Bukkuram per sempre

Bukkuram per sempre

L'aromatico italiano
di Massimo Zanichelli
23 giugno 2025

Assaggiando un Passito di Pantelleria del 2014, in ricordo Sebastiano De Bartoli.

Sono rimasto anch’io, come molti, scosso dalla prematura scomparsa di Sebastiano, detto Sebio, De Bartoli lo scorso 7 giugno. Aveva 47 anni. L’ultima volta che ci siamo visti, lo scorso ottobre a Milano per la presentazione della Guida Slow Wine, mi aveva invitato in Langa, dove viveva (si era legato sentimentalmente con Eleonora Barale), per berci una bottiglia di Quarantennale, l’iconica “riserva” del Vecchio Samperi. Non sapevo della sua malattia, me ne accorsi guardando un volto emaciato che non aveva perso il sorriso, dimostrazione di un forte stoicismo interiore. 

Avevo conosciuto Sebio nel 2018 a Marsala (dove assaggiammo un 1903 prelevato dalla botte mentre fuori si stava scatenando un piccolo tornado) e poi in quella di Pantelleria, il luogo che preferiva e cui aveva dedicato fino all’ultimo tutte le sue energie. A Bukkuram, contrada sud-occidentale dell’isola, in un dammuso del Settecento, il padre Marco aveva nei primi anni Ottanta posto le fondamenta per un’altra rivoluzione dopo quella del “metodo perpetuo” del Vecchio Samperi. Era così nato un altro assoluto, un Passito di Pantelleria prodotto solo nelle grandi annate con tecnica tradizionale: uve appassite all’aperto per circa tre settimane, sgrappolate a mano e aggiunte alla fermentazione dello zibibbo fresco per tre mesi, con successiva maturazione del vino per circa tre anni in barrique usate. Ricordo un inebriante Bukkuram 1991 e un Bukkuram Etichetta Rossa 2000 (10 anni in legno) dal colore “pecioso” e dall’aromaticità debordante (liquirizia, menta, acciuga).

Giusto due giorni prima della funesta notizia avevo aperto durante una degustazione in Lunigiana una bottiglia del Passito di Pantelleria Bukkuram 2014 nella classica bottiglia “marsalina” da mezzo litro. Avevo assaggiato questo vino dalla botte proprio nel 2018 e ne conservo ancora i fugaci appunti: «grande carattere, delizioso, puro e profondo». Ora era ancora più buono, ancora più espressivo, un concentrato della dimensione vulcanica, marina e mediterranea che l’isola del vento porta inevitabilmente con sé: le erbe aromatiche della macchia (rosmarino, elicriso, timo), le sensazioni salmastre, l’albicocca secca nella sua quintessenza, l’irresistibile corrente balsamica, il trionfo della carruba e della liquirizia, la pietra pomice…

In arabo, Bukkuram significa “padre della vigna” o “padre generoso”: mi piace immaginare che Sebio abbia raggiunto il suo, scomparso nel 2011, in un luogo aulente del paradiso.