L'ipnotica leggiadria di Château Climens

Enozioni a Milano 2025
di Sara Passerini
15 aprile 2025
Una masterclass speciale con Artur Vaso, alla scoperta dell’eleganza senza tempo di Château Climens. Sei annate diverse, dalla 1978 alla 2016, per assaporare l’evoluzione di uno dei grandi nomi di Barsac.
Le origini di Château Climens e di Barsac
Il nome Climens comparve per la prima volta in un documento del 1547, in cui si attestava che Guirault Roborel, procuratore del re a Barsac, aveva ereditato la proprietà dal padre. Da quel momento, la famiglia Roborel de Climens divenne indissolubilmente legata al territorio, sviluppando il vigneto e gestendo il castello fino al 1802, quando la proprietà passò alla famiglia Binaud. Successivamente, furono i Lacoste, seguiti dai Gounouilhou, a proseguire la gestione del prestigioso Domaine. Nel XX secolo, il testimone è passato ai Lurton, con Bérénice Lurton come ultima rappresentante, fino al 2022, prima di trasferire la proprietà alla famiglia Moitry.
La storia di Château Climens è strettamente intrecciata e interconnessa con quella della produzione dei vini dolci di Sauternes, che ha avuto inizio nel XVII secolo. Il 10 ottobre 1657, il mercante Jean Douence menzionò per la prima volta l’effetto della muffa nobile sui vigneti di Barsac, segnando l’inizio di una tradizione che si consolidò nel 1666, quando François de Sauvage d’Yquem attestò l’abitudine di vendemmiare a metà ottobre per garantire la qualità dei vini di Sauternes e Bommes. Nel XIX secolo, la produzione di vini dolci sostituì definitivamente quella dei vini bianchi secchi: risale al 1847 la produzione della prima bottiglia di Château d’Yquem nello stile che conosciamo oggi.
Nel 1802, dopo le turbolenze della Rivoluzione Francese, la tenuta fu acquistata da Jean Binaud, un commerciante bordolese che intuì il potenziale del Cru. Un momento chiave arrivò nel 1855, quando Château Climens ottenne il prestigioso titolo di Premier Cru nella celebre classificazione voluta da Napoleone III per l’Esposizione Universale di Parigi.
Dal 1885, e per quasi un secolo, la proprietà fu nelle mani della famiglia Gounouilhou, stampatori, imprenditori e pionieri dell’aviazione, che la mantennero ai vertici con il supporto della famiglia Janin. Nel 1923, il prezzo a barile di Climens raggiunse i 32.000 franchi, mentre quello dello Château d’Yquem arrivò a 50.000.
Nel 1936 furono ufficializzati i decreti per le denominazioni Barsac - l’11 settembre, solo i comuni di Barsac e Sauternes – e il 30 settembre con l’estensione a cinque comuni tra i quali Barsac. Quindi, tutti i vini di Barsac possono utilizzare sia la denominazione Sauternes o Sauternes-Barsac sia la propria denominazione, Barsac. Queste sono entrambe rivendicate da Climens, grazie al suo terroir eccezionale caratterizzato da un sottosuolo calcareo coperto dalle famose sabbie rosse di Barsac. Durante l’Occupazione nazista (1942-43), nonostante le difficoltà, la tenuta continuò a produrre vini capaci di attraversare il tempo.
Nel 1971, Lucien Lurton, già proprietario di diversi cru classée del Médoc, acquistò Château Climens, rispettando la tradizione ma introducendo anche innovazioni, tra le quali sradicare le viti di sauvignon blanc e muscadelle per puntare solo sul sémillon. Nel 1992, la gestione passò a sua figlia Bérénice che, nel 2010, insieme al direttore tecnico Frédéric Nivelle, avviò una coraggiosa e determinante conversione alla biodinamica.
Il 2018 segnò una nuova tappa nella storia dell’azienda con la nascita del primo vino bianco secco, Asphodèle, creato in collaborazione con Pascal Jolivet, vignaiolo noto per la sua abilità con i monovarietali. Il nome del primo bianco fermo rimanda ai gigli selvatici che nascono sui terreni calcarei. Infine, nel 2022, la famiglia Moitry ha rilevato la proprietà, impegnandosi a proseguire l’eccellente tradizione di Château Climens.
Il paradosso: il Signore di Barsac su un terroir povero
Nel cuore di Barsac, all’interno della prestigiosa denominazione Sauternes, Château Climens si distingue da secoli per l’eccezionalità del suo terroir. Un vigneto straordinario, tanto da guadagnarsi il titolo di “Seigneur de Barsac”, nonostante il nome Climens in antico celtico indicasse un suolo povero. Un paradosso che esalta una delle grandi verità del vino: è proprio nei terreni più difficili che la vite affonda le sue radici sempre più in profondità, rivelando il suo massimo potenziale.
