Bardolino e il terzo colore del vino

Bardolino e il terzo colore del vino

La Verticale
di Giuseppe Vallone
27 giugno 2024

Una giornata in compagnia di Matilde Poggi, ad affrontare la profondità gusto-olfattiva dei suoi rosé, degustati in un’appassionante doppia verticale che ha svelato la peculiare capacità evolutiva della corvina e della rondinella vinificate in rosa.

Incontriamo Matilde Poggi alla stazione di Verona. Solare e sorridente, ci recupera con la sua Subaru ed è subito direzione Cavaion Veronese dove, tra campi e vigne stretti tra il lago di Garda e la Valdadige, sorge la casa colonica del XV secolo che, da ormai quarant’anni, ospita sperimentazioni e visioni della padrona di casa.

Presidente della Confèdération Européenne des Vignerons Indépendants (CEVI) dal 2021, dopo otto anni alla guida della FIVI, socia di Rosés de Terroirs, Matilde Poggi si definisce una libera sperimentatrice che, aggiungiamo noi, sperimenta con il conforto di una stella polare sempre ben visibile in cielo: «la nostra azienda ha un focus molto importante sul vino rosa perché io per prima sono molto appassionata di vini rosa», ci dice mentre guida in autostrada. 

Il motivo di questo amore appassionato per il terzo colore del vino (perché «i colori del vino sono tre!» esclama mentre parcheggia nel cortile) è presto detto, ed è da ricondurre a quel fragile, quasi alchemico, equilibrio che si crea tra l’uva, il territorio e la mano del produttore, qui - più che nelle altre due tipologie cromatiche – davvero decisiva nel determinare il carattere e l’essenza del vino.

Matilde Poggi

C’è di più, e per comprenderlo ci addentriamo nel vecchio vigneto antistante la proprietà, chiamato le fraghe, da cui il nome dell’azienda. Camminando tra questi filari, e pensando alle fragoline – fraghe, appunto, in dialetto locale – che vi crescono alla base, riflettiamo sul significato intrinseco che rivestono nel pensiero di Matilde Poggi. Il ritorno alla natura e al respiro della terra come direzione da percorrere e meta al tempo stesso. Una terra, delle uve, da sollevare, valorizzare e ingrandire con il cannocchiale di un calice di vino.

Ecco, la stella polare di Matilde Poggi: quel vino rosa (prima ancora che rosé) come espressione pura, diretta, del terroir dal quale proviene, al cui fascino soggiace e dal quale al contempo trae luce ed energia. 

Su terreni morenici sciolti e molto ricchi di minerali, Matilde Poggi ha scelto – a valle di prove, errori, correzioni e nuovi tentativi – la via dell’esaltazione in rosa di corvina e rondinella, le uve rosse del Bardolino e dell’Amarone, con una chiave di lettura che rende i suoi rosé giocoforza territoriali, e siamo d’accordo, ma soprattutto – forse inaspettatamente – di indiscussa longevità.

Lo zenit della giornata sta proprio qui, nel proporci, lei assieme al consulente aziendale Federico Giotto, e nel prendere coscienza noi astanti, del potenziale evolutivo di vini «ancora troppo spesso banalmente associati all’estate e all’aperitivo, alla piscina e al disimpegno», quando invece è ora di elevarne aspettative e pretese, dando al terzo colore del vino onore e giusta collocazione gastronomica.

Una doppia verticale, dunque, del Chiaretto di Bardolino DOP Ròdon, frutto di uve da vigneti di media età, e poi del Tracce di Rosa, omonima menzione rivendicata ufficialmente dal 2020, ottenuto dalla selezione di corvina e rondinella dalle migliori parcelle di vigne vecchie di un quarto di secolo. Due vini, due diverse espressioni del concetto – filosofico ancor prima che cromatico – di vino rosé, alla prova del tempo.

La degustazione

Chiaretto di Bardolino DOP Ròdon 

Corvina e rondinella da viti di età media di 15 anni, allevati a guyot con densità di 5.000 ceppi/ha nei Comuni di Affi e Cavaion Veronese, a 190 m s.l.m. e con esposizione sud. 

Alla macerazione a bassa temperatura di 6-8 ore, segue la fermentazione in bianco a temperatura di 17°C. Nessuna malolattica perché, dice Matilde Poggi, «è un vino molto delicato, che si basa su un equilibrio assoluto e fragile». Poi, affinamento in acciaio sulle fecce in serbatoi da 50 hl fino all’imbottigliamento in primavera.

