ARPEPE, 1984-2024. L’eredità di Arturo Pelizzatti Perego

ARPEPE, 1984-2024. L’eredità di Arturo Pelizzatti Perego

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
19 dicembre 2024

A 20 anni dalla scomparsa del fondatore dell'azienda valtellinese e a 40 dalla nascita del suo primo vino, il Sassella Rocce Rosse, una storica verticale e un incontro per ripercorrere alcuni dei momenti più significativi della storia della cantina di via Buon Consiglio a Sondrio

Le parole sono pietre, diceva qualcuno, ma spesso lo sono anche i numeri, che possono diventare potentissimi simboli, straordinari strumenti, quasi pretesti, per fare il punto di cosa si è fatto e provare a guardare oltre con entusiasmo, determinazione e ottimismo. Ha deciso di percorrere questa strada la famiglia Pelizzatti Perego, per ricordare la figura di quello che oggi viene considerato un punto di riferimento della viticoltura valtellinese: Arturo Pelizzatti Perego.

Il 10 dicembre, a 20 anni esatti dalla sua scomparsa, i figli Isabella, Guido ed Emanuele insieme alla madre Giovanna Massera, hanno scelto l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo per radunare amici, degustatori, giornalisti e tutto il suo giovane staff che si arrampica quotidianamente tra i terrazzamenti della Sassella in Valtellina, per una verticale realmente storica di quel Rocce Rosse, vino diventato iconico e nato 40 anni fa. 

Un simbolo di ripartenza per ARPEPE, acronimo che tutti gli appassionati si sono ormai abituati a pronunciare in modo naturale, ma che nel 1984 fu il curioso stratagemma per provare a ripartire, superando le vicissitudini che avevano portato alla perdita del marchio, quindi anche del proprio nome e della cantina. Con un’idea ritenuta dai più, se non fallimentare, certamente visionaria: produrre vini che sfidassero il tempo, solo quando l’annata meritava realmente, mettendoli in commercio ad anni di distanza dalla vendemmia solo dopo il giusto affinamento in bottiglia.  

Oggi il Rocce Rosse è una sorta di capostipite, un monumento liquido dedicato al nebbiolo delle Alpi e alla sua capacità di far innamorare, se non chiunque, sicuramente tutti coloro che ricercano passione, finezza e autenticità in questa meravigliosa varietà che in Valtellina chiamano chiavennasca e qui assume contorni e connotati tutti suoi. «Ma non fu subito così, perché quelli erano anni dove andavano di moda vini muscolari. Ci volle la perseveranza di mia mamma, la prima a credere nel lavoro di papà» ha ricordato Guido all’inizio di un incontro che è scivolato via lungo più di 3 ore, durante le quali ricordi e testimonianze si sono alternati a ben 14 annate di questo Sassella Riserva, a partire proprio dalla sua prima vendemmia, la 1984, messa in commercio nel 1990, data della ripartenza commerciale.

E fu proprio Giovanna Massera, come ha ricordato lei stessa timidamente ma con fierezza, ad andare in giro a vendere le prime bottiglie per «cercare di farlo capire». E fu ancora lei, anni dopo, come questa volta ha ricordato la figlia Isabella, ad andarsi a ricomprare svariate bottiglie proprio del 1984 da un cliente che non le aveva valorizzate e quindi non sapeva come venderle. Un ricordo, quest’ultimo, che oggi, in un’epoca dove, finalmente, un nebbiolo valtellinese scarico di colore, delicatamente floreale, ma anche furiosamente ematico e che non fa sconti a nessuno sul fronte dell’acidità al palato, è sinonimo di tipicità, tradizione ed eleganza, sembra arrivare da un’altra galassia. 

Eppure, per un bel po’ di tempo dopo che Arturo Pelizzatti Perego aveva ricominciato a fare vino, per molti quell’approccio era considerato quasi da rottamare. Nel 2004, quando è morto e quando la figlia Isabella è entrata definitivamente in azienda, forse aveva appena cominciato ad intravedere quello che sarebbe successo pienamente almeno 10 anni dopo. Oggi lo stile ARPEPE, portato avanti dal figlio Emanuele, sia in vigna che in cantina, cercando di metterci giustamente del suo e senza mai tradire la filosofia di fondo, ha fatto addirittura scuola e proseliti nelle giovani generazioni che, anche grazie al successo di questa cantina di via Buon Consiglio a Sondrio, hanno deciso di provarci, in un territorio che definire eroico non è poesia, ma una tremenda fatica.

La difficoltà di emergere e far capire la propria visione, l’ha ben ricordata quello che può essere considerato non solo un amico, ma quasi un fratello maggiore dei fratelli Pelizzatti Perego: Christoph Künzli. Oggi noto come produttore di altissimo livello in quel di Boca, di fatto è stato il primo a credere nei vini di ARPEPE in tempi non sospetti, anzi, quando sarebbe stato meglio orientarsi altrove. Importatore e distributore di vini italiani in Svizzera, inserì per primo in listino i vini di ARPEPE «Quando ho conosciuto Arturo, a una manifestazione, il suo era l’unico vino che mi aveva colpito, ma lui se ne stava in un angolo, nascosto, e quasi non ci credeva». Per molti, d’altronde, i suoi vini erano stanchi e sfibrati, minuscoli se confrontati alle bombe di legno e frutto che anche in Valtellina imperavano negli anni ’90.

Da sinistra: Guido Pelizzatti Perego, Christoph Künzli, Isabella Pelizzatti Perego, Emanuele Pelizzatti Perego, Giancarlo Gariglio

Tutti coloro che sono stati chiamati a raccontatre un piccolo ricordo durante lincontro - Aldo Venco, Giacomo Mojoli, Roberto Giuliani e Paolo Massobrio – hanno aggiunto un mattoncino personale per celebrare una storia che oggi è portata avanti da un terzetto di fratelli compatti, tenaci, uniti, come non è così facile vedere in giro per cantine. Giancarlo Gariglio, curatore di Slow Wine, che ha moderato con grande garbo la giornata, ha aggiunto il ricordo di Paolo Camozzi, collega e amico della famiglia Pelizzatti Perego, prematuramente scomparso proprio quest’anno. 

È stata una giornata da ricordare. Una giornata serena, fuori da luci e riflettori, paillettes e lustrini, come solitamente capita in questi casi. Coerente con la personalità dei protagonisti da celebrare.