A spasso nel tempo con il Sauvignon Lafóa di Colterenzio

A spasso nel tempo con il Sauvignon Lafóa di Colterenzio

La Verticale
di Alessandra Marras
01 marzo 2023

Dal 2020 al 1994. Una straordinaria verticale organizzata da AIS Monza in compagnia di Federico Bovarini, sommelier e relatore AIS, e Alex Ferigato, direttore commerciale Colterenzio.

Vi sarà capitato almeno una volta di declinare un invito rispondendo: “Stasera non posso, ho una verticale imperdibile”. Superato il giustificato sbigottimento da parte di un eventuale interlocutore estraneo al mondo del vino nell’ascoltare una frase che, presa letteralmente, sembra presagire un’impresa fisica non da poco; una verticale è, o dovrebbe essere, l’incontro con un vino in totale, paziente, attenta e silenziosa immobilità. Uno stato di sospensione che, alimentato dal sublime fremito dell’attesa, predispone al totale accoglimento.

Il confronto tra annate diverse, del medesimo vino, dello stesso produttore ha, tecnicamente, l’obiettivo di valutare le potenzialità evolutive del vino preso in considerazione e la sua capacità di esprimere un profilo identitario, pur nella preziosa aderenza alla variabilità delle annate. Ma, chiarisce subito Federico Bovarini, al di là del piacere edonistico, una verticale è soprattutto la possibilità, unica nel suo genere, di letteralmente “toccare” il tempo. Memorie fotografiche, storie di luoghi e persone, sono testimonianze che ci aiutano a creare immagini, il vino è invece un’esperienza reale, tattile e concreta, per entrare in contatto diretto con il passato; un graduale viaggio nel tempo, anima e corpo.

Alto Adige e Colterenzio 

Quando si parla di Alto Adige bisogna prima di tutto cambiare la nostra forma mentis, è indispensabile comprendere che qui Cantina Sociale è sinonimo di indiscussa alta qualità.

A circa 10 km a sud di Bolzano, nel territorio dell’Oltradige, in una zona incantata, nei pressi di Appiano, sorge il piccolo borgo di Schreckbichl (in italiano Colterenzio) la località da cui prende il nome la cantina sociale protagonista di questa straordinaria serata. Nel 1960 i 26 fondatori erano infatti tutti originari del luogo. Oggi la cantina sociale vede la compartecipazione di 300 soci, le cui uve provengono per la gran parte dal cuore della zona, Appiano, Cornaiano e San Paolo; per il restante da vigneti che si estendono da Salorno, al confine basso con il Trentino, per salire verso Settequerce e poi ancora andare verso Merano, Gries e la Valle Isarco.

La barriera delle Alpi, 18.000 ore di sole all’anno – «Come Pantelleria!» sottolinea Federico Bovarini –, la presenza dell’Ora, il vento del Lago di Garda con la sua azione mitigatrice d’inverno e rinfrescante d’estate, il calore delle ore diurne e la frescura di quelle notturne, sono tutti fattori che creano le condizioni ideali per una viticoltura di altissima qualità. Un mosaico di terreni, microclimi ed esposizioni che, attraverso uno studio attento e ragionato, ha consentito l’inserimento di un’ampia selezione di varietà, ciascuna in perfetta sinergia con il luogo prescelto. «È come se ogni vitigno si trovasse a casa propria, in quello stato di agio totale che gli permette di raccontarsi al meglio» sottolinea ancora Federico Bovarini. 

Federico Bovarini e Alex Ferigato

Un patrimonio territoriale che, spaziando dai 220 ai 1000 m di altitudine s.l.m, privilegiata fonte di infinite sfaccettature, consente, nella ricchezza della diversità, di dare vita a una inconsueta e varia fioritura di espressioni vinicole; una sorta di unicum in cui la vocazione territoriale sembra essere multipla permettendo, pur nella molteplicità, di raggiungere un affatto scontato alto profilo qualitativo in tutte le manifestazioni.

Guardando ai suoli è evidente che, anche nella breve distanza, si riscontrino grandi cambiamenti. A Colterenzio su un sottosuolo costituito da porfido, si trovano suoli di origine morenica non molto profondi; a 6/8 km dall’altra parte della valle, a Eppan Berg (Appiano Monte), i suoli sono dolomitici di origine morenica, calcarei molto più spessi, con diverse esposizioni. 

