Paolo Marchi «È il momento di essere attenti a non prendersi troppo sul serio»

Paolo Marchi «È il momento di essere attenti a non prendersi troppo sul serio»

Enozioni a Milano 2024
di Barbara Giglioli
05 giugno 2024

Il giornalista e fondatore di Identità Golose descrive il panorama dell’enogastronomia in Italia e si rivolge agli addetti ai lavori: «Siate disubbidienti»

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 26 Maggio 2024

«Scegliere qualcuno che con il proprio lavoro ha dato lustro al mondo del vino e del cibo di qualità» Con questa motivazione, prima o poi, che Paolo Marchi, fondatore di Identità Golose, dovesse vincere il premio Enozioni a Milano di AIS Lombardia era solo una questione di tempo. In un serrato botta e risposta, come è giusto che sia con un giornalista di lungo corso, abbiamo cercato di indagare il profondo rapporto che lega vino e cibo, un matrimonio capace di celebrare entrambe le parti in un equilibrio di sapori e in un guizzo dei sensi.

Cosa significa aver ricevuto un premio come quello di Enozioni a Milano?
Sono felice e stupito. La mia vita è per il cibo.“Identità Golose” è la mia creatura di cui vado più fiero, perché ha dato un palcoscenico ai cuochi italiani e ha attirato attenzione per quelli stranieri.

Come è vista la cucina italiana all’estero?
Si guarda poco cosa c’è nel piatto. Si dà per scontato che la tradizione ci dica tutto. Noi siamo forti non solo per il cibo, ma anche per la convivialità che sta attorno a esso. Abbiamo la pizza, la pasta, i risotti. Vent’anni fa mancava un posto dove si parlasse di questo. C’erano tante fiere per il vino, ma non per il cibo.

Molta più attenzione alla bottiglia che al piatto. Dunque.
Assolutamente. Il vino è sempre stato tenuto in grandissima considerazione. I giornalisti enologici sono spesso molto più preparati di quelli del cibo. Il critico gastronomico non analizza troppo la tecnica, ma il piacere finale. Cosa diversissima per il vino, dove il godimento c’è sì, ma non è il parametro. Se sei un esperto, spesso utilizzi la sputacchiera. E poi nel vino il linguaggio è comune.

Com’è arrivato il vino a Identità Golose?
Ci siamo arrivati per vie collaterali. Quando ti siedi a tavola, mangi e bevi. Devo ringraziare Cinzia Benzi per l’ottimo e indispensabile lavoro che fa a Identità sul mondo del vino. Sai, come spesso succede, se c’è la passione di una singola persona si aggiunge alla collettività qualcosa.

Credi molto nella squadra tu, vero Paolo?
Assolutamente sì. Questo premio è stato dato al progetto Identità, non a me. Noi facciamo di tutto per essere completi. Quello che ci piace fare è raccontare il vino sorridendo. Un approccio diverso, perché spesso la necessità di essere competente porta a essere serioso in questo ambiente.

Cosa deve fare un sommelier oggi?
È il momento di essere molto attenti a non prendersi troppo sul serio. Bisogna puntare a un servizio divertente, in cui si sorride di più. I giovani sono bravissimi nel fare questo. C’è il vino sì, ma ci sono sempre più bevande analcoliche come la kombucha che entrano nei ristoranti, il vino senza alcol. Questo rende l’attività del sommelier molto più importante e varia perché deve conoscere più aspetti del mondo del bere.

Tu sei uno dei massimi promotori della cultura del buon cibo e del buon vino in Italia, un pioniere. Come è cambiato il mondo della comunicazione gastronomica in questi anni? Secondo te cosa si potrebbe migliorare?
Può migliore se si ha una maggiore coscienza storica del mondo della ristorazione. Troppi influencer pensano che tutto sia iniziato con Instagram. Oggi si possono esprimere più persone. Spesso però interessa solo apparire e manca professionalità. Non c’è più spirito critico, si va in un posto solo perché se ne è già parlato, magari perché ha la stella. Io preferisco leggere di posti meno conosciuti, che ho scoperto io o qualche collega.

A Identità Golose inviti chef da tutto il mondo che tengono le loro lezioni. È un vero e proprio momento formativo. Quest’anno il tema era la disobbedienza. Quanto è stato importante essere disobbediente per creare ciò che hai creato?
È stato tutto. Io a scuola ho sempre studiato solo ciò che volevo, seguivo le mie passioni. Volevo fare il cuoco ma non avevo le basi, uguale per il fotografo. Però sapevo scrivere, ho avuto questo intuito sulle cose. Amavo la cucina e volevo cercare di capire perché il cuoco facesse le cose in un certo modo.

Ma la tua disubbidienza qual è stata?
Cercare giovani talenti, non parlare bene solo dei fuori classe. Lo sport mi ha fatto girare il mondo e io ho sempre voluto conoscere i cuochi di quei posti. Siate disobbedienti!

Com’è affrontato il tema del vino all’interno del Congresso?
Dovrebbe essere ancora di più approfondito, però la complessità di questo tema ci ha limitati. Di sicuro è sbilanciato sul cibo. Ci sono già così tanti eventi sul vino, che stiamo ancora cercando un modo per affrontarlo in una maniera che sia all’altezza del nostro livello gastronomico. Stiamo puntando anche sui drink. È appena uscita la nostra guida su Pizza e cocktail. Poi abbiamo la newsletter Bollicine, pubblichiamo articoli sul vino. Insomma, pian pianino.

Secondo te quale direzione sta prendendo il mondo dell’alta ristorazione?
Temo che rispetto a quello che è stato il covid, ciò che sta succedendo in Ucraina e in Medio Oriente debba preoccupare molto. Il rischio è che avremo un divario ampio tra una fascia altissima e un’offerta popolare più diffusa. Andrà in crisi la fascia a metà. Adesso spesso anche nei ristoranti medi viene proposta la degustazione, non può essere così. Sta prendendo infatti piede la pizza, perché si può spendere meno per una cena di qualità. Le cose sono cambiate, ahimè. Un tempo c’erano i super ricchi e poi i gastronomi vigorosi. Ora non è più così. I nostri ponti avranno sicuramente meno coraggio. ◆