Pratiche enologiche: l'arricchimento del titolo alcolometrico e l'uso del saccarosio

Pratiche enologiche: l'arricchimento  del titolo alcolometrico e l'uso del saccarosio

Diritto diVino
di Paola Marcone
22 giugno 2021

L’arricchimento del titolo alcolometrico del vino è una delle pratiche consentite dal Legislatore europeo, ma con limiti e modalità non omogenei in tutti gli Stati membri. L’utilizzo del saccarosio è, infatti, autorizzato solo in alcuni Paesi, tra i quali non figura l’Italia. Vediamo di capirne di più. 

L’arricchimento del titolo alcolometrico volumico naturale è la tecnica con cui si compensa un’eventuale carenza di contenuto zuccherino nelle uve e la normativa comunitaria limita l’utilizzo di tale pratica alle ipotesi di annate in cui si sono verificate condizioni climatiche sfavorevoli.

Più nello specifico, viene espressamente stabilito che laddove le condizioni climatiche di alcune zone viticole dell'Unione lo richiedano, gli Stati membri interessati possono autorizzare l'aumento del titolo alcolometrico delle uve fresche, del mosto di uve, del mosto di uve parzialmente fermentato, del vino nuovo ancora in fermentazione e del vino ottenuti esclusivamente dalle varietà di uve da vino.

In ogni caso non possono essere superati determinati limiti (+1,5%, +2% o +3% a seconda delle diverse zone vinicole) a meno che le annate siano state caratterizzate da condizioni climatiche davvero eccezionalmente sfavorevoli, perché in tal caso gli Stati membri possono chiedere che i diversi limiti siano innalzati ancora dello 0,5 %. 

Per stabilire quale sia la percentuale massima consentita per l’arricchimento deve, dunque, farsi riferimento alle zone vinicole cui appartiene lo Stato produttore e anche in questo caso le disposizioni europee sono particolarmente dettagliate, suddividendosi il territorio dell’Unione in tre macroaree, individuate con la lettera A (limite del +3%), la B (limite del +2%) e la C (limite di +1,5%); quest’ultima zona è poi a sua volta ripartita in C I, C II e C III, e ancora ulteriormente frammentata in CIII a) e C III b).

Per quanto riguarda le aree produttive del nostro Paese, queste sono state tutte inserite nella lettera C e dunque il limite di arricchimento consentito è contenuto al +1,5%. 

Nello specifico: 

- le superfici vitate della Valle d'Aosta e delle province di Sondrio, Bolzano, Trento e Belluno ricadono in C I;

- le superfici vitate di Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia (esclusa la provincia di Sondrio), Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto (esclusa la provincia di Belluno), comprese le isole appartenenti a tali regioni, come l’Elba e le altre isole dell'arcipelago toscano, le isole dell'arcipelago ponziano, Capri e Ischia, sono inserite nella zona C II;

- le superfici vitate di Calabria, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia, comprese le isole come Pantelleria, le Eolie, le Egadi e le Pelagie, sono elencate nella zona C III b).

Parlando, invece, dei principali Paesi produttori europei possiamo dire che praticamente tutta la Germania è compresa nella zona A (ad esclusione del solo Baden che ricade nella zona B), che tutta la superficie vitata austriaca e quella francese di Alsazia, Lorena, Champagne, Jura, Savoia e Valle della Loira è inserita nella zona B, mentre tutte le altre aree della Francia, l’intera superficie di Ungheria, Portogallo, Spagna e Grecia, sono ricomprese nell’elenco C, come l’Italia. 

L’elemento che balza subito evidente, quindi, è che la pratica dell’arricchimento e i relativi limiti percentuali sono strettamente correlati all’andamento climatico delle singole annate, che nei Paesi del sud dell’Unione dovrebbe essere decisamente più favorevole per un adeguato sviluppo del tenore zuccherino delle uve di quanto dovrebbe accadere nei Paesi nord europei.

L’uso del condizionale è quanto meno opportuno, visto l’assodato aumento delle temperature cui assistiamo ormai da decenni, ma comunque il fondamento della normativa comunitaria ha la sua ragion d’essere proprio nel garantire alle diverse zone vinicole un appropriato supporto alla produzione.

