ARPEPE, 1984-2024. Rocce Rosse, una verticale lungo quarant’anni

ARPEPE, 1984-2024. Rocce Rosse, una verticale lungo quarant’anni

La Verticale
di Sara Missaglia
19 dicembre 2024

Dalla prima annata, la 1984, lungo quattordici tappe per ripercorrere storia, aneddoti e virtù di uno dei grandi vini rossi della Valtellina e d'Italia

Valtellina, ARPEPE e Rocce Rosse: un patto di-vino, verrebbe da dire, che nasce da una storia di volontà, amore per il territorio e consapevolezza del valore delle proprie idee. Arturo Pelizzatti Perego crea la sua straordinaria Riserva per esercitare il diritto di contare e di scrivere una pagina di storia che sarà importante per il territorio. Un vino che traccia un sentiero preciso per il futuro della Valle, sia dal punto di vista stilistico sia enologico e che all’epoca mise le ali (e il turbo) a una Valtellina diversa dai canoni e dalle performance odierne.

Arturo Pelizzatti Perego rifonda la sua cantina nel 1984: le radici risalgono a un secolo prima, con il marchio Pelizzatti Perego, che venne venduto per le tante vicissitudini che spesso travolgono le famiglie e ne cambiano la storia. Arturo quindi rifonda e scrive un nuovo percorso: alla base la sua idea di vino, La sua idea di Riserva, di grande Riserva, e la sua idea del Rocce Rosse. L’arma vincente è che i vigneti sono di proprietà: a differenza del marchio non sono stati negli anni ceduti. Il 1984 è l’anno buono per realizzare qualcosa di unico che possa durare nel tempo: sempre nebbiolo delle Alpi in purezza e solo botte grande, perché Arturo non cede alla tentazione della barrique che sta facendo timidamente capolino nel territorio. Sempre legno di castagno, perché il solco è quello della tradizione. “Il giusto tempo del nebbiolo” è il claim odierno della cantina, perché la prima annata di Rocce Rosse vedrà la luce solo nel 1990. Massimo rispetto della natura e dei suoi tempi, nessuna forzatura, nessuna accelerazione, anche a scapito di una gestione finanziaria che potrebbe scricchiolare per via di un capitale importante immobilizzato in cantina e nell’affinamento. Al suo fianco la moglie Giovanna, con cui condivide non solo visione, ma anche assetto della cantina. In casa ci sono i loro tre figli, ancora molto giovani, Isabella, Emanuele e Guido, oggi saldamente alla guida.

Il terroir

Il Rocce Rosse nasce nella Sassella, forse la più conosciuta, insieme a Grumello e Inferno, delle sottozone del Disciplinare del Valtellina Superiore DOCG, che si estende in un’area che supera i 100 ettari vitati tra Castione Andevenno e la provincia ovest di Sondrio. Una delle aree in cui si giocano i destini di uno dei più importanti vitigni italiani. Vini figli della terra, con un evidente richiamo al sasso e alla roccia. Non è in realtà terra, ma roccia montonata, dove possenti speroni di roccia di alternano a fazzoletti dove la vite, per sopravvivere, cresce su pochi metri quadri di vigneto strappati al bosco, su terreni poco profondi e a contatto con la roccia viva. La composizione del sottosuolo è data da terreni franco sabbiosi di roccia disgregata con pochissima argilla. Il sale della terra: è da qui che arriva quel gusto sottile e salato dei vini. Impervia, complessa, verticale, la Sassella si innalza netta sul fondovalle, tra quote tra i 270 e i 600 metri s.l.m., fiera, orgogliosa e consapevole della propria bellezza: qui i terrazzamenti hanno ridisegnato il profilo della montagna: Ar.Pe.Pe. possiede quindici ettari di vigna nel suo complesso, di cui otto solo nella Sassella, a corpo unico, con un’altitudine che va dai 350 metri fino ai 500 metri di quota. Il nome del vino ha origine dalla colorazione delle caratteristiche rocce di granito che contraddistinguono i terreni della Sassella.

