Capo di Stato: un bordolese alla veneta

La Verticale
di Monica Berno
17 aprile 2025
Sfogliare le pagine di un diario scritto dalla terra, dal clima e dal lavoro dell’uomo: questa è stata la verticale di sei annate che ha celebrato il Capo di Stato Loredan Gasparini, per la prima volta in AIS Monza e Brianza. Sei calici per svelare le molteplici sfumature di un vino straordinario.
Lorenzo Palla, proprietario dell’azienda Loredan Gasparini e Artur Vaso, vicecampione nazionale 2024 e Miglior Sommelier di Lombardia nel 2017, ci guidano in un viaggio attraverso i secoli - dalle nobili famiglie veneziane fino ai giorni nostri - alla scoperta dell’eredità enologica della Serenissima.
Venegazzù: secoli di vino, storia e innovazione
A Venegazzù di Volpago del Montello, nel cuore dell’Alta Marca Trevigiana, si stendono i 60 ettari dei vigneti dell’Azienda Agricola Conte Loredan Gasparini. Terra di grandi vini sin dal 1371, quando il doge impose tasse maggiori ai suoi prodotti (meliora), riconoscendone la qualità superiore. Durante la Serenissima, la viticoltura divenne un pilastro economico: l’alto consumo di vino spinse la Repubblica a stabilire standard rigorosi, incentivando la produzione nelle campagne venete. Tra il Quattrocento e l’Ottocento, la famiglia Spineda plasmò il territorio, costruendo una splendida villa palladiana e favorendo lo sviluppo agricolo.
Il vino, considerato un bene primario, copriva oltre il 90% delle terre di Venegazzù, le viti erano maritate, si legavano agli alberi in un equilibrio perfetto tra natura e coltura. Con il declino degli Spineda, la proprietà passò ai Gasparini, che si unirono ai Loredan, storica casata veneziana con ben tre dogi all’attivo. Da questa unione nacque l’azienda Loredan Gasparini, ancora oggi un punto di riferimento nel panorama vinicolo. Fu proprio il conte Loredan a intuire le potenzialità del territorio per i vitigni bordolesi e, nel 1946, piantò nella tenuta di famiglia viti di cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot e malbec con l’obiettivo di ottenere un potente vino rosso sul modello bordolese. E così nacque il Rosso di Venegazzù. È interessante notare che i famosi “supertuscan” nacquero dalla stessa ricetta una ventina d’anni più tardi! Il successo arrivò rapidamente, grazie alla sua capacità di promuoverlo nei circoli giusti, tra nobili e intenditori. E la storia insegna: quando un vino conquista l’élite, è destinato a diventare leggenda.
Nel 1972 Piero Loredan Gasparini vendette la proprietà a Giancarlo Palla, che lasciò un’impronta altrettanto significativa sul territorio. Il suo primo contributo, infatti, fu lo sviluppo dei vini spumanti: con il supporto di un esperto della scuola di Epernay, in Champagne, avviò la produzione di Metodo Classico. Successivamente, introdusse la spumantizzazione del Prosecco, diventando uno dei pionieri nella sua produzione e impegnandosi attivamente per il riconoscimento della DOC e, in seguito, della DOCG Asolo Prosecco. Grazie alla sua determinazione, Venegazzù ottenne il riconoscimento come unica sottozona della DOC, oggi considerata un vero e proprio cru. Attualmente l’azienda è diretta dal figlio Lorenzo. In tutto questo tempo la produzione del Capo di Stato si è mantenuta rispettosa dello stile originario, nonostante il territorio sia ormai a esclusivo appannaggio del Prosecco.
Quel capo di Stato…
All’inizio degli anni Sessanta, il generale Charles de Gaulle giunse a Venezia con la moglie per visitare la Biennale. Durante il soggiorno presso il celebre Hotel Gritti, gli venne servita una Riserva di Rosso di Venegazzù, che conquistò l’ammirazione della coppia presidenziale. Impressionato dai loro solenni elogi, il conte decise di dedicare il vino a de Gaulle e commissionò la creazione di due etichette raffiguranti la coppia.