Ulteriori specifiche e limitazioni poi sono indicate sia dalla legislazione europea che da quelle dei singoli Stati membri per quel che riguarda il titolo alcolometrico minimo naturale (tenuto conto anche delle prescrizioni dell’eventuale disciplinare di produzione per i vini DOP e IGP) e quello totale ottenuto nei vini delle diverse zone vinicole. 

Considerato, dunque, che la normativa comunitaria individua nelle sfavorevoli condizioni climatiche il presupposto dell’arricchimento e modula diversamente i limiti della pratica a seconda delle macroaree individuate possiamo ora verificare quali siano i metodi che il Legislatore autorizza per ottenere l’aumento del titolo alcolometrico e se tali procedimenti siano ammessi in maniera uniforme in tutti gli Stati membri.

Quanto al primo aspetto la normativa europea prescrive che: 

a) le uve fresche, il mosto di uve parzialmente fermentato o il vino nuovo ancora in fermentazione, possono essere arricchiti mediante aggiunta di saccarosio, di mosto di uve concentrato o di mosto di uve concentrato rettificato;

b) il mosto di uve può essere arricchito con l'aggiunta di saccarosio, di mosto di uve concentrato o di mosto di uve concentrato rettificato, o mediante concentrazione parziale, compresa l'osmosi inversa;

c) il vino può essere arricchito mediante concentrazione parziale a freddo.

Quanto, invece, alla uniformità di disciplina nell’utilizzo delle tecniche appena menzionate il Legislatore comunitario precisa che l'aggiunta di saccarosio può effettuarsi soltanto mediante zuccheraggio a secco e unicamente nella zona viticola A, in quella B e pur anche in quella C, escludendosi però espressamente i vigneti situati in Grecia, in Spagna, in Italia, a Cipro, in Portogallo e nei dipartimenti francesi sotto la giurisdizione delle corti d'appello di Aix-en-Provence, Nîmes, Montpellier, Toulouse, Agen, Pau, Bordeaux e Bastia. Solo per queste zone francesi, comunque, è consentito l'arricchimento tramite zuccheraggio a secco previa autorizzazione delle autorità nazionali in via eccezionale.

Come evidente, dunque, sono stabiliti non solo limiti percentuali diversi a seconda delle zone dell’Unione ma sono fatte anche differenziazioni in ordine alle tecniche di arricchimento utilizzabili e ancora oggi, nonostante diversi tentativi di uniformare la disciplina, l’uso del saccarosio è regolamentato in modo non omogeneo all’interno dell’Unione Europea.

Le motivazioni non possono prescindere dalla considerazione che la questione dell’arricchimento pone le proprie radici non solo in esigenze di natura tecnica, ma anche in aspetti dalla valenza storica ed economica.

Se, infatti, per i produttori dei Paesi affacciati sul Mediterraneo il fattore climatico favorevole non poneva, tradizionalmente, particolari problemi di sviluppo del grado zuccherino delle uve o, al massimo, i vini di zone più a nord venivano corretti con il taglio con i vini del sud (come da sempre avvenuto in Italia), per gli altri Stati europei il procedimento più immediato per ottenere vini dal contenuto alcolico maggiormente elevato era tradizionalmente costituito dall’aggiunta di un prodotto estraneo dalla filiera dell’uva, ossia il saccarosio, che altro non è che il comune zucchero (in Europa prevalentemente da barbabietola).

Per Germania e parte della Francia, per citare due grandi Paesi produttori, l’uso dello zucchero, quindi, è stato comunemente una pratica adottata, mentre in Italia, dove pure agli inizi del ‘900 l’utilizzo del saccarosio nella vinificazione era stato ammesso, la tecnica era tutto sommato limitata perché, come detto, le condizioni favorevoli del clima non rendevano più di tanto necessario l’utilizzo di operazioni di arricchimento.

Anzi, già all’indomani del primo dopoguerra, quando nel nostro Mezzogiorno si iniziarono a registrare tumulti e le terre incolte venivano occupate, l’utilizzo del saccarosio fu espressamente vietato. In tal modo veniva reso possibile il sicuro smaltimento dei potenti e robusti vini del sud mediante l’arricchimento dei vini del nord, che poteva avvenire obbligatoriamente solo tramite taglio.

