Le quattro Malvasie di Caleffi
L'aromatico italiano
di Massimo Zanichelli
19 dicembre 2025
Nella campagna cremonese di Spineda, la famiglia Caleffi ha costruito nel giro di pochi anni il suo successo senza rinnegare le proprie origini rurali. Conosciamoli meglio grazie a quattro versioni di Malvasia
Nella campagna cremonese di Spineda, storico paese di cinquecento anime della parte più orientale della provincia al confine con il Mantovano (Commessaggio è a pochi minuti di auto), in posizione isolata nella pianura circostante, la famiglia Caleffi ha costruito nel giro di pochi anni il suo successo (fascia premium nel mondo del brand di lusso) senza rinnegare le proprie origini rurali, ancora oggi visibili nella cascina e nelle stalle degli animali (tante vacche e un paio di asini).
E lo ha fatto con i vini del territorio, Malvasia e Lambrusco. Nel silenzio della Bassa, in una zona chiamata fin dal Settecento Le Regone, in un’azienda agricola e didattica con annesso agriturismo, vive tutta la famiglia: Emanuele Caleffi, classe 1967, che si occupa della produzione, con la moglie Chiara e i figli Matilde, laureanda magistrale in lingue a Verona dopo la triennale a Brescia, e Giacomo, laureando in enologia e viticoltura a San Michele all’Adige; Davide Caleffi, suo fratello, classe 1964, che segue la parte commerciale, con la moglie Rosanna e i figli Mattia, laureato in ingegneria gestionale con esperienze internazionali presso Lamborghini e Stellantis, ed Elena, laureata in scienze e tecnologia alimentari (lei, la mamma e la zia sono ottime cuoche).
Emanuele, diplomato ITIS, ha cominciato a occuparsi di enologia a quarant’anni, quando ha dovuto decidere cosa fare delle vigne di famiglia dopo l’ictus che nel 2007 ha colpito il padre Silvio, norcino con la passione per il vino. Comincia così a frequentare corsi, anche AIS, e viaggiare per cantine. Dopo dieci di formazione da autodidatta convince il fratello Davide a produrre le prime 6000 bottiglie. La prima vinificazione è del 2017, il primo imbottigliamento l’anno successivo. Oggi gli ettari vitati di proprietà sono otto, sei a Spineda e due tra Commessaggio e Sabbioneta. Poi ce ne sono un altro centinaio per la coltivazione di cereali e pomodori.
Il Ven Bianc è una malvasia di Candia rifermentata in bottiglia con mosto congelato. Il 2024 ha colore paglierino dorato brillante con lieve opalescenza luminosa, profumi varietali di sambuco, di bosso, palato brioso, molto vivo, succoso, pieno di sapore e di fermenti, definito, preciso, condotto con tecnica impeccabile, dall’elegante finale sottilmente aromatico.
C’è una sala simmetrica di fermentazione con pavimento flottante, muri spessi anti vibrazione e un’umidità tra il 55% e il 65% garantita dall’acqua di un pozzo scavato per l’occasione. Circa la metà della produzione complessiva, 40.000 bottiglie annue, è occupata dai frizzanti rifermentati in bottiglia. Emanuele mi racconta che il padre faceva rifermentare il vino in botti piccole di legno, mettendo un palo tra il cocchiume e il soffitto per contenere l’impeto della carbonica.
Il Metodo Classico Brut Blanc Septhima Vigna Storica, sempre a base di malvasia di Candia e alla sua prima uscita sul mercato, trascorre 18 mesi sui lieviti (sboccatura agosto 2025 con 8 grammi di zucchero perfettamente amalgamati). «Abbiamo dato questo nome al vino perché Spineda – anticamente chiamata Spineta, il “paese delle spine”, cioè dei rovi, ma anche perché al tempo dei Gonzaga era una spina nel fianco dei mantovani – era conosciuta come Vico Septhimo o Settimio all’epoca dei Romani – racconta Emanuele –. È stata fondata da un capitano romano di Ottaviano nel 697 dopo la vittoria presso Modena contro Bruto Cassio e Marco Antonio, ed era l’antico letto del fiume Oglio quando ancora non c’erano gli argini. Erano zone paludose e gli eserciti non riuscivano a passare. Il terreno è di argilla per circa un metro e mezzo di profondità, sotto il quale si trova la sabbia del fiume. Le vigne che non hanno mai bisogno di acqua. Spingo le radici ad andare in profondità con una doppia potatura a zero delle piantine per i primi due anni».
Gli impianti sono a cordone speronato con poche gemme per tralcio: il diradamento permette di arrivare a una resa di 70-80 quintali per ettaro, decisamente bassa per queste zone. Tornando al Brut Blanc Septhima, il vino ha colore paglierino intenso e definito, naso di freschezza balsamica, sorso succoso, calibrato nella carbonica, tondeggiante ma non troppo a centro bocca, con rilascio di erbe aromatiche e fondo di sapidità nel finale.
Il vino più originale, intrigante e costoso del quartetto è lo Spinea Demi Sec, imbottigliato come un ancestrale durante la prima fermentazione con un quarto di mosto fermo da 160 grammi di zucchero e gli altri tre quarti già in fermentazione con 90 grammi di zucchero. «Dentro la bottiglia arriva a undici atmosfere, una botta, l’alta pressione uccide i lieviti e rimane solo il residuo zuccherino, poi bisogna aspettare che la pressione si abbassi fino a sette atmosfere, e ci vuole molto tempo, quindi sbocchiamo e imbottigliamo. I grammi finali di zucchero sono 30». Paglierino brillante, naso espressivo che incrocia elementi elegantemente aromatici e l’evoluzione dei lieviti, profumi complessi quanto diretti, sciolti e articolati, palato succoso, morbido, con evoluzione aromatica che vira alla pesca, all’albicocca, e persistenza di erbe aromatiche. Un vino al contempo complesso e immediato.
L’Evvéa 2022 è invece un “orange” con due terzi di malvasia di Candia e l’altro terzo di malvasia di Candia aromatica (giusto quattro filari), raccolte in tre diversi passaggi: la prima anticipata, come per gli spumanti e i frizzanti, con nove giorni di macerazione in vasca di cemento; la seconda con vendemmia a maturazione tecnica e altri nove giorni di macerazione; e una terza con una surmaturazione in pianta e ancora nove giorni di macerazione. Il nome del vino, che in greco significa “nove”, deriva proprio da questa ricorrenza (e come omaggio all’origine greca della malvasia). Il taglio avviene in vasca di cemento, dove il vino rimane un anno. Il colore è giallo dorato intenso e definito, l’olfatto, mai esuberante, si connota di elementi metallici, ferrosi e aromatici, il sorso è pieno, solido, denso, con tannino integrato, alcol non prevaricante, sviluppo compatto, persistenza di grano, cereali, foglia leggera di tè, erbe aromatiche essiccate.