Annata 2023

Primavera disomogenea, segnata dall’alternanza tra un marzo caldo e il mese di aprile caratterizzato da gelate che hanno influito sulla formazione dei germogli. Giugno e luglio hanno portato con sé piogge abbondanti e ininterrotte, che non hanno causato problemi nello sviluppo dei grappoli. In agosto il calore – fino a punte di 36°C – e l’assenza di precipitazioni importanti sono stati mitigati sul finire del mese da un nuovo arrivo di piogge, che ha contribuito al definitivo sviluppo del grappolo e alla piena maturazione delle uve.

Calice di un convincente fiore di pesco. Il naso, su note di frutta tropicale, è piacevole e restituisce un’immagine di solare e immediata croccantezza. L’assaggio è intenso, una vera deflagrazione aromatica di frutto, fiore e tanta salinità. Federico Giotto definisce il palato di questo vino «un’esplosione del terroir» di Le Fraghe.

Annata 2022

Annata molto calda, dove a brevi gelate di inizio primavera hanno fatto seguito periodi piuttosto prolungati di siccità e temperature elevate, alternate soltanto sporadicamente – in giugno – da brevi fenomeni piovosi. La prima vera rottura del fronte di calore si è avuta dopo Ferragosto e fino alla fine del mese. Settembre ha visto infine un generalizzato abbassamento delle temperature diurne e notturne con sparuti piovaschi.

Si è ancora sulla tonalità del fiore di pesco, anche se appena meno intenso del vino precedente. Il quadro olfattivo è pennellato da note agrumate, di piccoli frutti rossi e di rosa canina, con un’intrigante mineralità di fondo che invita all’assaggio. In bocca, in effetti, questa 2022 si mostra energica, diretta e decisamente sapida, di piacevole struttura e di apprezzabile persistenza. In continuità con il vino precedente, potremmo definire entrambi come il rosé che puoi aspettarti.

Annata 2020

Giugno particolarmente piovoso (150 millimetri) e segnato da alcuni casi di peronospora, fortunatamente tenuti a bada, al quale è seguito un luglio pure altrettanto bagnato ma con temperature più elevate. Le piante hanno mostrato una notevole attività fotosintetica e non hanno avuto stress degni di nota. L’alternanza di sole e pioggia è proseguita anche durante tutto agosto (80 millimetri) favorendo una maturazione ottimale delle uve, seppure più lenta rispetto alle ultime annate.

Il colore si fa ramato. Il vino, luminoso e di aspetto invitante, ha un naso inizialmente restìo e involuto. Poi, complice l’innalzamento della temperatura – che capiamo presto giocare un ruolo decisivo nella degustazione delle annate più indietro nel tempo – ecco proporsi accenni amari di cedro maturo, fiori in appassimento, frutta gialla in confettura e, soprattutto, una prima sventagliata di rimandi idrocarburici, che dapprima disorientano e poi coinvolgono decisamente i sensi. All’assaggio, il Ròdon 2020 è a fuoco e più compiuto dei due vini precedenti: avvolgente nella beva, ha una piacevole coerenza gustativa. Un vino che funge da chiave di volta dell’intera degustazione.

Annata 2016

Annata dalla produzione contenuta, influenzata in questo da un’elevata piovosità durante maggio e giugno – al confronto con le medie del decennio – e da un mese di agosto molto fresco nella prima parte e caratterizzato da elevate escursioni termiche da Ferragosto in poi.

Capiamo che la 2020 ha rappresentato una curva a gomito nella degustazione quando ci viene servito il quarto vino: otto primavere sulle spalle e un aspetto da bianco macerato di grande fattura che ridiscute, in toto, l’idea di rosé. Perché di rosa, nel Ròdon 2016, non è rimasto nulla, almeno alla vista. 

L’essenza, quella sì, è da rosé da invecchiamento, il concetto tanto astratto quanto caro a Matilde Poggi che però in questo calice trova concreta esemplificazione. I profumi sono improntati alla matrice idrocarburica che, ci spiega Federico Giotto, è propria della corvina e della rondinella in evoluzione. Soltanto dopo fanno capolino accenni di fiori secchi, note di zafferano e albicocca candita. È un vino adulto, risolto, con un sontuoso equilibrio impreziosito dal fraseggio ininterrotto tra la componente fresco-sapida e la morbidezza. 

Annata 2015

La 2015 è stata l’annata meno piovosa degli ultimi anni, con poche precipitazioni nell’arco aprile-agosto e con un luglio addirittura quasi a secco. L’attività metabolica delle viti ne è risultata rallentata, e il perdurare di siccità – unito a temperature medie elevate – hanno portato a una vendemmia breve e concentrata.