La verticale del Valtellina Superiore Sassella DOCG Rocce Rosse

Quattordici annate all’interno di un arco temporale di 40 anni. Per Arturo Pelizzatti Perego le vendemmie meritavano di essere rappresentate solo come Riserve. O Rocce Rosse o nulla, unica via possibile per valorizzare il nebbiolo. Dal 2017 con il cambio del disciplinare, la chiusura delle bottiglie è in tappo tecnico, con abbandono del tappo in sughero monopezzo. La fermentazione e il primo affinamento avvengono in tini tronco-conici che sono stati negli anni ricreati con il fronte di rovere, le doghe in castagno e il retro in acacia: il loro profilo aromatico è molto in linea con il corredo olfattivo del nebbiolo e coerenti con i lunghi invecchiamenti previsti per questa Riserva, che viene prodotta solo nelle annate migliori. La degustazione prende il via a partire dall’annata più vecchia: quel millesimo 1984 che è un vino magico, realizzato in una cantina molto diversa dalla attuale, in condizioni estreme e di assoluta artigianalità, ma che ha rappresentato una vera e propria svolta nell’enologia italiana.

1984

Granato cupo con riflessi aranciati molto evidenti: quarant’anni e non sentirli, con una parte di austerità in linea con il vitigno. Un sorso chiaro e preciso, con uno stile essenziale ed ossuto, ma dalla perfetta bevibilità. Nonostante l’età presenta ancora una dolcezza di frutto importante ed è gustoso al palato, con un titolo alcolometrico di 12,8% in volume. La 1984 è stata un’annata molto classica e sul mercato venne considerata una sorta di ripartenza commerciale. Il frutto del millesimo 1984 è ancora pieno, con sensazioni mature al naso e rimandi di cioccolato, cuoio, a tratti di gomma vulcanizzata, in presenza di un corpo vigoroso e di un tannino perfetto.

1990

Un’annata molto classica, che viene considerata una sorta di ripartenza commerciale. Arturo presentò la sua Riserva in Svizzera, da sempre mercato di riferimento per la Valtellina, e lì conobbe Christoph Künzli, oggi dominus di Le Piane nel Boca e all’epoca importatore di vini, che rimase letteralmente incantato dalla bellezza del vino di Arturo, al punto da diventare a sua volta produttore. Christoph Künzli da sempre ha definito Arturo Pelizzatti Perego il suo maestro. Si narra che a Maienfeld, durante la tradizionale esposizione di vini in Svizzera, il Rocce Rosse 1990 giocò una partita alla pari con i più grandi vini dell’epoca. Anni dopo a Bad Ragaz nel Cantone svizzero San Gallo, durante una degustazione, il Rocce Rosse 1990 giocò una partita alla pari con il Monfortino 1994 di Roberto Conterno, suscitando lo stupore di tutti i presenti. Il frutto del millesimo 1990 è ancora pieno, con sensazioni mature al naso e rimandi di frutta sotto spirito, frutta secca, caffè, cacao, erbe officinali, con un sorso sempre sapido e fresco.

1995

Fiore secco, una sottile alcolicità che traspare già dalla degustazione olfattiva, con un’intensità nel bouquet che vira alla rosa essiccata. Un vino da “super frutto” che, nonostante l’età, presenta una buona integrità. È un calice che sa di pietra, a tratti focaia, con sbuffi di incenso e rimandi alla brace da camino, con ricordi di sagrestia e un corredo speziato che si fonde con sbuffi balsamici da mentolo ed eucalipto, impreziositi da ginepro e chiodi di garofano. Il sorso è ancora compatto, fresco e leggiadro. 