 In Italia, poi, a questi aspetti si sono aggiunte, nel tempo, anche ulteriori motivazioni per mantenere fermo il divieto dell’uso del saccarosio, addirittura inasprendolo anche con sanzioni detentive. Il riferimento è all’intenzione del Legislatore italiano di preservare il vino da facili frodi e sofisticazioni ottenute mediante la ricostruzione integrale del prodotto con utilizzo massiccio dello zucchero, non limitato al semplice arricchimento.

Ancor oggi il nostro Testo Unico del vino commina sanzioni amministrative pecuniarie a chi violi le norme in materia di arricchimento, salvo naturalmente che il fatto non costituisca reato.

Nel contesto che abbiamo sommariamente descritto, quindi, l’introduzione nel 1970 del primo Regolamento europeo per l’organizzazione comune del mercato del vino ha dovuto confrontarsi con sistemi legislativi nazionali fortemente diversificati quanto all’utilizzo del saccarosio, esistendo Paesi in cui l’uso era legalizzato e altri in cui ne era fatto divieto.

La scelta è stata quella di lasciare ai singoli Stati membri la facoltà di valutare quale disciplina fosse più idonea a tutelare le esigenze dei produttori, con la conseguenza che quelle che erano le norme nazionali in vigore al momento dell’emanazione del Regolamento costituiscono ancora oggi i fondamenti della legislazione europea in materia di arricchimento, diversificato a seconda delle zone vinicole di produzione.

La necessità di un’armonizzazione delle singole normative è stata, tuttavia, sempre presente anche in considerazione del fatto che gli aggiornamenti delle tecniche di arricchimento hanno comportato l’introduzione sul mercato di prodotti zuccherini provenienti dall’uva come i mosti concentrati rettificati, il cui uso è consentito sia a livello europeo che dalle legislazioni nazionali, comprese quelle che mantengono il divieto dello zuccheraggio, ma il cui costo è di circa 2/3 in più di quello del saccarosio.

A parità di arricchimento, quindi, un vino prodotto nelle diverse zone dell’Unione Europea sopporta costi di produzione differenti, con possibili squilibri di concorrenza.

Nel dibattito comunitario sull’utilizzo del saccarosio, allora, alle esigenze di natura tecnica e agli aspetti storici si è aggiunto anche un profilo di politica economica che le istituzioni europee sono state chiamate a fronteggiare.

Per questo motivo agli inizi degli anni Ottanta è stato inaugurato un regime di aiuti economici, terminato nel 2012, per i produttori che avessero utilizzato i mosti per l’arricchimento, nel tentativo di scoraggiare, da un lato, l’utilizzo dello zuccheraggio e di non svantaggiare, dall’altro, le produzioni dei Paesi che sopportavano costi maggiori.

La misura di sostegno, tuttavia, ha avuto parzialmente gli effetti sperati perché non solo chi aveva la possibilità di utilizzare il saccarosio ha continuato a farlo, essendo la tecnica di arricchimento più economica e anche più semplice da gestire, ma la presenza delle sovvenzioni ha fatto sì che l’arricchimento assumesse sempre più il connotato di ordinaria misura di contenimento dei costi invece che di procedimento tecnico eccezionale a supporto di annate sfavorevoli. Senza considerare che ancora oggi, a quasi 10 anni dalla cessazione degli aiuti, l’auspicata uniformità di disciplina non ha ancora trovato soluzione, assai probabilmente perché le varie posizioni sono eccessivamente focalizzate sugli aspetti economici della vicenda, invece che orientate ad analizzare con equilibrio i profili tecnici dei pro e contro dell’uso del saccarosio nella produzione di vini di qualità.

La questione, comunque, merita di continuare ad essere dibattuta perché è innegabile che la materia necessiti di un’opportuna rivisitazione sia per limitare squilibri di mercato sia per meglio supportare tutti gli Stati membri nella produzione di vino in tempi di cambiamenti climatici spesso estremi e repentini.