Il nebbiolo e l’essenza del terroir

Il nebbiolo e l’essenza del terroir

Enozioni a Milano 2024
di Mauro Garolfi
02 aprile 2024

In occasione di Enozioni 2024, Armando Castagno ha guidato uno straordinario viaggio in Piemonte, alla ricerca delle radici più profonde del nebbiolo interpretato in diversi terroir d’elezione.

Il nebbiolo come comune denominatore, le Langhe e l’Alto Piemonte i territori, i concetti di cru e di terroir nei loro significati più profondi, decisivi e illuminanti: queste le coordinate di un meraviglioso viaggio, guidato da Armando Castagno, nell’elegante cornice di Enozioni 2024 a Milano.

Barbaresco e Barolo

«Parlano una lingua assoluta, con una storia profonda e credibile, molto coerente: sono vini di terroir» quelli di Barbaresco e Barolo, vini che oggi stanno scalando velocemente le quotazioni dei mercati mondiali e da cui prende avvio il nostro percorso. Nello specifico partiamo da due loro cru: Gallina e Castellero, rispettivamente. I terreni, qui, sono entrambi ricchi di sabbia (localmente töv) e le vigne hanno la stessa esposizione; clone e biotipo di nebbiolo sono uguali e i protocolli di vinificazione che si adottano sono pressoché identici. Ci aspettiamo, però, espressioni diverse nel calice, proprio per intervento del terroir, inteso come matrice culturale che ha plasmato ciascuno di loro. Terroir come sinergia fattuale tra tutto ciò che significa ambiente e, soprattutto, comunità umana quale elemento fondante. Originalità e tipicità sono le parole chiave per comprenderlo, dove la tipicità, in particolare, è fattore meramente culturale.

Armando CastagnoSono la ricerca profonda e il rigore nella scelta dei biotipi, dei cloni, degli appezzamenti, della forma di allevamento, dei sesti di impianto - per citare solo alcuni elementi emblematici - perpetuati nel tempo da queste comunità, ad aver dato vita a tali eccellenze riconosciute e riconoscibili a livello globale. Un territorio dalla forma stilizzata a testa di cavallo, quello di Barbaresco, ricco di specificità culturali e locali, con quattro comuni che possono fregiarsi della denominazione: Neive – dalla superficie vitata più estesa -, Barbaresco - con le vigne più famose -, Treiso - il più alto in quota - e Alba, nella sua sola frazione di San Rocco Seno d’Elvio – il più piccolo di questi. Stringiamo il campo su Neive, areale caratterizzato da diverse dorsali disposte a raggiera, con il nebbiolo allevato negli appezzamenti orientati a sud-est e sud-ovest.

Barbaresco DOCG Gallina 2015 - Oddero
Cru Gallina: 220 – 280 m slm, esposizione sud-sud est, 2 anni in botti di rovere di Slavonia da 40 hl.

Azienda citata da Mario Soldati nel suo celeberrimo Vino al Vino, quella di Giacomo Oddero è firma storica del territorio che ha contribuito a inaugurare la grande avventura del Barolo in bottiglia.

Naso terziario, nota autunnale malinconica dalla florealità appassita, catrame vegetale, terra battuta, foglia di tè nero e sentori balsamici di eucalipto. Rigore e linearità cartesiana ne definiscono il gusto con aromi che ricordano il cuoio e una tannicità elegante. Caldo, dalla grana raffinata e di nobiltà unica, esprime appieno la finezza ortodossa del Barbaresco. È gentilezza in un carattere fermo, austero.

Il confronto ci porta a Barolo, altra denominazione iconica per il vino italiano, da Louis Oudart e Juliette Colbert de Maulévrier all’influenza enogastronomica francese che tanta parte ha avuto nella valorizzazione e nella penetrazione del concetto di terroir in Piemonte. Ci gettiamo a capofitto nella degustazione comparata. Siamo nel cru Castellero, tra i comuni di Barolo e Monforte d’Alba, dal suolo caldo, sciolto e ricco di sabbia.

Barolo DOCG Castellero 2013 – Giacomo Fenocchio
Cru Castellero, esposizione sud-sud ovest, 30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 40 e 50 hl.