1996

Fu un’annata fredda, attesa e discussa, forse inizialmente poco capita dopo la magia del 1995. Al naso appare meno incisivo, con erbe secche e evidenze balsamiche, con sensazioni più delicate, a tratti sussurrate. È il sorso a sorprendere, con note rocciose e ferrose, di corteccia di castagno, di fungo e di sottobosco, all’interno di una cornice caldamente balsamica. Un vino dalla schiena dritta. La prima parte di questo vino fu messa in bottiglia come Stella Retica, altro Sassella di Ar.Pe.Pe., ma fu Isabella e insistere perché diventasse  Riserva Rocce Rosse. Il sorso è potente e fresco, con un titolo alcolometrico di 12,5% in volume, a smentire l’assunto che vuole che freschezza e longevità vadano di pari passo con l’alcolicità. È infatti un vino di ottima tenuta, nonostante la gradazione alcolica contenuta. Il sorso è di grande classe, dritto e affilato, con una capacità assolutamente sorprendente di tenere l’invecchiamento. Lunghissimo e persistente al palato, con un naso che preferisce rimanere nelle retrovie. Apparentemente fragile nei profumi, ha un sorso che esprime grinta e rigore, concentrato sulla struttura e sull’acidità. È un vino a cui i fratelli Pelizzatti Perego sono molto affezionati, in quanto fu l’ultimo millesimo imbottigliato dal papà Arturo nel 2002.

1997

Un vino quasi medicinale, con sensazioni al naso di vinile, dalle tonalità granato classico e con un avvolgente fiore secco e una percezione maggiore dell’alcol rispetto ai precedenti calici. Il sorso è carnoso, in cui il ricordo del frutto è molto chiaro, con una parte vegetale quasi linfatica che arriva in retro olfattiva e un tannino meno rilassato rispetto ai precedenti calici. Fu il primo Rocce Rosse ad essere messo in bottiglia nella nuova cantina.

1999

Un’annata classica, così viene definita da Isabella, con una raccolta dal 20 ottobre sino al 20 novembre, in presenza di una sanità perfetta delle uve. Una “splendida anoressica” fu definita, una riserva essenziale ma dal sorso assimilabile a una lama tagliente e verticale. Una parte fruttata molto gustosa nei suoi 25 anni non dimostrati: le sensazioni sono molto sapide sia al naso sia al palato, con rimandi alla roccia bagnata. L’acidità è tangibile, con una potenzialità di invecchiamento ulteriore decisamente marcata. Il tannino è saporito e del tutto godibile.

2001

Un vino più austero e profondo, a cominciare dal naso: tabacco, corteccia, radice di liquirizia e di genziana. Molto vicina al 1999, ma profondamente diversa: la 2001 è un’annata più generosa, con note di elicriso e di sandalo per un sorso più saporito, pieno e magnetico. Ha grassezza e corpo maggiori rispetto alla ‘99 e la carnosità del frutto è molto evidente, così come il tannino, che presenta un grip di maggiore entità e un ritmo degustativo più incalzante.

2002

Qualcuno l’ha definita l’annata del secolo: un’annata mitica, storica, freddissima, con un’estate gelida ma con un autunno meraviglioso, dove la maturazione delle uve fu perfetta e con un inizio della raccolta a fine ottobre e termine prolungato sino al 1° dicembre. È un vino entusiasmante, con un frutto integro, vivace, vivo, dotato di grande dolcezza nei profumi e corpo. Nel calice è un grandissimo vino. Papà Arturo visse momenti epocali legati a questa vendemmia, e probabilmente fu molto felice perché si accorse che il mondo stava iniziando a capire l’idea che aveva del suo vino. Arriverò ad accarezzarlo, con un affetto del tutto paterno. In cambio il naso ha espresso una straordinaria finezza floreale, un omaggio al verde di Valtellina.

