Semplicemente, Cappellano

Semplicemente, Cappellano

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
15 settembre 2008

L'incontro con uno dei protagonisti delle Langhe, il "Re" del Barolo chinato ma, soprattutto, l'interprete di un vivere il vino e la vita da vignaiolo diversamente, per alcuni. O forse, solo, semplicemente...

Con una Jeep usata, di chissà quante mani, del 1981, saliamo e scendiamo tra gli sterrati che attraversano il vigneto Gabutti sfiorando ripetutamente i pali di sostegno delle vigne, passando al di sotto delle foglie e dei rami che volutamente non vengono cimati. Spesso ci fermiamo per osservare la forma dei grappoli, le differenze tra le foglie del nebbiolo piantato con porta-innesto e senza, a piede franco, in barba alla filossera che in questo fazzoletto di Serralunga non fa la sua apparizione, così come il famigerato mal dell’esca, quasi fossimo in un limbo al riparo dai classici flagelli che assillano i pensieri di tutti i viticultori. A valle, nella parte più umida, a dire il vero una pianta di dolcetto non se la passa benissimo, attaccata in più punti dalla peronospora, ma è l’unica, quella a 50 centimetri poco sopra gode di ottima salute e d’altronde ha anch’essa la sua funzione: “E’ il mio termometro naturale della peronospora, una sorta di pianta sacrificale, che mi indica cosa sta succedendo o potrebbe accadere”. Tra una discesa ed una risalita la Jeep di ferma in posizioni quasi verticali all’improvviso perché devo vedere bene le differenze, annotare le peculiarità, poiché: “voi giornalisti spesso avete il vizio di non chiedere di venire in vigna, volete andare direttamente in cantina a degustare”. Non si butta via niente qui: il trattore è piccolo e compatto, smontato e rimontato per rifare il motore, con dei cingoli brevettati in casa che consentono di non affondare nel terreno e non compattarlo come quelli moderni, il motore che pompa acqua da un pozzo avrà almeno 50 anni, come molte delle viti presenti qui, “altrimenti si spreca energia e bisogna ricominciare tutto da capo. Uno spreco senza senso”. Compaiono poi anche due relitti ferrosi, una è un’altra fuori strada che ha definitivamente finito la sua corsa: “Le accatasto qui, ma cambiano spesso, poi viene un signore che compra il ferro ed il ricavato lo mando in Africa”. Asmara, il più importante centro industriale dell’Eritrea, è la città che ha dato i natali a quello che viene definito il “re del barolo chinato”, un omone alto, con il sigaro perennemente in bocca, così come il cappello di paglia, fidi compagni delle sue passeggiate in vigna “almeno due o tre volte al giorno, altrimenti che senso ha vivere in un paradiso come questo e perdersi i cambiamenti quotidiani”. A valle ed in cima del suo vigneto ci sono due boschi, che finalmente disegnano un paesaggio fatto non solo ed in modo interminabile di viti, come, purtroppo è oramai classico vedere in langa. “Gli altri comprano i vigneti, io, invece, sono l’unico che compra boschi: ne ho 4000 metri quadrati e ne ho appena comprate altre tre giornate”. Passare del tempo insieme a Teobaldo Cappellano, parlando di vita e di religione, di politica e vigna ti fa capire come ciò che in fondo è, o dovrebbe, essere considerato come normale e tremendamente semplice, sia invece oggi per i più atipico, pittoresco, se non anormale, anzi, come recita l’etichetta di una sua barbera “Ab Normal”. Si era arrabbiato Baldo quando la commissione di degustazione che giudica i vini per ottenere la DOC aveva considerato rivedibile la sua barbera 2003: “forse la migliore mai fatta, una potenza in tutto, profumi, corpo, zuccheri, una meraviglia che non sapevamo neanche come avessimo fatto a fare così io e mio figlio Augusto”. Nel foglio con il giudizio che accompagnava il suo campione c’era scritto che i profumi erano anormali: “Avrei quindi dovuto filtrarla, ripulirla, cambiarla. No. Niente Doc allora!”. Sicché il vino fu imbottigliato come Vino da Tavola ed in onore di quel giudizio con quell’ironico nome: “D’altronde erano solo 2800 bottiglie, potevamo permettercelo ed infatti le abbiamo vendute tutte in un mese e mezzo praticamente”. In un mondo che parla della Natura in terza persona come se fosse cosa estranea, che tenta di omologare e standardizzare tutto, chi fa cose semplici e quotidiane è un diverso e senza neanche accorgertene finisci in una nicchia ed in fondo, alla fine, ci stai anche bene: “Era giusto in fondo che avessero considerato la mia barbera anormale: se la normalità è altra cosa da quei semplici profumi, allora io sono anormale”.
Non pratica in vigna la cimatura perché “è come ferire la vigna. Se ti ferisci ad un dito e continui a togliere la crosta prima o poi la ferita si infetta. Le mie viti, infatti, non si infettano mai”. Continua a produrre il suo grandissimo Barolo Chinato con l’aiuto del figlio Augusto, ingegnere chimico, che ha preferito la tradizione di famiglia agli uffici dell’università, comprando realmente, sempre in posti diversi, tutte le erbe aromatiche che poi verranno utilizzate per aromatizzare il suo nebbiolo. Benché chimico, se cerchi con qualche domanda sempre una ragione, per esempio, del perché abbia piantato nel 1989 anche del nebbiolo a piede franco, non avrai sempre le risposte precise e rassicuranti che ti aspetteresti: “Non lo so. Sono una persona datata, ma anche maledettamente curiosa” e quindi sperimenta. Le differenze, poi, nel bicchiere si sentono, anche se le vigne a piede franco e quelle su porta-innesto americano siano praticamente appaiate l’una all’altra ed in alcuni tratti mischiate tra loro: più espressiva, potente, anche se con tannini ancora duri e vivi, il bicchiere di Barolo 2004 Piè Rupestris assaggiato da botte. Più delicato, elegante e ritroso a darsi il Barolo 2004 Piè Franco, ma di una bevibilità straordinaria già in questo momento. Entrambi vicini all’imbottigliamento. Così come rifiuta i voti per i suoi vini e lo scrive anche in retro etichetta, perché troppo sintetici ed “in un mondo in cui le persone non sono più abituate a pensare” diventano pericolosi, detesta dogmatismi ed definizioni assolute: “Non voglio più abiti talari, basta con le etichette”. Non è biodinamico quindi, forse biologico, ma non è importante questo, anzi, non lo è affatto. E’ semplicemente, Cappellano.

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

I commenti dei lettori