Orientarsi tra le bottiglie: il vino "naturale"

Orientarsi tra le bottiglie: il vino

Diritto diVino
di Paola Marcone
24 novembre 2020

Se ne parla tanto, ma, ad oggi, non c’è definizione legale né una normativa per la produzione né la possibilità di menzione in etichetta. Capiamo il perché.

Secondo la normativa dell’Unione Europea il vino è il “prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve” e, con un elenco tassativo, sono state indicate tutte le pratiche enologiche autorizzate. È prevista, poi, un’apposita definizione e regolamentazione del vino biologico.

In nessuno dei vari regolamenti europei è stata, invece, mai inclusa, tra i prodotti vitivinicoli, la categoria vino “naturale” e neppure l’ultimo aggiornamento al Codice enologico comunitario fa riferimento a eventuali modalità “naturali” di produzione.

Possiamo dire, dunque, con certezza che fino ad oggi il Legislatore è rimasto indisponibile a riconoscere come meritevole di protezione il termine “naturale”. Le ragioni, per molti probabilmente non condivisibili, hanno, però, una logica, basata sulla necessità di preservare interessi non solo dei privati ma soprattutto della collettività.

Per prima cosa bisogna considerare che una qualunque regolamentazione giuridica presuppone l’indispensabile definizione del bene da tutelare e il concetto di vino “naturale”, attualmente, non è sufficientemente univoco neanche tra gli addetti al lavoro e, meno che mai, per i consumatori.

Basterà pensare che le tante associazioni di produttori che si richiamano a principi di rispetto della vigna e della natura nel processo di produzione, adottano, poi, disciplinari e protocolli diversi tra loro (per fare qualche esempio: differenti limiti di ammissibilità per la solforosa; alcuni ammettono – e per valori dissimili - il controllo della temperatura, altri no; in certi disciplinari è permessa la chiarifica ma solo “vegana”, in altri è sempre vietata).

L’unico elemento certamente comune, quindi, è che, rispetto alle pratiche autorizzate dal Legislatore per i vini e i vini biologici, i produttori di vino “naturale” riducono quanto più possibile l’intervento dell’uomo, adottando volontariamente protocolli più restrittivi di quelli ammessi, ma a volte con criteri diversi.  

Nell’ottica dell’attuale regolamentazione europea, tuttavia, questa scelta dei privati di limitare le pratiche da utilizzare, per quanto virtuosa, non permette né una definizione comune della nuova categoria che si vorrebbe introdurre, né giustifica una protezione differenziata dei “naturali” dal resto dei vini.

È evidente, infatti, che, se una serie di tecniche agronomiche e di cantina è stata autorizzata, è perché ancora oggi si reputa che quelle (tutte e non solo alcune) sono idonee per consentire una corretta vinificazione e conservazione dei vini. Anzi, paradossalmente, si potrebbe dire che, nell’attuale sistema normativo, tutti i prodotti che si attengano alle pratiche ammesse sono da considerarsi “naturali”, nel significato di non sofisticati e a prescindere da quante e quali voci tra quelle elencate nelle pratiche autorizzate si decida di utilizzare.

A queste difficoltà di inquadramento dovute all’interpretazione del concetto di “naturale”, si aggiunge, poi, anche la necessità del Legislatore di tutelare il consumatore da qualsiasi ipotesi di confusione o ingannevolezza sulle caratteristiche e la qualità del vino.

Il rischio di un utilizzo indiscriminato dell’espressione “naturale”, infatti, è di far arrivare al consumatore il messaggio che chi usa meno sostanze o elimina alcune lavorazioni tra quelle ammesse (quante? Quali? Con che controlli?) ottenga prodotti di qualità o salubrità superiori alle rimanenti categorie di vino.


Il che, magari, potrebbe anche essere astrattamente possibile, ma, in assenza di una definizione legale di “naturale”, il Legislatore non può consentire che il consumatore rimanga nell’incertezza sul significato e sulla valenza del termine, magari esponendolo a pratiche commerciali ingannevoli.

Se queste sono le motivazioni per cui il vino “naturale” in concreto c’è, ma giuridicamente, potremmo dire, ancora non si vede, quel che è auspicabile è che il tema venga sempre più approfondito, nonostante la sua complessità.

Molti produttori “naturali”, infatti, rifiutano la stessa idea di dover inquadrare i propri vini in un ennesimo disciplinare, convinti che la qualità di un prodotto, tanto più se “naturale”, prescinda da qualunque certificazione, e anche la Direzione Generale Agricoltura dell’Unione Europea, solo poche settimane fa, ha ancora ribadito la potenziale ingannevolezza della dicitura in etichetta sia di “vino naturale” che di “vin méthode nature”; espressione questa che la Francia, invece, aveva di recente autorizzato, cercando di aggirare l’ostacolo con la creazione di una nuova denominazione  e di un apposito disciplinare. 

A questo proposito c’è da dire che, pur essendo difficile ipotizzare denominazioni che non abbiano come presupposto un legame geografico con il territorio, l’autorevole presa di posizione francese è un sasso gettato nello stagno, che apre la strada a futuri ulteriori passi in avanti.