal senso: il disciplinare del Gattinara DOCG, giusto per citarne uno, prescrive un invecchiamento complessivo di 35 mesi di cui 24 in legno, mentre il Gattinara Riserva DOCG vede dilatarsi questi periodi rispettivamente a 47 e 36 mesi. 

In entrambi i casi parliamo di ben oltre il termine minimo di 2 anni previsto dal Legislatore per i vini rossi, ma a prescindere da quanto lungo sia il termine di invecchiamento previsto dal disciplinare, è evidente come l’indicazione “Riserva” riveli tutta la sua importanza ponendo fin da subito l’attenzione del degustatore sulla valutazione delle caratteristiche organolettiche del vino legate all’invecchiamento pur senza conoscere null’altro del vino che ci si accinge a bere.

“SUPERIORE” 

La menzione “Superiore” (fatto salvo quanto previsto per le denominazioni preesistenti, come sottolinea il Legislatore del 2016) e’ attribuita ai vini aventi caratteristiche qualitative piu’ elevate, dovute a una regolamentazione piu’ restrittiva che preveda, rispetto alla tipologia non classificata con tale menzione, una resa per ettaro delle uve inferiore di almeno (anche in questo caso i disciplinari possono essere ancor più limitanti) il 10%, nonché:

a) un titolo alcolometrico minimo potenziale naturale delle uve superiore di almeno 0,5% in volume;
b) un titolo alcolometrico minimo totale dei vini al consumo superiore di almeno 0,5% in volume.

Se un Cesanese del Piglio DOCG, pertanto, avrà rese per ettaro di 11 tonnellate e un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 12,00%, un Cesanese del Piglio DOCG ma Superiore dovrà essere prodotto da rese per ettaro pari a 9 tonnellate e un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 12,50%.

Quando si parla dell’indicazione “Superiore”, quindi, dovrà sicuramente tenersi conto della maggiore potenza alcolica e strutturale del vino e questo sia al fine di una corretta valutazione degustativa che per individuare abbinamenti gastronomici il più mirati possibile.

Proprio per queste caratteristiche dei vini contraddistinti dal termine “Superiore”, tra l’altro, il Legislatore nazionale ha recentemente chiarito, pur facendosi salve le denominazioni preesistenti alla nuova disciplina, come la menzione “Superiore” non può essere abbinata a quella “Novello” (che è prevista oltre che per i DOP anche per i vini a IGP). Vedremo, infatti, nell’approfondimento dedicato a quest’ultimo termine che i presupposti delle due indicazioni sono del tutto antitetici.

Come nota a margine, comunque, deve ricordarsi che il Valtellina Superiore DOCG non rientra tra le denominazioni che hanno previsto l’indicazione facoltativa di cui si discute, perché in questo caso il termine superiore è esclusivamente un richiamo di tipo geografico, facendo riferimento all’areale della valle (la parte superiore appunto) individuata quale zona di produzione delle uve alla base della denominazione.

VIGNA

La menzione “Vigna” o i suoi sinonimi, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, può essere utilizzata solo se i vini sono stati ottenuti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo o al nome tradizionale e sempre che sia rivendicata nella denuncia annuale di produzione delle uve; la vinificazione poi deve essere effettuata separatamente da quella relativa ad altre uve presenti in azienda. 

Le Regioni, inoltre, devono predisporre un apposito elenco pubblico, che può essere gestito anche dai Consorzi di tutela, da cui si evinca quali siano le zone che corrispondano a “Vigna”. 

Il termine “Vigna”, quindi, indica una ben delimitata area geografica da cui provengono le uve utilizzate per la produzione di un determinato vino e, almeno in apparenza, la definizione potrebbe sembrare simile al concetto di Unità Geografica Aggiuntiva, che il Legislatore ha definito quale area delimitata all’interno di una denominazione di origine e che può corrispondere a comuni, frazioni, zone amministrative o aree geografiche locali. Anche i vini di una Unità Geografica Aggiuntiva, poi, devono essere vinificati separatamente e appositamente rivendicati nella denuncia annuale di produzione delle uve.

A ben vedere, tuttavia, le differenze con l’indicazione “vigna” sussistono.

Se le Unità Geografiche Aggiuntive devono, infatti, essere elencate in apposite liste allegate ai disciplinari, aggiungendosi alla denominazione principale e indicandone quindi un’area più ristretta, questo non si verifica per l’indicazione “Vigna” perché per espressa disposizione del Legislatore non vi è necessità di previsione nel disciplinare e, soprattutto, perché la valenza del termine non è collettiva, non interessando più produttori ma indicando invece solo un particolare appezzamento aziendale da cui si ottiene un determinato vino.

In ogni caso, anche se il Legislatore non ha previsto l’obbligo di inserimento nel disciplinare dell’indicazione “Vigna”, si può facilmente constatare come il termine sia frequentemente regolamentato proprio nei disciplinari di produzione e, spesso, anche in modalità tali da rendere molto evidente la differenza con le Unità Geografiche Aggiuntive.

Il disciplinare del Barolo DOCG è esemplificativo in tal senso, perché, da un lato, prevede espressamente un elenco di Menzioni Geografiche Aggiuntive (come al tempo si chiamavano le odierne Unità Geografiche Aggiuntive) e, dall’altro, specifica come nella designazione e presentazione dei vini Barolo e Barolo Riserva, la DOCG può essere accompagnata dalla menzione “Vigna” seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale a condizione che sia rivendicata anche la Menzione Geografica Aggiuntiva.

Il produttore, dunque, potrà indicare la propria vigna di produzione delle uve solo laddove indichi anche il più ampio areale di provenienza individuato all’interno della denominazione di origine: è concesso perciò, in ipotesi, Barolo Brunate (anche riserva) DOCG vigna “…”, ma non consentito Barolo (anche riserva) DOCG vigna “…”.

Per concludere, ora che abbiamo approfondito le indicazioni facoltative che il Legislatore italiano ha previsto esclusivamente per i vini a denominazione di origine (DOC e DOCG), nel prossimo articolo potremo definire l’argomento, dedicandoci alle indicazioni facoltative riservate alle sole DOCG e a quelle che includono anche i vini IGT.