2005

La 2005 è un’annata sicuramente importante a livello di memoria familiare affettiva, perché fu la prima senza il supporto psicologico del papà. Emanuele commenta: «dalla 2004 alla 2005 siamo cresciuti di dieci anni in un mese.» Con la 2005 iniziarono a vinificare in legno grande, recuperando i tini tronco-conici usati in passato. La 2005 è un’annata di piccole quantità, ma di grande qualità: un’annata timida, che tuttavia da subito rivelò la sua capacità di vincere sulla distanza. È un naso più austero, giocato su una parte importante di erbe aromatiche, con ricordi di muschio e di corteccia, di resina e di fungo secco, con un frutto carnoso tra sbuffi di incenso. La bocca è di grandissima agilità, piacevole e sapida: è l’ultimo dei grandi vini in assaggio con un’idea di storia sulle spalle. Con l’annata successiva, la musica e le prospettive cambiano in modo marcato.

2007

Un’annata anomala non solo per il caldo estivo, ma per il tepore invernale che ha reso questa stagione del tutto singolare, con un germogliamento molto anticipato. Il naso rivela sensazioni iodate e medicinali, con un frutto sotto spirito e caldo nella sensazione alcolica. Al palato è succoso, pieno, ricco, dal tannino sferico, integrato e voluttuoso. In chiusura la ciliegia selvatica fa capolino, regalando una marcia fresca e accattivante al sorso.

2009

È un naso caldo, come la 2007, trattandosi di un’annata quasi siccitosa. Note di erbe aromatiche, di mirto e di garrigue mediterranea tra timo, lavanda e santoreggia, con rimandi a sensazioni agrumate d’arancia sanguinella e una freschezza annunciata già dal naso. Si tratta dell’annata che ha registrato l’affinamento più lungo in botte grande, con un’evoluzione che presenta ancora potenzialità elevate. La bocca è ferrosa, salata, con note iodate e toni quasi marini. La chiusura è su spezie esotiche, con rimandi di sottobosco e un tannino compatto per un palato cremoso.

2013

Qui c’è un ulteriore passo in avanti. Si tratta di un’annata classica che cambia radicalmente le sensazioni nel bicchiere. Domina un grande equilibrio tra eleganza da florealità e acidità: un naso iconico tra violetta e rosa canina per un sorso che è misura, calibro e corretta proporzione: il frutto è ancora molto croccante tra ricordi di mora di rovo e mirtillo, in presenza di un’acidità straordinaria. Con questa annata Rocce Rosse Riserva sarà, da qui in poi, sempre sigillata con il tappo tecnico. La chiusura è su rimandi di tabacco, incenso e geranio, con fave di cacao e ricordi di menta.

2016

Un vino incredibilmente giovane, croccante, vibrante e teso. Una straordinaria profondità di bocca, con un effetto tridimensionale dal futuro luminoso. Il carattere è e resta affilato, con un mix salino che regala una grande pulizia di beva. Un vino che è misura e potenza, fragilità e struttura, essenzialità e generosità: sembra voler riconciliare gli opposti del mondo, dove grazia e proporzione sono i driver per parlare la sua stessa lingua.

2018

Un’annata calda, con una gradazione, unica nel panel di degustazione, che arriva a superare i 14 gradi in volume. È essenza di rosa e di violetta, di frutto magistralmente giovane, integro, intatto. Nessuna contaminazione se non quella dell’uva, in una lavorazione che ha visto l’impiego di meno di 40 mg di solforosa in bottiglia. Lavorazioni e scelte stilistiche che consentono di immettere sul mercato un vino buono anche sotto l’aspetto salutistico. Il colore è brillante, luminoso, giocato sulle tonalità carminio, con una straordinaria attrattiva già nell’aspetto.

«Crediamo nel territorio e siamo convinti che abbia ancora delle potenzialità inespresse. La bellezza del nebbiolo delle Alpi e la facilità di abbinamento con tutte le cucine del mondo ci consentono di non sfigurare mai in tutto il pianeta. Come Valtellina siamo una goccia nel mare, ma siamo convinti che i nostri vini possano essere sulle tavole più importanti. L’augurio è che tra uno o due decenni la Valtellina abbia raggiunto un posizionamento ancora più alto»: con queste parole e un omaggio alla sua terra, Isabella chiude una verticale che resterà nella memoria non solo dei presenti.