Il vigneto di Climens si estende per 32 ettari in un unico appezzamento piantato a sémillon, circondato da antichi muri a secco, su un altopiano a circa 20 metri sul livello del mare. Il suolo è caratterizzato dalle celebri sabbie rosse di Barsac, uno strato sottile di sabbie argillose e ferrose, spesso meno di 50 cm. Al di sotto, si trova una lastra di calcare di matrice marina, una formazione risalente a 30 milioni di anni fa, che testimonia l’antica presenza del mare in questa zona.
Oltre alla sua particolare geologia, alla vicinanza dell’Oceano Atlantico e alla bassa altitudine, Climens beneficia del microclima unico di Sauternes: alla fine dell’estate, l’incontro tra le acque fredde del Ciron quelle più calde della Garonna genera nebbie mattutine, seguite da pomeriggi soleggiati. Questo ciclo favorisce lo sviluppo della Botrytis Cinerea, la preziosa “muffa nobile” che concentra gli zuccheri, brucia gli acidi, sintetizza il glicerolo e intensifica l’aromaticità delle uve. È quest’alchimia naturale, composta da suolo, clima e tradizione, a rendere Château Climens uno dei grandi nomi di Barsac e dell’intero panorama vinicolo mondiale.
Solo sémillon, una scelta vincente
Château Climens ha scelto di produrre il suo Barsac utilizzando esclusivamente sémillon, una scelta che si è rivelata perfetta per il terroir di Climens. Infatti, laddove in altre zone l’apporto di sauvignon blanc e muscadelle fornisce l’acidità di cui il sémillon è carente, qui il terreno magro, ferruginoso, e più in profondità calcareo, porta la sua particolare freschezza minerale. Un’altra caratteristica che lo rende perfetto in questo territorio è la sua sensibilità alla Botrytis Cinerea visti gli acini medio-grandi e la buccia sottile.
La storia del vitigno è per lo più sconosciuta: secondo l’analisi del DNA condotta nel 2009 esiste una relazione con il sauvignon blanc mentre secondo altre ipotesi un suo antenato è un’uva coltivata in Libano, chiamata merwah. Il vitigno ha una maturazione medio-precoce e un’alta resa, è resistente all’oidio e alla peronospora. Non è contraddistinto da grande acidità, ma ha un buon contenuto di zuccheri e di conseguenza è in grado di produrre vini dal volume alcolico medio-alto.
I vini dolci a base sémillon sono generalmente più ricchi di corpo e struttura, sono densi e sensuali.
La raccolta avviene acino per acino, con più passaggi. Di conseguenza le rese sono molto basse e spesso da un singolo grappolo vengono raccolti sono pochi acini nobili. Nei vigneti di Château Climens la resa è limitata a un massimo di 9 hl per ettaro e spesso una pianta di vite produce un solo calice di vino. La pressatura è meticolosa: la prima pressata produce tre quarti del mosto mentre la fermentazione dura dalle due alle quattro settimane. Le viti hanno un’età media di 38 anni e sono in regime biodinamico dal 2010; l'affinamento prevede una sosta in barrique usate e nuove tra i 20 e i 22 mesi, poi il riposo è in bottiglia.
Il Château Climens 1er Cru Barsac Grand Vin de Sauternes non viene prodotto tutti gli anni. Nel 2017 non venne prodotto a causa delle gelate, nel 2018 per una malattia che colpì le viti, nel 2020 a causa della grandine e nel 2021 di nuovo a causa di gelate; se le condizioni climatiche non sono ideali e la botrite non agisce correttamente il vino non viene realizzato.
La degustazione
Una magnifica verticale di 6 Premier Cru Barsac Grand Vin de Sauternes, di Château Climens: si comincia dal passato con la vendemmia 1978 e si arriva ad annate più recenti come la 2016, per capire l’evoluzione dell’azienda e l’importanza dell’annata. Artur ci ricorda che le varie differenze di colore possono dipendere certamente da una leggera ossidazione, ma anche dall’estrazione in fase produttiva e dall’annata.
1978 - Très bon millésime
Ne assaggiamo due bottiglie, purtroppo entrambe segnate dal tempo e da qualche difetto di TCA: la prima ha un aspetto contraddistinto da una leggera torbidezza e ossidazione, la seconda ha un profilo cromatico più vivace, ma purtroppo ancora più segnata all’olfatto.