Il raggio d’azione di Colterenzio è di circa 40km, con altitudini dei vigneti comprese tra i 200/690 m s.l.m. e suoli diversi. La fortuna della cantina di poter contare su tanti cru di tante zone diverse, fa la differenza per la qualità. «Per arrivare a un certo livello qualitativo la vocazione del luogo è fondamentale» spiega Alex Ferigato. «In cantina se lavori bene arrivi a un certo livello ma non oltre. Ad esempio a Gries, il cru più vocato per i Lagrein, noi abbiamo la fortuna di avere circa 8 ettari. Si può produrre altrove, ma il risultato non è lo stesso».

La centralità delle Cooperative nel territorio altoatesino   

Quali sono i segreti dell’indiscutibile successo di una cooperativa come Colterenzio? Aver capito che la qualità non nasce in cantina ma nel vigneto e quindi nell’aver investito tanto in formazione, individuazione delle zone più vocate, selezione dei vitigni per zona; aver creduto nella remunerazione della qualità, nel sostentamento dei viticoltori ma anche nel controllo rigoroso. «Tu puoi formare il viticoltore, lo puoi sostenere ma lo devi anche controllare e devi essere rigido nei controlli e dopo però devi anche remunerarlo» continua Ferigato. Per esigere dai viticoltori un impegno consapevole, serio e costante che richiede grandi energie, è necessario che anche per loro ne valga la pena. 

Il cambio di marcia con l’arrivo di Luis Raifer

Le famiglie che oggi partecipano al progetto di Colterenzio sono arrivate a 300. Coltivano circa 300 ettari di vigneti nelle zone più vocate; un patrimonio diversificato che vede protagoniste 14 varietà per produrre il 65% di vini bianchi e il 35% di vini rossi.
Nel 1976 l’ingresso di Luis Raifer in veste di direttore della Cooperativa, segna la svolta con l’avvio del “progetto di qualità” degli anni ’80. «Anni di cambiamento in Alto Adige ma un po’ in tutto il mondo del vino – prosegue il direttore commerciale della cantina –. Da una viticoltura più incentrata sulla produzione di vini rossi di massa a una più focalizzata sulla qualità sia di vitigni bianchi che rossi». E come sempre, in questi casi, è necessario il lavoro di persone che capiscano che è arrivato il momento di cambiare marcia. «Luis Raifer è stata una di queste: uno dei pionieri della rivoluzione qualitativa dell’Alto Adige. Colui che per primo ha capito che si poteva cambiare e che il vino da bevanda doveva diventare qualcosa di importante, celebrativo; intuitivo e competente, si rese conto di poter produrre vini importanti. Fece analizzare i terreni e piantare anche vitigni internazionali per amore del confronto. Con il lui avviene il passaggio dalla pergola alla spalliera, indispensabile per qualità, e soprattutto instituisce nuovi criteri di qualità portando alla fama odierna quella che è una piccola area vitivinicola a livello di volumi, ma grandissima a livello di qualità riconosciuta».

Il Sauvignon Lafóa: il primo vino bianco del nuovo progetto  

«Il sauvignon blanc è un vitigno che amiamo e conosciamo bene – continua Ferigato –. Una competenza esperta, acquisita nel tempo, alla ricerca di uno stile che guardi alla profondità espressiva della Loira più che all’esuberanza della Nuova Zelanda. Uno studio orientato alla valorizzazione delle note mature, ma anche giocato sulla dinamicità di quel sottile funambolico equilibrio tra sentori fruttati e quella verve vegetale che non deve essere verde ma dispensatrice di profondità ed eleganza, mai l’estremo».

 «Chi conosce Luis sa che non si fa influenzare. Già dall’inizio, quando i giornalisti premiavano i sauvignon blanc affinati in acciaio, molto più intensi, molto spesso erbacei, i nostri maturavano con il contributo del legno. Prima solo legno piccolo poi, affinando l’esperienza, anche con l’acciaio. Sempre però con il legno perché, nella nostra visione, un vino importante deve passare per il legno».

Anche l’etichetta non è improvvisata, come ben illustra un video prodotto dall’azienda, essa mira a suggerire quell’affinità che vede uniti vino e arte nella capacità di far nascere sempre nuove e sorprendenti emozioni ad ogni incontro. È immediatamente riconoscibile il forte legame con l’Art Nouveau. «Occhieggia Klimt», spiega ancora Ferigato. «Ideata dallo studio Guardenti di Lucca, debutta con l’annata 1993. Al centro è raffigurata la scultura di bronzo, del pittore e scultore Guido Anton Muss, professore nelle scuole d’Arte a Venezia e Firenze, e ricopre la colonna situata all’entrata della casa colonica di Luis Raifer. Questa opera vuole rappresentare lo “spirito” protettore della tenuta. Nell’etichetta l’humus e le forze terresti avvolgono la colonna al centro che si apre alla luce del sole, a simboleggiare l’insieme delle forze naturali che determinano la crescita dell’elemento vegetale».