L’episodio suscitò grande interesse grazie alla copertura della stampa e, ben presto, la notizia si diffuse: sempre più persone si recavano in cantina chiedendo di acquistare «il vino che aveva bevuto il capo di Stato». Fu così che, nel 1964, Piero Loredan Gasparini battezzò il suo vino con il nome Capo di Stato e, ispirato da alcune etichette artistiche viste in Francia, si affidò al talento del pittore Antonio “Tono” Zancanaro per creare le sue etichette. L’artista concepì un’idea simbolica, ispirata a un concetto materno: l’uva è la madre e il vino è suo figlio. Così nacquero due etichette: una raffigurante una figura femminile, simbolo dell’uva madre, e l’altra rappresentante Bacco, il dio del vino. Negli anni ’70, quando l’azienda iniziò a esportare i suoi vini, soprattutto in America, alcune etichette vennero censurate. I mercati statunitensi, per esempio, rifiutarono l’etichetta femminile per il suo contenuto troppo esplicito legato al seno disegnato e anche alcuni paesi del Nord Europa ritennero inadeguata questa rappresentazione per un vino. Fu così che sopravvisse solo Bacco.
La degustazione
Prima di dare inizio alla verticale scopriamo tre diverse produzioni della cantina.
Asolo Prosecco Superiore DOCG - Cuvée Indigena extra brut – 2023
100% glera. Le uve provengono dalla Vigna Monti, vecchio vigneto del 1975, ma la particolarità del vino sta nel metodo spontaneo di fermentazione. Dopo soffice pigiatura, il mosto viene messo in autoclave a bassissima temperatura. La fermentazione è molto lenta, senza aggiunte di lieviti (lieviti indigeni) né zuccheri e dura 6 mesi. Classificato extra brut in realtà ha un residuo zuccherino inferiore ai 2 gr/l. Produzione ridotta (3000-4000 bottiglie) per puntare all’unicità e alla qualità. Le colline asolane donano al Prosecco un gusto ricco, pieno e salino con una struttura più marcata rispetto alle colline di Conegliano.
Ci accoglie nel calice un colore giallo dorato, cristallino, con un perlage fine e persistente. Al naso si esprimono subito i tipici sentori fruttati della glera: pesca gialla, pera e ananas; il sorso in chiusura risulta agrumato, leggermente amaricante. La freschezza, sostenuta da una vibrante vena acida e salina, conferisce armonia, persistenza e cremosità al sorso. Lasciato nel calice per un po’ di tempo «diventa più impattante» a livello aromatico, la bocca resta acida e salina, vincono le durezze.
Metodo classico brut – 2020
100% chardonnay. 24-30 mesi di affinamento sui lieviti, sboccatura settembre 2024. In alcune annate viene aggiunto anche del pinot nero e/o del manzoni bianco. È uno dei primi esempi di rifermentazione in bottiglia realizzati in Veneto. Le uve arrivano dal Montello dove il suolo è composto da terre rosse molto ricche di ferro, mentre in profondità si trova una parte calcarea coperta da uno strato di argilla rossa. Lorenzo Palla ci racconta che il prodotto nasce come un «vino onesto, semplice ma ben fatto, pensato per da mio padre per sé e i suoi amici». Nelle buone annate si producono 20.000 bottiglie. Curiosità degna di nota è che questo spumante, negli anni ’80, ha meritato uno dei più alti punteggi mai assegnati a uno spumante italiano (94 punti) dalla prestigiosa rivista americana Wine Spectator.
Giallo paglierino intenso, ha un bouquet brioso di frutti croccanti, agrumi, brioche, nocciole fresche. In bocca la parte salina persiste, ma è bilanciato, fresco. La sapidità e il carattere agrumato sono elementi distintivi, la mandorla in chiusura aggiunge profondità al finale esprimendo il terroir, con una marcatura che risulta più evidente, soprattutto grazie alla tipicità dell’annata. «È una bottiglia che, pur non essendo completamente omogenea, racconta la storia del territorio e delle sue variabili», conclude Artur Vaso.
Montello Colli Asolani DOC Venegazzù - Della Casa - 2019
50% cabernet sauvignon, 10% cabernet franc, 35% merlot, 5% malbec. Maturato per 30 mesi in botte grande. È stato uno dei primi esempi di taglio di cabernet e merlot realizzati in Italia nel dopoguerra. Il conte Loredan, desiderando creare un grande vino bordolese, diede vita a questa riserva, diventata simbolo del territorio. In seguito, anche la DOC Montello ha riconosciuto una tipologia di vino denominata Venegazzù, ispirata proprio al blend originale della Casa.