Estrema profondità al naso con richiami balsamici e note di leggera prima ossidazione giocata su sentori di terracotta, fumo e catrame; si delineano note di camino spento, fiore da bulbo, erbe amare, un primo indizio di fondo di caffè e tocchi di miele e di melata. Il sorso è pieno. Tannico, serrato, dall’acidità presente ma schermata e avviluppata nel corpo.

La degustazione comparata tra queste due espressioni di nebbiolo conferma quelle di Barbaresco come scelte “in sottrazione”, in genere più fine, leggero e graduale rispetto al Barolo caratterizzato solitamente da maggiore struttura e trama più serrata e potente. Non solo le condizioni ambientali, ma più di tutto la comunità ha plasmato per il Barbaresco classico un profilo più delicato e più raffinato rispetto al Barolo. È il lavoro secolare che nel tempo si è tramandato e del quale si sono fatti carico gruppi di persone, le comunità, ad aver creato le rispettive personalità dei vini, espressioni autentiche dei terroir che si portano appresso un valore divulgativo, in termini di distinzione, irriproducibilità, unicità.

Alto Piemonte

L’Alto Piemonte è uno “scrigno di tesori” situato tra le province di Novara, Vercelli e Biella, dove la presenza dei monti Rosa e Fenera, e del fiume Sesia che scorre verso sud e segna il confine tra le province di Novara e di Vercelli, ne definiscono il profilo.

Struggente e malinconico il ricordo di ciò che questo territorio è stato fino a circa un secolo fa: una delle zone vitivinicole più famose d’Italia, da 42000 ettari di vigneto, con la prima cantina sociale d’Italia fondata a Oleggio nel 1891, è oggi tristemente relegata a un “residuo” di vigne pari a soli circa 100 ettari! Responsabile è stato il cambio di prospettiva generazionale, con l’apertura delle fabbriche, esiziale per l’agricoltura. Grandi aziende, poli industriali importanti e la vicinanza delle città di Torino e di Milano, sempre più facilmente raggiungibili, hanno dolorosamente spopolato le vigne. I boschi sono avanzati, la natura in un attimo si è ripresa il suo ruolo dominante, e per rivedere la maggiorina, vecchio sistema di allevamento della vite, oggi si deve penetrare nei boschi e spesso camminare per chilometri. Un tempo perduto e un territorio che non tornerà più, ma quelle poche radure rimaste vitate sono oggi un patrimonio inestimabile di bellezza.

La base dei vini di queste zone è costituita dal nebbiolo (localmente spanna), ma generalmente non in purezza. Le ragioni sono climatiche e storiche: il nebbiolo qui non disgela facilmente e quindi si è sempre pensato a sinergie tra vitigni. Ecco, dunque, l’impiego della vespolina, dal colore cupo e dal profumo speziato di pepe, della croatina e dell’uva rara (localmente bonarda novarese), anche se in piccole percentuali.

L’accento deve necessariamente posarsi sulla geologia come fattore determinante. Le denominazioni Ghemme, Sizzano, Fara - cinque comuni in tutto in provincia di Novara – insistono su terreni morenici argillosi, piuttosto fertili, mentre altre denominazioni della zona come Boca, Gattinara e Bramaterra sorgono su terreni di origine vulcanica. Qui, milioni di anni fa, l’enorme Supervulcano della Sesia esplose e collassando su sé stesso fece in modo che in superficie si “distendesse” l’interno del vulcano. Il porfido, dunque, pietra rossa di origine vulcanica con gli scintillii dei quarzi, caratterizza i suoli di queste zone e dona colorazioni sulle sfumature del rosa - o più tendenti al rossiccio quando “ferrettizzato” (per presenza di ossido di ferro) a Gattinara. La denominazione Lessona si caratterizza invece per le sabbie eoliche (loess), color oro, a dare i vini più “caldi ed estroversi” di questi territori. Qui, un microclima particolare, dove gioca un ruolo la riflessione del calore da parte di queste sabbie, ha consentito, nel tempo, pure la produzione di olio d’oliva.