Le peculiarità del sauvignon blanc

Il sauvignon blanc è un vitigno semi-aromatico autoctono di Bordeaux. Molto esigente in termini di maturazione, richiede estrema cura e attenzione nella scelta del momento perfetto per la raccolta. «Una gestione difficilissima, lo guardi e si sciupa – spiega Federico Bovarini –. Non matura mai e quando matura è già cotto». Bisogna inoltre sfatare il mito del “sentore di pipì di gatto”. «Si tratta in realtà non di tipicità ma di un’errata maturazione al momento della raccolta. Possiamo avere sensazioni erbacee, come varietale, pietra focaia, sensazioni più acerbe ma non sgradevoli e spinte; non deve pungere al naso se non perché giovane, se non per voler raccontare la goliardia del vitigno. Non può essere snaturato incasellandolo nella gabbia di quell’unico sentore».

La degustazione | Verticale Alto Adige DOC Sauvignon Blanc 2020 - 1994

2020

Il Sauvignon Blanc Lafóa nasce da 2 zone differenti. La prima, 430/460 m s.l.m., si caratterizza per un sottosuolo di porfido con suoli morenici, la seconda, con vigneti anche oltre i 600 m s.l.m., presenta suoli dolomitici ricchi di calcare. Affinamento attuale: 50% acciaio 25 % barrique e tonneau 25 % botti grandi, 8 mesi sui lieviti. Alla ricerca della profondità.

La vivacità del colore colpisce immediatamente e, come spiega Federico Bovarini, è quella tipica «dei vini belli, dell’uva sana quando è stata raccolta, perché se ci sono lucentezza e vivacità, se c’è un racconto già alla vista che ci colpisce, non è soltanto bello, ma racconta anche qualcosa di interessante».
Al naso è sauvignon blanc, sensazioni erbacee sì, ma finissime, non invadenti. Gioca su quelle sensazioni di bosso, quindi sulla parte floreale, legata a tante erbe aromatiche e pietra bagnata. «Il frutto è croccante, è un vino che scalpita. Lineare e preciso». Ha un complessità piacevole e ha tutto il tempo per evolvere e creare ancora di più tutto il ventaglio di aromi e quella piacevolezza al naso è già presente. La bocca offre un ingresso avvolgente e pieno, ma coerente per finezza; la sapidità sulla lingua dona linearità alla rotondità. Salivazione intensa e sapidità precisa. 

2016

Oro nel calice, luminosissimo. Naso caldo rotondo avvolgente di frutta matura a pasta gialla carica di zucchero. Mirabile il gioco tra fresco, balsamico e miele millefiori. Prima il frutto, poi piano si avvertono note di pietra focaia. Più difficile riconoscere nell’immediato il varietale. Un racconto delicato con un finale di cedro candito. La bocca rivela abbondante cremosità. In chiusura percepiamo acidità citrica e spiccata sapidità. Pulizia di bocca meravigliosa. Persistente non invasivo. «La 2016 è stata un’annata di tensione – commenta Ferigato –, per tanti aspetti difficile. La gelata ad aprile, un’estate non calda con pioggia, ma a metà agosto il cambiamento, con un clima caldo e secco».

2013

Perdiamo una punta di colore rispetto al precedente, quasi verdolino. Dal giallo oro al verdolino, esattamente al contrario di come ci si aspetterebbe andando indietro di 3 anni.
Particolarmente consistente. Al naso, rimanda alla 2020. Esplosivo come il primo ma l’esuberanza, che nella 2020 parlava di gioventù, qui si declina in un equilibrio di estrema e raffinata piacevolezza. Sentori di rosmarino, erbe aromatiche, con una piccola parte di eucalipto; poi la mela golden e un cenno di talco mentolato. Avrebbe bisogno di più tempo per esprimere a pieno la propria complessità.
Anche in bocca è equilibrio perfetto per questo vino. La chiusura è lunga, di pompelmo giallo e uva matura ma non cotta. La pulizia di bocca si eleva all’ennesima potenza. In forma smagliante, tonico e vigoroso. «Si sente quel che vuole essere Lafóa – commenta sempre Ferigato –: eleganza, finezza, complessità, profondità e longevità». 