«Vino da tavola, vino da favola» chiosa Artur Vaso citando Veronelli. Rubino luminoso, al naso si apre un ventaglio ricco di profumi di piccoli frutti rossi e ciliegia un po’ aspra, una nota floreale di violetta, di tabacco e cioccolato, humus e un tocco erbaceo. Al palato è fresco e tannico, risente molto dell’acidità dei terreni. È elegante e complesso, di grande raffinatezza.
La verticale
Sei annate, sei decenni, e una tecnica di lavorazione che sostanzialmente è rimasta sempre la stessa. Si inizia con le annate più vecchie per rispettare il tempo di affinamento in bottiglia e cogliere tutte le sfumature. Solo così si può comprendere davvero l’evoluzione di un vino che, con il passare del tempo, acquisisce caratteristiche uniche. Il Capo di Stato è un taglio bordolese, ottenuto da un blend di cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot e malbec. Originariamente classificato come Veneto IGT, oggi il Capo di Stato rivendica la DOC Montello Colli Asolani Venegazzù Superiore, che riconosce ufficialmente la qualità e il legame con il territorio.
Capo di Stato - 1997
Lorenzo Palla ci racconta che il 1997 è stata un’annata che ha avuto inizio con una forte gelata che ha ridotto la quantità di uva disponibile, ma poi è proseguita con un clima molto caldo. Spesso, le annate calde non portano necessariamente a vini più ricchi, talvolta le maturazioni si interrompono precocemente, lasciando acidità ben sostenute e questo vino ne è un perfetto esempio. Ventotto anni e non sentirli: questo vino è straordinario per la sua freschezza e la sua acidità vibrante. È l’ultima annata lavorata dal papà Giancarlo ed esprime uno stile tradizionale.
Veste una tonalità granato con sfumature lucenti che virano verso l’aranciato, segno del tempo che è passato. Qui il cabernet sauvignon gioca un ruolo importante nella sua struttura. Artur precisa che «al naso ha un profilo bordolese, ma in bocca si distingue per una salinità che lo rende meno “bordolese” rispetto ad altri vini di quella zona». L’apertura olfattiva è notevole e rimanda a note di foglia di pomodoro e sfumature vegetali eleganti, con una delicata presenza di frutta rossa. Il sorso colpisce per la sua sapidità e freschezza, con un’acidità ancora vibrante; la sapidità che persiste in bocca è una caratteristica riconducibile al territorio, che continua a essere il protagonista indiscusso di ogni sorso. I tannini sono decisi, ma equilibrati, e l’impronta bordolese si sente chiaramente. «È un vino descritto più volte come senza tempo, una vera sorpresa per un’etichetta proveniente dal Trevigiano, una zona che difficilmente si associa a questa profondità ed evoluzione» conclude Artur.
Capo di Stato - 2006
La 2006 è stata un’annata equilibrata, senza picchi di calore, né eventi climatici estremi: una regolarità che si riflette nel vino.
All’esame visivo sembra molto più giovane rispetto al 1997, nonostante i suoi 18 anni. Al naso si percepisce però una maturità del frutto che si esprime in una polpa piena, accompagnata da note leggere di guscio di noce. Fragranze balsamiche e di foglia di pomodoro donano un carattere fresco ed elegante. L’ingresso in bocca è morbido, quasi a ricordare un Bordeaux maturo. Poi il tannino si apre un varco, emerge con decisione, conferendo struttura e persistenza. Rispetto al 1997, appare meno sapido, con una dolcezza di frutto più evidente, risultando, forse, più completo nel suo insieme.
Capo di Stato - 2009
La 2009 è stata un’annata più calda della 2006 e ha dato un frutto più impattante e dalla struttura più ricca. In parte si ripropone l’effetto notato nella 1997, con il calore che ha accentuato l’acidità.
Il colore appare più intenso, con sfumature che dal granato virano verso il carminio. Sul piano olfattivo richiama il 2006, ma con una maggiore presenza di frutto e la tipica nota vegetale del cabernet in sottofondo. È timido, chiuso, ma qui mergono anche nuovi accenni di mandorla e frutta a guscio, armonizzati con la polpa dei frutti. Al palato, invece, si distingue nettamente: manca la morbidezza iniziale del 2006, mentre il tannino si presenta più giovane e fresco. La sapidità è ben percepibile e rende ancora più interessante seguirne l’evoluzione nelle annate successive per coglierne l’impronta nel tempo. La persistenza è notevole.
Capo di Stato - 2013
L’annata 2013 da un punto di vista climatico ha avuto condizioni meteorologiche fresche e piovose in primavera e all’inizio dell’estate, seguite da un’estate piuttosto calda.