Il Ròdon più anziano della batteria si presenta con una veste d’oro giallo e un leggero pétillant. Come il vino precedente, anche – soprattutto – il 2015 è visivamente altro rispetto alla nuance che ci aspetterebbe da un rosé. Ora che sappiamo cosa queste uve esprimono in età adulta, ecco che ci ammalia il naso di benzene, al quale segue una timida proposta di pot-pourri di fiori. Scaldandosi, emergono tratteggi di caramello salato, crosta di pane, burro fuso e note tostate assai intriganti. L’assaggio è monolitico, largo e al contempo di verticalità salina, con una beva che procede ritmata, di ottima lena.

Chiaretto di Bardolino DOP Traccia di Rosa 

Selezione delle migliori uve di corvina (90%) e rondinella (10%) da viti di 24 anni allevate a guyot ad Affi, a 190 m s.l.m.. 

All’arrivo in cantina le uve vengono raffreddate a 6-7°C e, il giorno dopo, vengono diraspate e messe in pressa, dove sostano per circa venti ore. La fermentazione alcolica avviene in cemento non vetrificato, con temperatura controllata di 18°C. Successivamente, il vino sosta dodici mesi sur lies in cemento, per poi essere imbottigliato senza filtrazione.

Annata 2022

È un’annata che Matilde Poggi ci propone in anteprima, dato che verrà immessa sul mercato nel 2025.

Di colore ramato e aspetto lucente e decisamente vivido, il vino è giovane e solare, propone un naso giocato su profumi di pesca gialla, albicocca e roselline, e un assaggio pieno, saporito, fresco, dall’attacco notevole e dall’altrettanto apprezzabile allungo da metà bocca in poi.   

Annata 2021

Una gelata a inizio aprile ha causato una disomogeneità nella maturazione fenolica delle uve, parzialmente recuperata con le piogge di giugno e luglio. Estate molto calda con un mese di agosto scarico di rovesci.

La tonalità del rosa, in questo calice, è accostabile idealmente al salmone. I profumi parlano di pompelmo, cedro e di un principio di evoluzione idrocarburica. La bocca è ancora pimpante, più indietro rispetto al quadro olfattivo. Se per il Ròdon l’annata chiave è la 2020, in questa seconda verticale il Traccia di Rosa che segna uno spartiacque è proprio questa 2021.

Annata 2020

Al tavolo abbiamo discusso parecchio su e attorno a questo vino; più che un confronto, però, è stato un continuo conforto, ché di questo calice siamo rimasti tutti sorpresi, a partire dall’oro scintillante del suo colore. Sontuoso, grasso, sventaglia profumi come la 2021 ma con un amplificatore ad aumentarne la diffusione: ecco dunque che il pompelmo, l’amaro del cedro, le note di benzene si fanno in stereofonia, immediatamente e nitidamente percepibili su uno sfondo di erbe aromatiche, mallo di noce e risotto mantecato allo zafferano. All’assaggio è da subito ampio, largo e al contempo tagliente e salino, con una persistenza corroborante. 

Annata 2019

Aprile e maggio molto piovosi e freschi hanno anticipato un trimestre giugno-agosto decisamente più caldo. Le viti hanno potuto comunque godere di una maturazione ottimale anche se in termini di quantità è stata inferiore alle aspettative per una riduzione del peso medio delle uve dovuta alla eterogeneità di conformazione e maturazione dell’acino sullo stesso grappolo.

Si tratta della prima annata prodotta del Traccia di Rosa e l’idea di fondo è immediatamente percepibile, volendo rappresentare non tanto le uve di provenienza quanto «la massima concentrazione del territorio» di Matilde Poggi. Di aspetto velato per la presenza delle fecce fini in sospensione, ha un colore incredibilmente giallo paglierino. Il rosa, ancora una volta, è un’idea, più che un colore, un concetto che qui si intravede alle sue battute iniziali, discostandosi dalle annate successive sia per tonalità che per profumi. Al naso, inaspettatamente dato il pregresso della degustazione, manca l’idrocarburo; in compenso si ritrova il risotto allo zafferano, poi agrume, limone e fiori. In bocca è un vino-tutto-sale, fresco, succoso e molto verticale. 

Il rosé, lungi dall’essere soltanto disimpegno e spensieratezza, è un vino che, quando è pensato e realizzato per sfidare il trascorrere dei lustri, si rivolge ad appassionati e cultori. Il Ròdon e il Tracce di Rosa di Matilde Poggi si iscrivono in questa categoria a pieno diritto, contribuendo a saldare la convinzione che il rosé sa essere longevo. Se da corvina e rondinella, forse, ancor di più.