2011

Colore brillante, consistenza notevole. Sensazioni cariche di frutta esotica, una “dolcezza” che ricorda lo zafferano; poi balsamico e mentolato, più degli altri, eucalipto pieno, segue un delicato ricordo di miele. L’utilizzo del legno è così ben integrato che ci si dimentica che sia stato utilizzato: per la prima volta si sente la spezia, la cannella.
Al sorso ritroviamo la complessità del naso. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un profilo di assoluta pulizia. La salivazione si avverte più nella parte posteriore della bocca. Un continuo rincorrersi di sensazioni che annunciano un mondo ancora tutto da raccontare. «Una 2011 che sembra molto più giovane, con una prospettiva di vita ancora lunghissima – commenta Ferigato –. Un mix di territorio e interpretazione. Il segreto è saper comprendere e cogliere le opportunità e trasformarle dandogli una forma vera e concreta: il vino. Il territorio in bottiglia, un impegno continuo».

2003

In questo caso, la premessa di Alex Ferigato prima di iniziare la degustazione, è fondamentale, trattandosi di un’annata molto particolare, passata alla storia per essere stata una delle più calde di sempre. «La 2003 fu un’annata estrema; poca pioggia e poche escursioni. Perché allora portare questa annata in degustazione? Perché rivela un grande potenziale. È una sfida trovare una 2003 ancora in queste condizioni». A questo bisogna aggiungere come questa fu un’annata cruciale per questo vino, di transizione, con l’ingresso dell’utilizzo del legno grande (fino a quel momento tutta la massa solo in barrique). Solo dal 2004 entrerà in vigore la formula definitiva che prevede una sapiente combinazione di legni, di diversa dimensione, e acciaio.

Colore carico e grande consistenza. Un naso che “finalmente” regala note di evoluzione, idrocarburo. Il frutto è giallo, maturo; ma si avvertono anche note di frutta secca, nocciola, pinolo tostato, a tratti noce con una punta di miele di acacia. La parte balsamica è sempre ben presente. Un delicato sentore di smalto. Un profilo olfattivo in continuo movimento. Si avverte la curcuma contornata da una florealità da leggero appassimento. Sul finale emerge una leggera nota citrica candita.
In bocca parla l’annata, con una maturazione da caldo intenso, struttura e alcol rivelano la loro presenza senza però perdere la facilità di beva. Sorprende il finale animato da un’acidità ancora tagliente. È un vino tridimensionale, che si percepisce ovunque. La potenza di tensione degli assaggi precedenti lascia il posto a una potenza di volume e profondità. «È Sicuramente un vino da degustare ora – commenta ancora Ferigato –,  è quello con meno vita davanti, è già un miracolo che sia ancora qui 19 anni dopo». 

1994

«Della 1994 sono rimaste solo 8 bottiglie in azienda» annuncia Ferigato e un rigoroso silenzio scende sulla platea. È stata la seconda annata a essere messa in commercio. Vinificazione: 100% fermentazione e maturazione in barrique. «All’epoca in pochi capivano e apprezzavano. All’epoca per il sauvignon blanc si cercava altro, immediatezza ed esplosività aromatica; Lafóa nasce come progetto che mira da sempre a cercare profondità, complessità e longevità».
Come spiega Federico Bovarini nell’introdurre la degustazione, l’annata fu nel complesso calda e secca, con un autunno mite. Si avvertono carattere e struttura. Evidente l’idrocarburo che fa proprio pensare al riesling. Il colore colpisce, considerando che ha fatto solo barrique e che ha veramente tanti anni sulle spalle. E, invece, non compare alcuna ossidazione e mostra un colore davvero “giovane”. Super consistente. Sensazioni di idrocarburo e tufo e ancora presente la parte vegetale. Il frutto è ancora croccante, si avverte una leggera tostatura di crema caffè, tabacco da sigaro. In bocca? Un’incredibile tensione gustativa, un arco teso pronto a scagliare una freccia, una lama, tagliente. Seduce la morbidezza ma senza dolcezza alcuna. Anche la sensazione alcolica c’è, ma ancora perfettamente integrata. Il gusto è preciso, dettagliato. Sulla lingua la salivazione sembra non finire, un’acidità citrina rimanda all’aromaticità del mapo. Il varietale è netto, pulito, come se avesse fatto acciaio. La barrique porta completezza e morbidezza per l’equilibrio complessivo. 

«Con il cambio di maturazione il potenziale di evoluzione delle nuove annate rimarrà lo stesso?» chiede nel finale Federico Bovarini ad Alex Ferigato? «Dipende, le variabili sono tante. Il cambio di stile è nell’ottica della ricerca dell’eleganza e del rispetto del varietale. Ecco perché il cambiamento. Anche la fermentazione malolattica che prima era voluta, ora non la cerchiamo più. Il nostro è un percorso di evoluzione spontanea, non per il mercato. Rimane fondamentale la lettura dell’annata in tutte le bottiglie».

E rimaniamo lì, a riassaggiare tutti i vini; ancora incantati e intorpiditi dallo stupore che questo viaggio spazio-temporale ci ha donato.