1996 - Excellent millésime
Sfavillante giallo ambrato, luminoso e invitante, ottima la consistenza che mostra concentrazione ed eleganza. Un finissimo esordio di zafferano lascia intravedere la complessità di un cesto di erbe aromatiche appena colte. Il frutto non si fa aspettare e regala pesca sciroppata, albicocca disidratata e una venatura balsamica che sottende i sentori che si affaccendano l’uno dopo l’altro. È un naso ricco, locupletato di sensazioni di cedro caramellato e agrume lavorato. Palato dolce, oleoso nei rimandi tattili. Ci sono anche qui intensità e concentrazione; la spalla acida e una certa rugosità - dovuta all’estrazione - smussano la dolcezza e invitano nuovamente al sorso. Il retrogusto è di zafferano, tipico, secondo Artur Vaso, della zona di Barsac. Al riassaggio ci sorprende con nitide sensazioni di curry al naso e aromi speziati nella lunghezza.
2000 - Millésime médiocre
Colore più fitto e concentrato del 1996, l’olfatto si fa aspettare un po’, poi si apre su note di agrume e sensazioni balsamiche. Si presenta più tenue nei profumi. Bocca intensa e interessante nell’intreccio di dolcezza materica e freschezza mitigante; torna l’oleosità che contraddistingue la zona. Chiusura su sapori di erbe amare. Il vino ci risulta di valore nonostante l’annata sia stata giudicata non memorabile. Al riassaggio i profumi rimandano a una sensazionale nota di albicocca sciroppata.
2005 - Excellent millésime
Il più comunicativo della batteria, il più ricco, avvolgente, intrigante, generoso, prospettico. Qui finalmente capiamo la grandezza del Premier Cru «il Barsac come te lo aspetti» conferma estasiato il relatore. Meraviglioso il colore, pieno e cristallino, un oro scuro che irradia luce. Profilo olfattivo caleidoscopico che parte con tracce balsamiche e profonde, per poi fare spazio allo zafferano, alla frutta esotica - mango in primis -, al cedro e al fior di pesca, all’albicocca disidratata. Palato sciropposo, dolce, ricco di estrazione con una sensazione pseudocalorica più accentuata delle precedenti. La vendemmia, conferma Artur Vaso, è stata perfetta in questa annata: l’uva era idealmente botritizzata. Al riassaggio l’olfatto si trasforma in un mix di spezie orientali; al palato ci colpisce di nuovo l’ingresso avvolgente e poi la grande concentrazione volumica dovuta alla nobile muffa.
2006 - Grand millésime
La tonalità cromatica cambia ancora e si fa, curiosamente, più ambrata del precedente e più fitta. Il naso è dolce, e più “disidratato” del precedente: debutta sui toni del miele d’acacia, ripresenta la speziatura di zafferano, propone sentori di zucchero e poi offre la verve balsamica che abbiamo già incontrato in altre annate, nonché le erbe aromatiche essiccate. Il palato ci stupisce perché sembra leggermente più “vissuto” del vino precedente. Nonostante sia più giovane, è meno elegante e meno profondo e, a modo suo, è meno comunicativo, come già la colorazione ci sussurrava. Questo ci riporta al concetto chiave di Barsac: l’annata conta moltissimo nell’evoluzione.
2016 - Très bon millésime
D’aspetto vivace, luminoso, cromie dorate. Olfatto che punta molto sulle erbe aromatiche e su toni vegetali; è un naso un po’ verde dove c’è, sì, la frutta secca e disidratata, ma è un naso meno risolto. Purtroppo concordiamo sul fatto che nemmeno questa bottiglia è perfetta nei risvolti olfattivi e presenta qualche accenno di TCA. Al palato lo immaginiamo meno dolce del precedente: lo assaggiamo e in effetti si rivela bello teso tra acidità e dolcezza mentre la chiusura è decisamente erbacea e tattilmente regala una piacevole asciuttezza.
Assaggiamo e riassaggiamo. I calici delle annate 1996 e 2005 sono quelli che abbiamo già terminato. Torniamo sugli altri vini e prendiamo atto che la classificazione delle annate effettivamente è riscontrabile nel bicchiere.
Ogni sorso ha raccontato una storia diversa, dall’energia materica e solare all’azione dell’ossigeno, dalla finezza sottile di un gusto eccelso a quello ancora teso di giovinezza. Se c’è una lezione da trarre, è che la grandezza di un vino non sta solo nel piacere dell'istante in cui lo si beve, ma nella capacità di evolvere, sorprendere ed emozionare decennio dopo decennio. Ci promettiamo, già nostalgici, di ritrovarci tra dieci anni e degustare insieme la mitica 2005, certi che il tempo saprà donare, a quella ricchezza, ancora una nuova inedita leggiadria.