Carminio tendente al granato, dal carattere garbato. Qui il frutto è predominante, ricco di polpa, gustoso e sempre accompagnato da note di frutta a guscio. Questo lo distingue dalle annate precedenti, dove la dolcezza era meno pronunciata e «i tannini apparivano più rotondi, omogenei e nobili. Qui, invece, il tannino è ruspante e vibrante, contribuendo alla personalità decisa del vino». Si ritrovano ancora le caratteristiche tipiche di queste etichette: foglia verde, polpa, bacca speziata con l’aggiunta di una sfumatura che richiama la confettura di ciliegie e more, con note scure e intense. Al naso si avverte anche una leggera terrosità, con sentori di radice, corteccia, sottobosco e funghi, meno evidenti nelle annate precedenti. In bocca c’è una grande concentrazione di frutto e una lunga persistenza.
Capo di Stato - 2019
Il 2019 ha avuto un’estate calda, ma senza eccessi.
Il penultimo calice della verticale si presenta di un bel rubino, intenso; al naso appare ancora timido e chiuso, con sei anni di invecchiamento alle spalle e molto potenziale per evolversi nel tempo. Al palato, l’ingresso è morbido, ma si avverte subito la mancanza della dolcezza, della percezione fruttata e della persistente sensazione di confettura tipiche dells 2013. Il tannino è deciso e marcato, regalando una struttura muscolosa. È un vino molto promettente, che necessita di tempo per esprimersi al meglio. Sebbene sia già in commercio, tra dieci anni raggiungerà il suo apice.
Capo di Stato - 2021
La 2021 è stata una grande annata in tutta Italia, ha registrato una buona qualità delle uve con una maturazione equilibrata in molte zone, il risultato è stato buona struttura e complessità nei vini.
Il vino, presentato a Vinitaly 2025 e disponibile sul mercato verso la fine dell’anno, si distingue nettamente da quelli degustati finora. Artur ci spiega che «quando si assaporano queste anteprime, è importante immaginarle e comprendere come evolveranno, sapendo già che una certa densità, concentrazione e tipologia di tannino seguiranno una precisa traiettoria di sviluppo». Il colore è rosso carminio, con riflessi blu-porpora e rubino-amaranto. La presenza di frutta e estratto è evidente, e il naso rimane molto simile a quello dei precedenti, ma la differenza emerge al palato, dove le durezze sono più marcate e il tannino si fa sentire con forza. È un vino da acquistare, riporre in cantina e lasciar evolvere per almeno dieci anni.
I riassaggi
E per concludere di nuovo un rapido passaggio per vedere come si sono trasformati i vini:
1997 – al naso è straordinario. Il profumo è elegante con un’evoluzione nel calice che passa da note verdi a un’espressività più precisa, netta, pungente e raffinata. Si percepiscono sentori di erba e suggestioni balsamiche, con una freschezza che prima non c’era. In bocca, la sapidità è incisiva, quasi ferrosa, con un tannino più morbido rispetto ad altri assaggi.
2006 – ci è piaciuto molto. Più note di caffè, fiori e frutta, meno balsamico. Al palato mantiene una certa morbidezza, più evidente rispetto agli altri vini.
2009 – all’inizio aveva un profilo chiuso, e in parte lo mantiene, però si percepiscono polvere di caffè e lievi sentori terrosi.
2013 – Artur conferma che in bocca è «gustosissimo». Al naso, però, ha perso un po’ di espressività, diventando più tenue. Più spezie, ma comunque persistente.
2019 – giovane, con frutto appena raccolto. L’evoluzione porterà alla comparsa di note di cacao, caffè, foglie secche e corteccia. L’ingresso è morbido, ma subito dopo il tannino bilancia perfettamente l’insieme.
2021 – immediato, diretto, potente. Mette d’accordo tutti.
Artur Vaso conclude la serata con una riflessione: «un vino di qualità si riconosce fin da subito: se è buono, lo è già al primo assaggio, e nel calice acquista ulteriore complessità. Se invece perde carattere con il tempo, significa che non era un grande vino fin dall'inizio. La qualità si manifesta già in cantina: se nasce buono, rimane tale. Il passaggio in legno e l'affinamento possono esaltarne le caratteristiche, ma non hanno il potere di trasformare un vino mediocre in un capolavoro».
E in questa serata non c'è stato alcun dubbio: tutti i vini erano autentici capolavori!