Bramaterra DOC 2012 – Antoniotti

70% nebbiolo, 20% vespolina, 7% croatina, 3% uva rara. Vigna Martinazzi con viti di circa 40 anni, 30 mesi in botte grande di rovere.

Note agrumate fresche confezionano un profilo olfattivo distinto. Dalla bella e piacevolissima acidità con tocco delicato e di estrema gradualità, si definisce per la pronunciata eleganza e le cesellate vastità e finezza di trama.

Boca DOC 2010 – Le Piane
80% nebbiolo, 20% vespolina

Christof Künzli, a metà anni Novanta, a Boca recupera vigne e attività da Antonio Cerri, uno dei pochi produttori della zona rimasti, salvando una tradizione e facendosi custode e testimone di una storia. La rinascita e la rivincita di un territorio e l’occhio orientato al futuro passano da qui.

Arancia e pepe caratterizzano il naso di un’espressione fantastica che lascia poi piano piano spazio a ricordi balsamici. Persuasivo e aggraziato, pieno e preciso, il gusto si dipana su aromi di agrumi decisi e si realizza su un’acidità ben presente e incisiva. Di grande energia gustativa, sa volare altissimo. Straordinario e appagante.

Gattinara DOCG Molsino 2009 – Nervi
48 mesi in botte grande, poi 1 anno in cemento, poi bottiglia.

Naso ossidativo in cui emergono sentori vinilici e dattero, classici in certi nebbioli per i quali il tempo ha dato spazio all’ossidazione. Al gusto si manifesta invece rabbioso, ancora in forma perfetta, deciso, affumicato; la bocca è quasi metallica. Nessun indugio ad aromi dolciastri o vinilici come ci si sarebbe potuti aspettare dopo l’esame olfattivo. Gustativamente dotato di grande energia, lascia la bocca estremamente pulita. La differenza tra naso e bocca non deve stupire o spaventare: per il nebbiolo di una grande vigna, in un’annata molto calda come la 2009 - che fu rovente -, le due differenti velocità per naso e bocca sono da mettere assolutamente in conto.

Una chicca, un regalo generosamente offerto da Armando per anticipare il gran finale, ci riporta alla vendemmia 2004 per un vino, il Fara DOC Vecchie Vigne 2004 – Dessilani prodotto in due sole annate e solo da vigne poste su alcuni ben precisi versanti, i “ronchi”. Un vino unico, fantastico, che nonostante i vent’anni d’età mantiene caratteristiche di incredibile bevibilità, presenza, piacevolezza nella sua tipicità.

Il velo di malinconia, il senso di tempo perduto, ormai irrecuperabile, ci coglie di nuovo e in modo ancora più potente di prima, quando ci apprestiamo a degustare l’ultimo vino, da una bottiglia prodotta prima della strutturazione normativa delle Denominazioni d’Origine. Questa sensazione strana, di nostalgia di un passato che pure non abbiamo conosciuto, è bilanciata e sopravanzata dalla gioia di sapere che si sta per avvicinare qualcosa di memorabile, unico e fragile, da accogliere con devozione, rispetto e gratitudine. Non manca, comunque, la consapevolezza che il territorio dell’Alto Piemonte, seppure con superfici limitate rispetto a un tempo, è sicuramente ancora vivo, vivace e può guardare con ottimismo, con le sue qualità, a un grande futuro davanti a sé.

Spanna Campi Raudii 1958 – Vallana
Dalla località Campi Raudii, a sud di Gattinara, in una zona un tempo tra le più vocate d’Italia e dove oggi non c’è più una pianta di vite. Fondata nel 1937 da Antonio Vallana, l’azienda, oggi condotta dai discendenti, è stata per anni un mito assoluto, presente con ben otto pagine sul Catalogo Bolaffi di Luigi Veronelli nell’edizione d’esordio del 1964.

Al naso è puro terziario non ossidato, con note di caramello e richiami vegetali. Il sorso esprime il suo meglio, esordendo con una viva carnosità e una nota sanguigna, per rivelarsi poi in un sottobosco meraviglioso, aromi di terracotta, argilla e tartufo. La chiosa è giocata sul brodo di funghi secchi. Non cede ad alcun segno di ossidazione. Prodigioso e memorabile.